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Ricordando Danilo Dolci, il Gandhi della Sicilia

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Dallo sciopero alla rovescia alla Radio dei poveri Cristi, le lotte del sociologo che credeva nella rivoluzione non violenta

Tutto è cominciato dal Borgo di Dio. Anzi, dalla comunità di Nomadelfia. No, a pensarci bene tutto è iniziato con il figlio di Mimmo e Giustina, morto per fame a pochi mesi.

Siamo a Trappeto, a quarantacinque chilometri da Palermo, nel 1952. Danilo Dolci è arrivato in Sicilia dopo aver lasciato la facoltà di architettura di Milano e aver vissuto gli ultimi due anni nella comunità cattolica di Nomadelfia fondata da Don Zeno a Fossoli, vicino Carpi.

La morte del neonato rompe qualcosa dentro Danilo e lo spinge a mettere in atto la prima forma di protesta non violenta digiunando per otto giorni sul letto in cui è spirato il bambino.

Negli anni Cinquanta in quella zona della Sicilia occidentale le morti dei bambini sono purtroppo comuni. Montelepre, il paese del celebre bandito Salvatore Giuliano, non è lontano. E come Giuliano sono tanti gli uomini che si danno alla macchia. Alcuni sono delinquenti, ma la maggior parte, come comprende presto Danilo, sono poveri cristi che rubano perché non sanno come sfamare la famiglia.

A Trappeto i ragazzini giocano per le strade che sono letteralmente coperte di escrementi, perché non esistono fognature. Tra la fame e le malattie, il rischio di morire per i bambini è troppo alto e Danilo decide di fare qualcosa.

Borgo di Dio

Anche se ha trascorso gran parte della sua vita in Sicilia, Danilo Dolci non è siciliano. Se nascesse oggi non sarebbe neanche italiano. È nato a Sesana, una città in provincia di Trieste che ora è territorio sloveno. Arriva a Trappeto perché il padre, capostazione, ha lavorato lì in passato. Dopo alcuni anni Danilo ritorna nel paesino siciliano perché non è riuscito a dimenticare quello che il resto d’Italia sembra invece aver rimosso, cioè l’estrema povertà in cui vivono braccianti e pescatori del borgo.

Con l’aiuto di alcuni amici Danilo riesce a comprare un pezzo di terra dove costruisce una casa e poi un asilo, dove i bambini poveri di Trappeto possono trovare un pasto caldo e giocare in un luogo sicuro. Nasce così il Borgo di Dio, qui ancora oggi si respira il profumo degli eucalipti piantati da Danilo e il mare abbraccia chiunque vi si trovi.

Il digiuno dei mille e lo sciopero alla rovescia

Non si può conoscere davvero nulla di un luogo senza parlare con i suoi abitanti. Danilo applica questa regola, e parlando e lavorando con chi vive a Trappeto scopre la serie di problemi che affliggono quel territorio depresso. Ad esempio, i pescatori del borgo tornano con le reti vuote a causa della pesca illegale dei motopescherecci provenienti dalle città vicine. Per questa ragione a gennaio del 1956 Danilo organizza uno sciopero della fame collettivo sulla spiaggia di San Cataldo.

Qualche giorno dopo Danilo mette in atto un’altra idea. Dato che il lavoro manca, come si fa a scioperare? Lavorando gratis per lo Stato. Centinaia di disoccupati a Partinico, vicino Trappeto, sistemano una “trazzera vecchia”, una strada sterrata e impraticabile. Danilo prepara la manifestazione con una serie di lettere alle autorità, cui viene data diffusione sulla stampa locale e nazionale.

I manifestanti, tra cui anche il giovane Goffredo Fofi, chiedono l’applicazione della Costituzione e invocano il diritto al lavoro. Nonostante si tratti di una protesta pacifica, in cui vengono messi in atto insegnamenti della resistenza nonviolenta, Danilo viene arrestato insieme ad altri e condannato. A difenderlo c’è il padre costituente Pietro Calamandrei, tra i testimoni ci sono intellettuali come Norberto Bobbio, Lucio Lombardo Radice, Carlo Levi e altri. Il libro di Danilo “Processo all’articolo 4”, ripercorre i fatti giudiziari.

Centro studi e iniziative per la piena occupazione

Nel 1957 Danilo organizza a Palermo un convegno sul tema dell’occupazione, presentando gli esiti di una ricerca sulle possibilità di pieno impiego in dieci comuni della Sicilia occidentale condotta da alcuni giovani, tra cui il sociologo Lorenzo Barbera. Nello stesso anno a Danilo viene conferito un importante riconoscimento internazionale, il premio Lenin per la pace.

Con il denaro ricevuto apre una serie di centri studi, allargando la sua azione alla provincia di Trapani e di Agrigento. I centri raccolgono dati sull’economia locale per stabilire quali sono le esigenze del territorio, le possibili soluzioni e per stimolare i cittadini ad autorganizzarsi. Uno dei giovani che prendono parte al progetto è Pino Lombardo, che resterà uno dei più cari amici e collaboratori di Danilo fino alla morte di questo nel 1997.

Nel 1962 Danilo partecipa alla formazione del comitato intercomunale della valle del Belice, che di lì a pochi anni sarà sconvolta da un forte terremoto per il quale la ricostruzione – quasi cinquanta anni dopo – non è ancora terminata.

La diga sullo Jato

In un’economia come quella siciliana basata sull’agricoltura, Danilo capisce che bisogna trasformare il tipo di coltivazione da cerealicola a vitivinicola, per garantire ai braccianti la possibilità di lavorare tutto l’anno e non solo sei mesi come avveniva all’epoca. Ma per mettere in atto questo cambiamento è necessaria una cosa fondamentale: l’acqua per irrigare il terreno.

Danilo e i suoi collaboratori nel 1963 sostengono la nascita di un consorzio che riesce ad escludere le infiltrazioni mafiose e a completare la costruzione della diga sul fiume Jato dopo appena cinque anni di lavoro.

Marcia per un mondo nuovo

È il 1967 e migliaia di persone marciano per circa 200 chilometri nella Sicilia occidentale per chiedere diritti e lavoro. L’evento è simbolicamente importante perché segna una presa di coscienza della popolazione della valle del Belice in una manifestazione in cui partecipano importanti personalità e intellettuali siciliani, italiani e internazionali. Tra questi il poeta e attivista per la pace in Vietnam Vo Van Ai, il pittore Ernesto Treccani, Carlo Levi, Ignazio Buttitta, giornalisti e fotografi da tutta Italia.

(Danilo Dolci insieme a Peppino Impastato durante la marcia nel 1967. Credit: foto Wikipedia. Il pezzo continua dopo la foto)

Il terremoto

Nella notte tra il 14 e il 15 gennaio 1968 un terremoto di magnitudo 6.1 colpisce la valle del Belice distruggendo interi paesi e provocando oltre 400 vittime. Migliaia le persone che rimangono senza una casa in pieno inverno e le operazioni di soccorso per quello che è il primo grande disastro della Repubblica italiana sono tardive e insufficienti (all’epoca non esisteva nemmeno la protezione civile).

Il centro per la formazione creato da Danilo qualche anno prima si mobilita per il soccorso immediato e dopo otto mesi di stallo avvia una campagna di 50 giorni di pressione con marce di protesta, digiuni collettivi, scritte sui muri di Palermo e scioperi.

Il 25 marzo 1970, per denunciare la situazione critica dei terremotati che vivono ancora nelle tende, nasce la prima radio libera d’Italia, la Radio dei poveri Cristi, che viene chiusa dopo 26 ore di attività.

La Maieutica reciproca e la scuola di Mirto

Negli anni Cinquanta Danilo inizia a sperimentare la tecnica della maieutica reciproca, un metodo comunicativo che invece di dispensare verità preconfezionate, mira alla partecipazione diretta degli interessati e per questo li coinvolge e li invita a mettersi in discussione.

Questo approccio viene utilizzato negli anni Settanta nella scuola di Mirto, un istituto sperimentale fondato e finanziato da Danilo con la collaborazione di alcuni degli educatori più influenti al mondo, tra cui Paulo Freire e Johan Galtung.

Il Centro per lo sviluppo creativo

A partire dal 1985 Danilo si concentra sulla sperimentazione comunicativa ed educativa. L’attività di Danilo a quasi vent’anni dalla sua scomparsa viene portata avanti dal Centro per lo sviluppo creativo che porta il suo nome e che ha sede a Palermo.

— Leggi anche: La città fantasma abbandonata dopo il terremoto del Belice
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