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Caro Peppino, ecco perché non ti meritiamo

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La lettera di un ragazzo siciliano nell'anniversario dall'omicidio del giornalista e attivista Peppino Impastato, ucciso dalla mafia a Cinisi, vicino Palermo

Sono passati 43 anni da quel 9 maggio del 1978. Da quando, dopo esserti percosso a morte, aver battuto la testa su qualche roccia ed essere morto, ti sei fatto anche saltare in aria, provando a mettere del tritolo sulla ferrovia. Questo è quello che hanno detto di te, quei pochi che a livello nazionale hanno prestato attenzione, 43 anni fa, alla barbara uccisione di un grande uomo come te.

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Hai avuto il coraggio di ribellarti alla tua famiglia, di cui facevano parte alcuni criminali, come fossi una goccia di limpida acqua del tirreno nella fogna mafiosa. Hai avuto forza, una forza immensa, e l’hai usata per compiere la più complicata delle missioni: essere onesti in un posto in cui regnavano l’ingiustizia, la prepotenza, l’omertà. Hai sfidato la morte, con integerrima decisione, e la morte hai trovato, per mano dei vigliacchi che ancora oggi infestano la nostra bella Sicilia.

Trentanove anni dopo, centinaia di morti dopo, non abbiamo fatto niente per dare un senso alla tua lotta. La mafia c’è ancora, e non è più come quella che conoscevi tu. Oggi è subdola, si insinua negli anfratti più nascosti della mentalità di tutti noi, si esprime con la mancanza di dignità, prendendo scorciatoie, raccomandazioni, mancando di rispetto agli altri e a noi stessi, alla nostra terra.

Oggi la mafia è la prepotenza di chi esige il pizzo e la vergogna di chi lo paga senza denunciare. La mafia sono le vili minacce di chi pretende di ottenere ciò che non gli spetta, togliendolo a chi lo ha meritato. Le raccomandazioni, la corruzione, i “favori” e chi accetta questa situazione senza neanche volerla cambiare: questa è la mafia, oggi.

Tu hai saputo resistere alle minacce, hai rinnegato la tua famiglia per migliorare te stesso e tutto il tuo paese, e per un momento, un solo fugace momento, hai compiuto la tua missione.

Tu non puoi saperlo, ma i tuoi compaesani, i cittadini di Cinisi, ti hanno eletto al Consiglio comunale, dopo la tua morte.

Non si erano arresi, non ci credevano che ti eri ammazzato provando a distruggere un pezzo della tua terra. E ora, 43 anni dopo, siamo sempre al punto di partenza. C’è sempre bisogno di uomini come te, uomini d’onore, ma che l’onore lo meritano davvero. È vergognoso vedere che ancora non riusciamo ad alzare la testa. Ci nascondiamo dietro il pretesto della paura, della rassegnazione, del “tanto non cambia niente, che posso fare io da solo?”.

Non ci rendiamo conto che noi, siciliani onesti, che tanto ci lamentiamo di quanto manchino le opportunità, non siamo soli. Noi, che sprechiamo fiato ripetendo “la mafia è una montagna di merda”, facciamo finta di non sapere che la soluzione ai nostri problemi sia dentro di noi.

Non è giusto che tu sia morto invano. Non è giusto che adesso, noi ragazzi, siamo costretti ad abbandonare la nostra terra per cercare le opportunità che non sappiamo crearci a casa. Non è giusto che le forze dell’ordine siano i “cornuti”, gli “sbirri”, il male, e i mafiosi siano parte della nostra cultura. Dopo millenni di storia, non possiamo essere identificati con la melma in cui sembra che vogliamo affogare.

Peppino, mi sa che noi siciliani veramente siamo tutti mafiosi. Altrimenti non capisco come il sacrificio tuo e di tanti altri grandissimi siciliani possa essere solo lo sbiadito ricordo di tempi e uomini che non ci sono più. Vorrei avere anche solo un briciolo del tuo coraggio e della tua forza, per rendere l’onestà e la giustizia la vera alternativa, la migliore, come hai fatto tu.

Continuiamo a nasconderci dietro le belle parole di lettere come questa, cercando di pulirci la coscienza, provando a incolpare qualcun altro della nostra incapacità. Sei morto perché la Sicilia non ti meritava, noi non ti meritiamo. Trentanove anni dopo, mi sento di chiederti scusa; in tutto questo tempo, non siamo riusciti ad essere un po’ più simili a te.

La lettera è stata scritta da Edoardo Caliò

Peppino Impastato è stato ucciso da Cosa Nostra il 9 maggio 1978 a Cinisi, vicino Palermo. Col suo cadavere è stato messo in scena un attentato suicida sui binari della ferrovia, allo scopo di distruggerne l’immagine.

Nel 1976 aveva fondato Radio Aut, una radio libera autofinanziata attraverso la quale denunciava apertamente le attività criminali del boss mafioso Gaetano Badalamenti, ribattezzato “Tano Seduto”.

L’11 aprile 2002 il boss Gaetano Badalamenti è stato condannato all’ergastolo dopo essere stato riconosciuto come mandante del delitto.

— Leggi anche: Ricordando Danilo Dolci, il Gandhi della Sicilia
— Leggi anche: Una canzone per Peppino Impastato
— Leggi anche: La mafia è una montagna di merda

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