Respingimenti in mare: tutti i precedenti
La decisione presa dal ministro del'Interno Matteo Salvini sulla chiusura dei porti italiani e il respingimento in mare della nave Aquarius ha dei precedenti storici. Li abbiamo elencati
Sta facendo discutere la decisione del ministro dell’Interno Matteo Salvini, il quale ha dichiarato domenica 10 giugno che avrebbe chiuso i porti italiani se Malta non avesse accolto la nave Aquarius con a bordo oltre 600 migranti. La nave di Medici Senza Frontiere è al momento ferma nelle acque del Mediterraneo. Segui qui gli aggiornamenti.
A luglio 2017 diversi esponenti istituzionali e politici italiani, avevano già parlato della possibilità di una chiusura dei porti italiani alle navi straniere come risposta all’afflusso di migranti via mare nel nostro Paese.
All’epoca, il senatore del Pd e presidente della Commissione difesa Nicola Latorre dichiarò in un’intervista che l’ipotesi presentata in sede UE era “giusta e opportuna”. Secondo Latorre, si trattava di permettere l’attracco nei porti italiani di navi straniere solo se veniva chiarito che altri paesi europei erano disposti ad accogliere i migranti, e allo stesso tempo che alcuni sbarchi avvenissero in altri Paesi europei.
Non si trattava dunque di un “blocco navale”, anche se l’espressione venne usata spesso in quel perioso. Il blocco navale è, secondo il Glossario di diritto del mare, «una classica misura di guerra volta a impedire l’entrata o l’uscita di qualsiasi nave dai porti di un belligerante». Si tratta insomma non di bloccare gli arrivi, ma di impedire – anche con la forza, se necessario – le partenze.
Il blocco navale viene invocato da anni da alcune forze politiche, come Fratelli d’Italia e Lega Nord, ma richiedere di dichiarare formalmente questa misura ostile al Paese interessato – in questo caso, la Libia – è un atto di guerra. Come tale, un blocco navale in senso proprio è impossibile.
L’ipotesi paventata da Latorre è poi decaduta.
Esistono però dei precedenti in questo senso, abbiamo elencato i più importanti storicamente.
I precedenti
• Per quanto riguarda i respingimenti in mare, l’Italia li ha messi in pratica nel 2009, dopo l’accordo tra Berlusconi e Gheddafi.
All’epoca, le navi intercettate in arrivo dalla Libia venivano riaccompagnate indietro senza procedere a nessuna valutazione delle situazioni bisognose di assistenza. Per questa pratica, l’Italia è stata condannata nel 2012 dalla Corte europea per i diritti umani: violava il principio internazionale del non respingimento dei migranti e li portava, disse la Corte, in un paese che non garantiva il rispetto dei diritti umani, e che non ha mai ratificato le convenzioni internazionali sui migranti.
Quando venne stretto l’accordo con Gheddafi, l’allora ministro degli Interni Roberto Maroni parlò di “risultato storico” nel contrasto all’immigrazione clandestina.
Le Nazioni Unite protestarono subito contro l’accordo, e presto emersero racconti drammatici – tra torture e maltrattamenti – delle condizioni in cui i libici tenevano i migranti riportati indietro, oltre 500 nel solo primo mese di respingimenti forzati.
• Un altro caso è quello della Cap Anamur. Il 20 giugno del 2004 venne negato a una nave battente bandiera tedesca di entrare nelle acque territoriali italiane. L’equipaggio della nave dichiarava di avere salvato da morte certa 37 migranti nel canale di Sicilia, ma le autorità italiane non credettero alla natura umanitaria del salvataggio e rifiutarono i permessi.
Dopo molti giorni, il 12 luglio fu concesso lo sbarco a Porto Empedocle, a cui seguirono il sequestro del mezzo e l’arresto di tre membri dell’equipaggio per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina.
I tre vennero poi assolti in primo grado nel 2009.
Le autorità italiane furono criticate per non aver accolto subito la richiesta di sbarco e per avere successivamente espulso quasi tutti gli sbarcati e l’associazione umanitaria tedesca proprietaria della nave fu accusata di aver forzato la mano nei giorni successivi al primo rifiuto per farsi pubblicità.
• Il 25 marzo 1997 il governo italiano di Romano Prodi e quello albanese di Sali Berisha strinsero un accordo a Roma con il quale l’Italia si impegnava – su formale richiesta albanese – a impiegare uomini e mezzi a ridosso delle coste albanesi e nelle acque internazionali del canale di Otranto per fermare l’afflusso di migranti verso le coste italiane.
I protocolli di applicazione sarebbero arrivati il 2 aprile, ma l’operazione scattò già al momento della firma.
Solo due giorni dopo, la motovedetta albanese Katër i Radës, carica di migranti, venne speronata in acque internazionali dalla nave italiana Sibilla: morirono 108 persone.
Gli sbarchi, di fatto, non si fermarono, e l’operazione della Marina militare italiana proseguì ancora per qualche mese.