Dopo 7 anni di umiliazioni, il caso Cucchi dimostra che si può ancora avere fiducia nella giustizia
TPI ha ricostruito la storia giudiziaria della morte di Stefano Cucchi, attraverso il commento di Fabio Anselmo, il legale che segue la vicenda da sempre
Sette anni di processi, 45 udienze, perizie, maxi perizie, 120 testimoni e decine di consulenti tecnici ascoltati. Sono i numeri di uno dei casi più seguiti dall’opinione pubblica italiana, che attende ancora verità. È il caso di Stefano Cucchi.
La storia del 31enne trovato morto nel 2009 per cause ancora da stabilire è a una svolta. Si è chiusa l’inchiesta bis avviata a dicembre 2015 con la richiesta da parte della procura di Roma del rinvio a giudizio di cinque carabinieri coinvolti, tre dei quali devono rispondere di omicidio preterintenzionale pluriaggravato dai futili motivi e dalla minorata difesa della vittima, abuso di autorità contro arrestati, falso ideologico in atto pubblico e calunnia.
“Questa richiesta rappresenta un vero e proprio riscatto dello Stato che finalmente sa inquisire e processare se stesso” spiega a TPI Fabio Anselmo, il legale che fin dal primo giorno ha seguito la famiglia Cucchi. “Il caso Cucchi era diventato l’emblema della frustrazione di una famiglia di normali cittadini rispettosi della legge, rimasti stritolati in meccanismi giudiziari più grandi di loro. Dopo sette anni di vicende giudiziarie, di umiliazioni, dopo aver subito quello che hanno subito loro, con un ragazzo, Stefano, morto di giustizia, è chiaro che siamo di fronte a un momento di fondamentale importanza”.
“A Fabio Anselmo importa di mio fratello. Semplicemente questo”, scrive di lui Ilaria Cucchi, sorella di Stefano. “E non gli importa perché è il nostro avvocato, mio e di Stefano. Gli importa perché gli vuole bene. Come gli voglio bene io”.
Ecco le fasi salienti dei processi per ricostruire la storia giudiziaria della morte di Stefano Cucchi.
L’accusa della famiglia Cucchi
Secondo i legali della famiglia Cucchi, Stefano fu picchiato violentemente prima ancora dell’udienza di convalida dell’arresto, la mattina del 16 ottobre. Dopo il ricovero all’ospedale Pertini, Stefano non fu accudito e nutrito. Fu lasciato morire di fame e di sete.
Tutte le date
• 15 ottobre 2009. Stefano Cucchi, 31 anni, è arrestato dai carabinieri nel parco degli Acquedotti. L’uomo è stato trovato in possesso di 20 grammi di hashish e di alcune pastiglie.
• Stefano Cucchi lavorava come ragioniere nello studio di famiglia, a Roma, nel quartiere Casilino.
• 22 ottobre 2009. Stefano viene trovato morto in una stanza all’interno del reparto protetto dell’ospedale Sandro Pertini di Roma, dove era ricoverato da quattro giorni.
• Il 31enne pesava 27 chili. Secondo i risultati dell’autopsia Stefano è morto alle tre del mattino.
• Marzo 2011. Comincia il processo di primo grado. Viene chiesto il rinvio a giudizio per 13 persone: tre infermieri, sei medici, tre agenti di polizia penitenziaria e Claudio Marchiandi, direttore dell’ufficio detenuti.
• Marchiandi, che aveva chiesto il rito abbreviato, viene rinviato a giudizio. È condannato a due anni per i reati di favoreggiamento, falso e abuso in atti d’ufficio per poi essere assolto in secondo grado ad aprile 2012.
• Per i medici le accuse sono di falso ideologico, abuso d’ufficio, abbandono di persona incapace al rifiuto in atti d’ufficio, favoreggiamento, omissione di referto. I poliziotti sono accusati di lesioni aggravate e abuso di autorità.
• 5 giugno 2013. Dopo tre anni di processo, è ufficializzata la sentenza di primo grado: assoluzione per gli agenti penitenziari e per gli infermieri coinvolti. Condannati i medici del Pertini per omicidio colposo.
• 31 ottobre 2014. Tutti gli imputati sono assolti nel processo d’appello per insufficienza di prove. La decisione è dibattuta e contrastata per le alternative che avrebbero potuto adottare i giudici. “Un’assoluzione per assenza di prove”, chiariva Luciano Panzani, presidente della Corte d’appello di Roma, sottolineando che “non c’erano elementi sufficienti per ritenere gli imputati colpevoli di un reato, che però c’è stato”.
• Gennaio 2015. I giudici della Corte d’appello di Roma depositano le motivazioni della loro sentenza, ma sostengono la possibilità di svolgere nuove indagini.
• Marzo del 2015. I legali della famiglia Cucchi e la procura di Roma depositano il ricorso in Cassazione contro la sentenza dell’ottobre 2014.
• Dicembre 2015. La Cassazione accoglie il ricorso, annulla le assoluzioni dei medici ma conferma quelle dei tre agenti di polizia penitenziaria. La procura di Roma avvia una nuova indagine. Viene chiesta una nuova perizia medico legale per stabilire se Stefano abbia subito percosse dai carabinieri e se siano state poste le condizioni per una “corretta ricostruzione dei fatti”.
• “Quell’episodio è un momento di vergogna incredibile per il nostro paese, ma anche per le stesse istituzioni”, ricorda l’avvocato Anselmo. “Da quel momento siamo ripartiti a testa alta. Abbiamo avuto la fortuna di trovare due testimoni e di mostrare che hanno nascosto verità evidenti”.
• Aprile 2016. Ilaria Cucchi lancia la petizione per chiedere che il parlamento e il governo approvino il reato di tortura in Italia. La petizione ottiene oltre 200mila firme in pochi giorni.
• “L’Italia ha prima di tutto bisogno di una crescita culturale oltre che di una legge sulla tortura”, commenta l’avvocato Anselmo. “Una legge di questo tipo lascia freddi gli italiani, la consapevolezza necessaria riguarda il rispetto fondamentale dell’essere umano. In Italia il sistema di comunicazione è fallimentare, definisce la famiglia Cucchi e noi legali il partito dell’antipolizia, quando chi rispetta le istituzioni e la polizia sono proprio queste famiglie. Vi è un sistema di scarsissima sensibilizzazione popolare per quello che è il tema delle condizioni di vita dei detenuti nelle nostre carceri. C’è bisogno di crescita e di conoscere, perché i casi Cucchi e Aldrovandi ci hanno dimostrato che può succedere a chiunque”.
• Ottobre 2016. I periti nominati dal gip Elvira Tamburelli sostengono che la morte di Cucchi sia stata “causata da un’epilessia in un uomo con patologia epilettica di durata pluriennale, in trattamento con farmaci anti epilettici”.
• Gennaio 2017. La procura di Roma chiede il processo con nuovi capi d’accusa a carico dei tre carabinieri: Alessio Di Bernardo, Raffaele D’Alessandro e Francesco Tedesco, che devono rispondere di omicidio preterintenzionale pluriaggravato dai futili motivi e dalla minorata difesa della vittima, abuso di autorità contro arrestati, falso ideologico in atto pubblico, calunnia.
• “Ricordo perfettamente la fatica, in senso egoistico, di partire da Ferrara e andare a fare un processo il cui esito era già perfettamente noto”, racconta il legame Anselmo, dopo che sono trascorsi sette anni dall’inizio dei processi. “Ricordo gli insulti subiti da questa famiglia, è stata una maratona incredibile. È stata una delle prove più dure della mia carriera professionale. Seguire sette anni di processo sapendo che avremmo dovuto perderlo perché non volevamo barattare una mezza verità. Le mezze verità a noi non servono. Abbiamo lavorato per rovesciare il caso, per impedire che ci fosse dato un contentino”.
• Febbraio 2017. La procura di Roma chiede il rinvio a giudizio di cinque carabinieri. Per tre di loro l’accusa è di omicidio preterintenzionale. Ad altri due carabinieri sono stati contestati i reati di calunnia e falso.
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