La Turchia ha rimosso altre 15mila persone dal loro incarico
Finora sono 110mila i cittadini licenziati o sospesi in relazione al tentativo di golpe, mentre più di 36mila sono stati imprigionati e attendono il processo
La Turchia ha rimosso dal loro incarico circa 15mila persone tra dipendenti pubblici, ufficiali dell’esercito, agenti di polizia e professori e ha chiuso altri 375 istituti, tra associazioni, ong, cliniche private e giornali, in connessione con il fallito colpo di stato di luglio, con due decreti di emergenza, martedì 22 novembre 2016.
Finora sono 110mila le persone che sono state licenziate o sospese dal loro incarico nell’esercito, nella pubblica amministrazione, nella magistratura o in altri settori, mentre 36mila persone sono state imprigionate e attendono un processo perché sospettati di essere coinvolti nel tentativo di golpe. Da luglio la Turchia ha chiuso oltre 130 giornali ed emittenti.
Il presidente turco Erdogan accusa il religioso Fethullah Gulen e i suoi sostenitori, che definisce “l’organizzazione terroristica gulenista”, di aver orchestrato il colpo di stato in cui hanno perso la vita più di 240 persone. Gulen, che vive in esilio autoimposto negli Stati Uniti dal 1999, ha negato qualsiasi coinvolgimento e ha condannato il golpe.
Il giro di vite di martedì ha rimosso dal loro incarico più di cinquemila impiegati della pubblica amministrazione, 7.586 agenti di polizia e quasi duemila dipendenti delle forze armate. Sono stati destituiti con l’accusa di legami con organizzazioni terroristiche.
In parallelo alle purghe che hanno colpito i seguaci di Gulen, il giro di vite delle autorità turche ha riguardato anche i politici e le istituzioni che sono accusate o sospettate di avere legami con il Partito del lavoratori curdi (Pkk), un’organizzazione terroristica che da 32 anni combatte il potere di Ankara nel sudest del paese.
Gli alleati occidentali, in particolare europei, hanno espresso preoccupazione per la portata delle purghe di Erdogan e hanno minacciato di interrompere i colloqui per l’ingresso della Turchia nell’Unione europea, mentre un alto dirigente delle Nazioni Unite ha definito le misure “draconiane” e “ingiustificate”.
Erdogan ha rigettato le critiche sostenendo che la Turchia è determinata a combattere i suoi nemici in patria e all’estero e ha persino minacciato la possibilità di reintrodurre la pena di morte, accusando alcuni stati occidentali di connivenza con gli autori del golpe e di dare asilo a terroristi.