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Home » News

Chi sono gli hikikomori italiani che vivono isolati dal mondo reale

Immagine di copertina

TPI ha raccolto il parere di Marco Crepaldi e Antonio Piotti, due esperti che studiano i casi in Italia, e ha ascoltato la testimonianza di un giovane hikikomori

“L’hikikomoro in Giappone è considerato una persona che non studia e non lavora, isolato dalla vita sociale da almeno sei mesi, senza avere contatti con il mondo esterno. Queste persone si mantengono grazie ai genitori o con lavori sul web che gli permettono di non uscire di casa.

La maggior parte di loro ha tra i 13 e i 16 anni, vivono a casa ritirati dalla scuola, senza ottenere metodi alternativi di studio. Giocano ai videogiochi, navigano su internet. Abusano del pc, ma lo fanno perché sono isolati”.

Così Marco Crepaldi, amministratore e ideatore della prima community italiana per gli hikikomori, traccia per TPI un profilo di chi appartiene a questo fenomeno, riconosciuto per la prima volta in Giappone oltre vent’anni fa.

Gli hikikomori in Giappone

Come riportano alcune ricerche ufficiali condotte dal governo giapponese nel 2016, e riportate da testate internazionali quali la Cnn, gli hikikomori in Giappone raggiungono quota 540mila.

“Bisogna tener conto che questa tendenza all’isolamento è nata 20 anni fa, questo vuol dire che oggi ci troviamo di fronte a degli hikikomori di seconda generazione, uomini di 40 anni, che hanno perso i genitori o stanno per perderli, e che possono rappresentare una piaga per la società nipponica, è per questo che il paese si sta adoperando per studiare possibili soluzioni di sostentamento”, spiega Marco.

Gli hikikomori in Italia

In Italia i numeri non sono così elevati, è una tendenza che non ha contorni precisi, proprio perché fino ad ora non si è fatta nessuna statistica. Stando a quanto riporta Marco Crepaldi – e confermato dal dottor Antonio Piotti, psicoterapeuta e docente di prevenzione delle condotte auto lesive e del tentato suicidio adolescenziale, – le cifre possono oscillare tra i 60 e gli 80mila hikikomori con un’età compresa tra i 13 e i 16 anni, fino ai 25.

Marco Crepaldi gestisce e supporta una comunità su Facebook formata da 400 genitori e 300 ragazzi. Fa in modo che queste persone possano confrontarsi, dà consigli su come invogliare i più giovani a comunicare tra loro e li sprona a creare relazioni.

“Non è detto che il gruppo che gestisco sia un campione rappresentativo, sicuramente ci sono molti ragazzi del nord e provenienti dalle grandi città d’Italia, ma a livello statistico potrebbe non essere rilevante, perché magari nelle grandi città c’è semplicemente un numero più elevato di ragazzi. Gli Hikikomori sono spesso figli unici, o primi figli. Le famiglie che ci sono alle spalle non hanno problemi economici, questo dato è in linea con il Giappone”, prosegue Crepaldi.

Sui casi seguito fino ad oggi, solo un ragazzo è uscito completamente dall’isolamento e ha ripreso una vita normale. “Purtroppo anche chi ne sta uscendo ha dei forti problemi nell’intessere relazioni con gli altri, è una condizione molto legata al carattere e al proprio vissuto; anche perché al contempo questa persona potrebbe aver sviluppato delle patologie parallele, come la depressione”.

Tale affermazione è confermata anche dal dottor Piotti, il quale spiega che ci possono essere possibili co-morbosità. “Un isolamento prolungato può provocare altre patologie, sintomi depressivi, fobia sociale, abuso di internet. Sono tutti problemi che possono sorgere.”

Definizione

Secondo quanto spiega Crepaldi, sul manuale delle psicopatologie, l’hikikomori non figura come patologia, ma il suo comportamento è considerato come una sindrome culturale, le cui dinamiche sono oggetto di studio in Italia.

“Si possono rintracciare le cause che portano a questo isolamento nelle pressioni subite dal soggetto nella vita sociale: pressioni scolastiche, familiari, esigenze di ottenere standard alti nella vita lavorativa. Quando questi ragazzi non riescono a raggiungere gli obiettivi attesi, crollano e fuggono da queste pressioni”, spiega Crepaldi.

Secondo il dottor Piotti vi è anche una componente di non accettazione del proprio corpo.

“Si prova imbarazzo nel dover presentare sé stessi agli altri, e questo non è collegato con un aspetto meramente estetico, ma riguarda proprio l’immagine sociale che ognuno ha di sé. Una lotta interiore che trova terreno fertile in età adolescenziale. Per questo si tende a chiudersi in isolamento: in stanza si possono utilizzare relazioni sostitutive al contatto reale, con relazioni virtuali”, racconta l’esperto.

“Le nuove generazioni sono molto più creative, più intelligenti, belle e libere”, prosegue Piotti, “perché vivono in una società altrettanto libera e possono esprimere parti del sé al meglio. Ma questi ragazzi – più creativi e capaci – sono sottoposti a stimoli culturali più ampi e frequenti. La qual cosa li rende anche più fragili”.

“I giovani delle nuove generazioni sono meno propensi al fallimento, per loro un’esperienza negativa diventa una crisi profondo. La relazione col mondo è narcisistica: si ha la sensazione che il mondo debba riconoscere la tua superiorità e sei in difficoltà quando non avviene”.

Un altro fattore che può condurre all’isolamento è il bullismo cui sono stati sottoposti i ragazzi in adolescenza. “Leggendo le storie dei ragazzi sul forum il bullismo è sempre presente”, racconta Crepaldi.

Gli hikikomori e il web

Alcuni collegano l’isolamento all’uso delle tecnologie e del web in modo ossessivo, ma Crepaldi e Piotti riconoscono che questo utilizzo è un effetto, non la causa di tale comportamento.

Per Crepaldi, “L’abuso delle nuove tecnologie è più una conseguenza. L’inutilizzo delle nuove tecnologie per loro è una cosa negativa, significa che sono isolati completamente, almeno sul web hanno contatti con altre persone, su questo punto il dibattito è ancora aperto”.

“Se non ci fossero stati strumenti come i telefoni e i pc, gli hikikomori avrebbero potuto impazzire o addirittura suicidarsi. Per alcuni di loro la tecnologia è stata salvifica, li ha protetti dal crollo totale, per altri è stato dannosa”, ribadisce Piotti.

Secondo l’esperto, infatti, “la virtualità annulla la sessualità. Il fenomeno ha la sua consistenza e tenderà a svilupparsi”.

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