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Il sindacalista Aboubakar Soumahoro: “A San Ferdinando si muore carbonizzati. Basta passerelle, Di Maio risponda alle nostre domande”

Immagine di copertina

Aboubakar Soumahoro, dirigente sindacale Usb, rivolge alcune domande al ministro dello sviluppo economico e ministro del lavoro Luigi Di Maio, dopo la morte del 18enne Suruwa Jaiteh nella tendopoli di San Ferdinando

“Ci troviamo a distanza di meno di due anni e abbiamo due vite divorate dal fuoco, due corpi di giovani carbonizzati: il 27 gennaio 2017 moriva Backy Moses, 26enne, e adesso Suruwa Jaiteh, di soli 18 anni. Siamo in un territorio che possiamo definire una comunità di invisibili”.

A parlare è Aboubakar Soumahoro, dirigente sindacale Usb, dalla tendopoli di San Ferdinando in provincia di Reggio Calabria. Proprio lì, la notte di sabato 1 dicembre, è morto carbonizzato Suruwa Jaiteh, 18 anni, del Gambia, all’interno di alcune tende allestite nella baraccopoli.

Nella tendopoli di San Ferdinando si contano quasi duemila persone, molte delle quali impegnate nella raccolta degli agrumi. Come racconta Aboubakar a TPI, dalla morte di Backy nulla era cambiato, e nonostante i sopralluoghi di personalità politiche e istituzionali, ben poco si era fatto per cambiare le condizioni di vita di chi viene impiegato nei campi della piana di Gioia Tauro per pochi euro al giorno.

“Dal punto di vista abitativo”, spiega Aboubakar, “sono dei confinati, c’è una presenza sempre più corposa di braccianti perché siamo nel pieno della stagione agrumicola che andrà avanti fino a marzo prossimo”.

Suruwa Jaiteh, morto tra le fiamme, era regolare in Italia, titolare di permesso di soggiorno per motivi umanitari, e ospite dal centro di accoglienza di Gioiosa Jonica. Come mai si trovava lì?

“Da quanto sappiamo, Jaiteh era venuto a trovare un parente, come capita a tutti, quello che noi chiediamo è che sia fatta luce sulle circostanze di questa morte. Non si può morire tra le fiamme per il freddo”.

A San Ferdinando si muore per il freddo. Perché è così difficile realizzare un piano di integrazione nel territorio?

Per San Ferdinando dobbiamo ragionare su due livelli: dal punto lavorativo, possiamo dire che le persone che sono impegnate nella raccolta degli agrumi oggi vivono in una condizione di schiavitù.

Se ragioniamo da punto di vista abitativo, dobbiamo ricordare che parliamo di una regione, la Calabria, che ha avuto come dotazione finanziaria dall’Europa un miliardo e 100 milioni di euro per il piano di sviluppo rurale relativo al periodo 2013-2020. Un capitale che non è chiaro come sia stato utilizzato. È chiaro che partendo da questi elementi emerge che c’è una non volontà politica di dare una soluzione a chi vive e lavora in queste zone.

Perché uno di quei pilastri di quel piano europeo è proprio l’inclusione dei lavoratori all’interno delle aree rurali, vale a dire la lotta alle forme di impoverimento che lì si possono verificare.

Chi beneficia di quei contributi?

Sono anche le aziende a beneficiarne. Ma bisognerebbe porre maggiori regole, fare in modo che per ottenere i finanziamenti siano poste delle condizioni, come uno stipendio dignitoso per i lavoratori. Oggi alcuni di quei braccianti vengono pagati con olio o pacchi di pasta. Bisogna individuare queste aziende, fare i nomi.

La stessa aerea dove oggi sorge la baraccopoli di San Ferdinando è di interesse privati. Qui si sta costruendo la zona economica speciale (zes), noi vogliamo sapere dal ministro Di Maio e dalla Regione di cosa parliamo.

Cosa accadrà a quei braccianti?

Nulla viene detto ai lavoratori e a chi vive in quelle aree. Sappiamo che si sta lavorando per lo spostamento anche della nuova tendopoli portando le persone anche in altre zone, per fare cosa?

Per costruire l’ennesimo attendamento, come se il loro destino fosse quello di vivere all’interno delle baraccopoli.

Non è cambiato nulla dalla morte di quei ragazzi, per questo motivo le passerelle politiche le vediamo, le capiamo anche, ma poi?

Per Riace la macchina istituzionale si è mossa velocemente e il modello, al netto dei vari giudizi, è stato in qualche modo smantellato.

Esperienze virtuose come Riace, che dimostrano come in quelle stesse aree sia possibile una buona politica, vanno ostacolate, perché creano autonomia, umanità e dignità per le persone. Dava fastidio.

Secondo una “consequenziale” interpretazione del decreto sicurezza data dai prefetti di tutta Italia, da qualche giorno, hanno cominciato a riunire i gestori dei centri comunicando loro che i titolari di protezione umanitaria dovranno lasciare anche le strutture di prima accoglienza.

Tutti destinati alla strada come altri 40mila, questa la stima fatta dalle associazioni di settore. Luoghi come la tendopoli di San Ferdinando non rischiano di diventare ancor di più bombe pronte a scoppiare?

La condizione attuale dei richiedenti di protezione internazionale, e le varie forme di segregazione messe in campo, partono già dal decreto Minniti con la creazione dei tribunali speciali. La stessa filosofia viene rilanciata dall’attuale decreto Conte-Di Maio-Salvini che è di fatto un decreto che da un lato disumanizza, e dall’altra parte crea questa teoria del caos, facendoci credere che siamo in una situazione di emergenza quando in realtà non c’è.

Si va a delineare una sorta di caccia delle persone delle strutture che dovrebbero dar loro diritti e dignità. Invece queste persone si ritroveranno per strada o in luoghi come San Ferdinando o sotto i ponti, fuori dalle stazioni a dormire.

Ci troviamo di fronte alla violazioni di quelle convenzioni che l’Italia stessa ha ratificato a livello internazionale.

Cosa pensa del decreto Sicurezza e Immigrazione?

Non posso chiamarlo così perché tutto tranne che sicurezza. È stato fatto per nascondere i limiti e l’inadeguatezza politica di quanto è stato messo in campo fino ad adesso dal governo che è stato capace di dare risposte a questioni come disoccupazione e impoverimento. Non dimentichiamoci che parliamo di un territorio che è stato saccheggiato da anni dalla cattiva politica.

È chiaro che creando condizioni di caos si riesce a scappare dalle proprie responsabilità.

Crede che il governo stia sfuggendo alle proprie responsabilità?

Attirando l’attenzione su “emergenze” si può sfuggire dalle domande che si pongono su altri temi, come la disoccupazione. Finita l’emergenza si dovrà chiedere a chi amministra: si può parlare della disoccupazione?

Possiamo parlare di dove vanno a finire i finanziamenti comunitari? Vogliamo chiedere al ministro Di Maio qual è il progetto della zes (zona economica speciale), chi sono i soggetti coinvolti? Di quale piano occupazionale parliamo? Chi si sta sedendo al tavolo per parlare di quel progetto?

Quali sono le vostre richieste per il ministro Di Maio?

I dati della disoccupazione che sono emersi i giorni scorsi e resi noti dall’Istat parlano del 32 per cento di disoccupazione giovanile, cominciamo a parlare di questi temi. 

Parliamo del fatto che l’Italia è il terzo produttore di agrumi nell’area del Mediterraneo e che questi agrumi vengono raccolti grazie al lavoro degli invisibili e non solo all’interno delle nostre campagne, i temi sono questi. È chiaro che quando le stesse persone iniziano un percorso di sindacalizzazione, processo che noi abbiamo avviato, una ricerca di autonomia, quella ricerca della dignità diventa elemento di disturbo.

Per questo siamo qui a interrogare il ministro Di Maio, a chiedergli qual è la soluzione che propone una volta che parte il progetto zes in questa area.

Il 10 ci sarà l’incontro con il presidente della Regione e lì chiederemo conto di quel miliardo e 100 milioni di euro.

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