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“I miei genitori adottivi mi hanno cacciata di casa e mi hanno impedito di vedere mio fratello”, storia di un’adozione fallita

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La storia di Aroti Bertelli, una ragazza di origini indiane adottata quando aveva 9 anni da una famiglia italiana insieme al fratello, e poi allontanata dalla casa dei genitori adottivi al compimento dei suoi 18 anni

Aroti Bertelli è una ragazza di origini indiane che viveva in un orfanotrofio di Calcutta e che fu adottata insieme al fratello Kamal da una famiglia italiana.

Aroti viveva in un villaggio nel distretto di Dhubri, insieme al fratello, i suoi genitori e ai suoi zii. Dopo la morte del padre, malato di malaria, una donna prese Aroti e il fratello Kamal. Furono entrambi portati all’orfanotrofio di Guwathi e successivamente in quello di Calcutta, dalle suore di Madre Teresa.

“Le suore che ci avevano accompagnato, se ne erano andate e ci avevano lasciato con i nostri nuovi genitori. Lungo quel corridoio dell’aeroporto, voltandomi verso loro ho pianto perché mi sentivo persa in questa nuova realtà”, ha raccontato Aroti a TPI.

“Mi sono spesso chiesta: ‘Se fossi rimasta lì, cosa sarebbe stato di me? Probabilmente sarei stata adottata da una famiglia indiana, forse sarei stata felice, o forse sarei rimasta in un istituto e con il sostegno sarei diventata un’adulta istruita ed indipendente”.

Come ha raccontato Aroti, il rapporto con la famiglia adottiva è stato molto conflittuale e difficile. Al compimento dei suoi 18 anni fu allontana dalla casa dei genitori e portata in una casa famiglia a Milano, separata fratello Kamal.

“Pensavano di aver finito il loro compito. Non sono mai stata accettata. Sono stata adottata a 9 anni, forse questo ha reso difficile tutto. Noi figli adottivi non siamo come i figli biologici che man mano, crescendo formano la loro identità identificandosi con i relativi genitori e amici. Noi adottati siamo venuti in questa parte di mondo come persone complete, con una storia personale, con un’identità culturale, con un’esperienza di abbandono”.

Aroti decise di fare causa ai genitori adottivi per averla mandata via di casa ma dovette rinunciare per il fratello Kamal.

“Tramite il mio avvocato scrissi loro una lettera a cui risposero solo: “Noi risponderemo solo alla legge divina”. Ho dovuto rinunciare per mio fratello Kamal che rischiava di finire con gli assistenti sociali”, ha raccontato Aroti.

Durante la permanenza negli orfanotrofi Aroti e Kamal strinsero un forte legame diventando l’uno il  punto di riferimento dell’altra. Dopo il suo allontanamento i genitori adottivi vietarono a entrambi di vedersi.

“Mio fratello Kamal ha sofferto molto per la nostra separazione. Ci vedevamo di nascosto e ogni volta mi chiedeva di tornare. Mia madre per tenerlo tranquillo gli diceva che mi avrebbe chiamata ma non lo faceva mai”.

“Nel 2013 mio fratello Kamal si è suicidato. Era il giorno del suo compleanno. Lui non riusciva a esternare ciò che provava, ma soffriva per il fatto che fossimo stati divisi. Mia madre adottiva era molto ossessiva nei suoi confronti nonostante mio fratello avesse 23 anni. Il suicidio di Kamal mi ha messo in ginocchio, facendomi sprofondare in un limbo da cui non credevo di riemergere”.

Nel 2016, Aroti, partecipò al programma televisivo Italiani Made in Italy che le permise di tornare in India per la prima volta dalla sua adozione.

“Con questo viaggio sono riuscita a mettere ordine nel mio passato ed ora posso vivere il mio presente con totale serenità nel cuore, guardare al futuro con il sorriso”, ha spiegato Aroti.

Ritorno alle origini è il titolo del libro di Aroti, scritto dopo il suo rientro dall’India, nel quale racconta la storia della sua difficile adozione e la storia del fratello Kamal. Adesso Aroti collabora con alcuni enti e onlus che si occupano di adozioni.

“La cultura dell’adozione è fondamentale per aprire gli occhi e fare luce anche su tutte quelle sfaccettature che restano nell’ombra, offuscate dallo stereotipo dell’adozione perfetta. Non esiste un’adozione perfetta, perché non esistono genitori perfetti e né figli perfetti”.

Come ha spiegato Aroti, molti certificati di nascita che vengono rilasciati al momento dell’adozione sono certificati di nascita fittizi.

“Nel mio certificato c’è scritto che sono nata a Calcutta. Io a Calcutta ci sono arrivata non ci sono nata. Ho provato a cercare la mia vecchia famiglia ma è difficile avere accesso al mio atto di adozione. Al momento nessuno vuole darmi informazioni”.

Il suo libro vuole essere un gesto per chiedere giustizia per la morte fratello e una maggiore consapevolezza sulle pratiche di adozione.

Secondo Aroti, gli enti che si occupano di adozioni dovrebbero iniziare a mettere al primo posto gli interessi e i bisogni dei bambini adottati e non la necessità delle coppie che vogliono adottare, così che ciò che è accaduto a lei e al fratello Kamal non accada ad altri. 

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