Un fantasma in una città fantasma
Alina Rudya fu costretta a lasciare Prypyat all'età di un anno, in seguito al disastro di Chernobyl del 1986. Nel 2011 ci è tornata per la prima volta
Nell’aprile del 1986 Alina Rudya aveva un anno e viveva nella città di Pripyat insieme a sua madre, di appena 23 anni.
Pripyat è nota perché sorge nelle adiacenze di quella che fu la centrale nucleare di Chernobyl. Nella notte del 26 aprile di quello stesso anno il padre di Alina, un ingegnere di 28 anni, si trovava al lavoro all’interno della centrale.
Una violenta esplosione causò il peggior disastro nucleare della storia, motivo per cui Pripyat venne rapidamente abbandonata per l’alto tasso di radiazioni che resero l’area completamente inabitabile.
Un tempo ospitava 50mila persone, ma negli anni l’infrastruttura della città è lentamente decaduta. Dopo il disastro del 1986, Pripyat venne rinominata città fantasma e oggi rimane ben poco di quello che fu circa trent’anni fa.
Nonostante tutto, il padre di Alina riuscì a salvarsi e la famiglia Rudya fu costretta a lasciare la città poco dopo il giorno dell’incidente.
Per questo, sua figlia fino a poco fa non era mai riuscita a vedere la città in cui è nata. Ventisei anni più tardi però, nel 2011, decise di tornare per la prima volta nella sua città natale.
Alina ha scelto di fare ritorno a casa nel suo ventiseiesimo anno d’età proprio perché, quando avvenne il disastro di Chernobyl, l’età media di Pripyat era di 26 anni.
Dal suo viaggio ne è venuto fuori un progetto fotografico, Prypyat mon amour, attraverso il quale Alina ha voluto mostrare le immagini di quella che oggi è una città abbandonata a se stessa.
Nel corso del suo soggiorno nella città ucraina, ha vissuto come un fantasma in una città fantasma. Nonostante la quiete e il suo silenzio, ha influenzato e continua a influenzare la sua vita.
Pripyat si trova a circa 100 chilometri dalla capitale ucraina Kiev, lungo il confine con la Bielorussia.
— Guarda il video: Cosa rimane dopo Chernobyl
Qui sotto il video del fotografo britannico Danny Cooke, girato con un drone, mostra quello che rimane di Pripyat in seguito al disastro di Chernobyl