Viva i bagni pubblici “gender free”. E diciamo basta anche all’etichetta “disabili”
Emilia libera, Emilia che abbraccia, Emilia che abbatte muri ed etichette. Perché la nostra mania di classificare a tutti i costi, infilando cose e persone in scatoloni e cassetti, alle volte rende complicato anche ciò che non dovrebbe esserlo.
Lo ripeto ogni volta quando, ad esempio, parlo dei bagni pubblici per le persone con disabilità: che senso ha ricordarci che siamo “speciali” e “diversi” anche quando andiamo al gabinetto? Che senso ha farlo se poi, tanto, trovi sempre il furbetto di turno pronto a rubarti proprio quello spazio che qualcuno, mosso dalla clemenza, ha deciso essere tuo “per legge” (e poi magari il ristorante a cui appartiene quel bagno ha quattro scalini al suo ingresso)?
Sarebbe molto più semplice rendere tutti i bagni accessibili, proprio tutti, sia quelli per uomini che quelli per donne, eliminando dunque il terzo recinto che di inclusivo, se ci pensiamo bene, non ha poi molto. Perché non andiamo a raccontare in giro che una targhetta inchiodata alla porta possa risolvere i problemi alla radice: quell’adesivo non rappresenta nessuno, non siamo figure stilizzate.
In Emilia Romagna però, fortunatamente, c’è chi ha scelto di andare oltre, un passo più avanti verso l’umanità e le sue molteplici differenze. Nulla di nuovo, sia chiaro, visto che in buona parte della nostra cara Europa civilizzata (soprattutto quella del nord) la concezione di “bagno unico” esiste già da tempo. Ma per il nostro bel Paese sentire il termine “gender-free”, ad esempio, capite bene quanto possa essere inevitabilmente destabilizzante (chi l’avrebbe mai detto, eh?).
Ce lo dice anche Alberto Nicolini, presidente Arcigay Reggio Emilia, quando in mezzo a ringraziamenti ricorda come questo protocollo potrà aiutare la comunità LGBT a togliersi la maschera: a lavoro, coi propri amici, in famiglia, a scuola, nella società, nell’espressione della propria cittadinanza, nel fare politica e attivismo. Ogni giorno, come dovrebbe essere per tutti oltre qualsiasi confine e schematizzazione.
Non ci dovrebbero essere infografiche per spiegare una persona, se non quelle che parlano di ciò che la rappresentano e di ciò che essa, unicamente, esprime. Anche per questo il 19 aprile il consiglio comunale di Reggio ha aderito ad alcune misure regionali (circa un centinaio) che intendono includere e tutelare i diritti LGBT contro qualsiasi discriminazione: l’inserimento del termine “altro” accanto ai generi “maschio” e “femmina” nei moduli ufficiali e istituzionali per non trincerarsi nella binarietà, l’utilizzo di un “alias” per i lavoratori in fase di transizione e in attesa di un pieno e ufficiale cambio di identità, un linguaggio più accorto e sensibile. E infine, appunto, i miei “tanto cari” bagni, finalmente per tutti.
Un salto “vitale” triplo e carpiato. Queste misure avranno una validità di cinque anni e sono già state firmate da Emma Petitti, assessore regionale alle pari opportunità, e da istituzioni come Provincia, Tribunale, AUSL, Istituti penali e l’Università di Modena e Reggio Emilia.
Particolare accoglienza è stata dimostrata da parte delle scuole, nidi d’infanzia compresi, forte segno della volontà non solo di educare a partire dai più piccoli ma anche del voler formare i grandi (docenti e genitori) all’uguaglianza e all’inclusione di genere. Che finché non semineremo rose e girasoli, continueranno a crescere soltanto erbacce.
La speranza adesso è che questo modello non resti un caso locale, circoscritto e di facciata, perché di esempi virtuosi e fini a se stessi non ne abbiamo bisogno: servono prese di coscienza che permettano di estendere questi provvedimenti, anche grazie all’associazionismo e alla rete di sensibilizzazione costantemente attiva, oltre i confini di Reggio e dell’Emilia Romagna stessa.
In fin dei conti basta davvero poco per pensare ad una società su misura di tutti, senza paletti né confini: ancor più facile, poi, è quando i diritti altrui non tolgono niente a noi stessi. Un mondo senza scale, che abbatta muri e costruisca ponti: bussare ad una porta chiedendo “è occupato?” per avere la sorpresa di una risposta sempre diversa, a prescindere dai generi, dalle posizioni, dalle prospettive che chi è dentro ha sul mondo. Magari fosse così la società di oggi: piena di incerta meraviglia.