Tutto quello che c’è da sapere sulla riforma costituzionale in Turchia
Molti temono che la riforma voluta da Erdogan possa rappresentare una svolta autoritaria per il paese, che già negli ultimi mesi ha visto una stretta sulla libertà
A Recep Tayyip Erdogan essere il presidente di una repubblica parlamentare non basta più. Vuole diventare il presidente di una repubblica presidenziale. E di questo non ha mai fatto mistero. Per farlo ha bisogno di cambiare la costituzione, ed è quello che sta provando a fare.
Ecco cosa c’è da sapere e perché in molti temono che la riforma voluta da Erdogan possa rappresentare una svolta autoritaria per il paese, che negli ultimi mesi ha visto una stretta sulla libertà non indifferente, in particolare con la repressione seguita al tentato colpo di stato dello scorso 15 luglio. In Turchia vige lo stato di emergenza sin dal tentativo di golpe, esteso dopo una serie di gravi attacchi terroristici, sia di matrice curda che islamista, nel paese.
Fin dalla sua fondazione, avvenuta nel 1923, il paese è una repubblica parlamentare. Quello che vuole fare Erdogan è trasformarla in una repubblica presidenziale, sul modello statunitense in cui il capo dello stato è anche il capo dell’esecutivo. Erdogan e i suoi sostenitori affermano che la Turchia ha bisogno della leadership di un presidente forte per evitare che una fragile coalizione di governo metta a rischio lo sviluppo dell’ultimo decennio e vedono la riforma come una garanzia per la stabilità del paese.
Al contrario i suoi detrattori temono la svolta autoritaria e “dittatoriale”, e hanno paura che la riforma possa annientare qualsiasi garanzia contro lo strapotere di Erdogan, definito in più occasioni “sultano”. Il dibattito in aula del 10 gennaio 2017, in cui si è stata discussa la bozza di riforma, è stato acceso e ci sono stati scontri violenti tra i deputati: i membri del partito di Erdogan, Akp, si sono azzuffati con quelli della formazione d’opposizione, il Partito popolare repubblicano. Il Partito democratico del popolo, filo curdo, ha invece boicottato il voto. “Non useremo il nostro diritto di voto per questo progetto illegittimo in un contesto in cui i nostri deputati sono stati ingiustamente arrestati e non possono esercitare le loro funzioni”, ha detto Ayhan Bilgen.
Secondo i critici, le modifiche proposte hanno in realtà lo scopo di indebolire il parlamento e porterebbero a instaurare un sistema politico senza controlli, e a minare al sistema di pesi e contrappesi che in democrazia garantisce che nessuno dei tre poteri, esecutivo, legislativo e giudiziario, possa prevalere sugli altri, assicurando un bilanciamento del potere.
Domenica 15 gennaio il parlamento turco ha dato la sua approvazione preliminare alla nuova costituzione, con i tre quinti dei voti a favore della riforma. Se il parlamento confermerà il testo alla seconda votazione, prevista per questa stessa settimana, la riforma sarà poi sottoposta a referendum popolare.
Ogni modifica costituzionale deve avere il supporto di almeno 367 deputati sui 550 totali per poter essere approvata direttamente. Se invece ottiene 330 voti favorevoli deve essere sottoposta a referendum costituzionale, e questo potrebbe avvenire già nei prossimi mesi. Attualmente il partito di Erdogan, Akp può contare sui voti dei suoi 317 deputati e dei 39 dei nazionalisti dell’Mhp.
Alle elezioni parlamentari del 7 giugno 2015, il partito di Erdogan, pur ottenendo più del 40 per cento dei consensi, era uscito dalle urne sconfitto, poiché per la prima volta dal 2002, l’Akp non aveva ottenuto abbastanza seggi da assicurarsi la maggioranza per governare da solo, ottenendone solo 258. Il progetto di cambiare la costituzione sembrava lontano. Pochi mesi dopo però la Turchia torna alle urne per le elezioni anticipate.
L’1 novembre 2015 l’Akp raggiunge il risultato sperato, ottenendo il 49,3 per cento dei consensi e 317 seggi su 550 e si riprende la guida del paese, rendendo di nuovo possibile l’idea della riforma.
Cosa prevede la riforma – La repubblica parlamentare diventerebbe una repubblica presidenziale, dando al presidente della repubblica anche la guida dell’esecutivo. La nuova costituzione consentirebbe al presidente della repubblica di nominare e licenziare i ministri e abolirà la figura di primo ministro.
È prevista tuttavia la figura di un vice presidente, o due. Tra i nuovi poteri del capo dello stato turco ci sarebbe anche quello di emettere decreti presidenziali sulla maggior parte delle questioni in capo all’esecutivo senza bisogno di un passaggio parlamentare.
Il presidente avrebbe infine la facoltà di nominare i vertici dell’esercito e dei servizi segreti, i rettori delle università, i dirigenti nella pubblica amministrazione e alcuni vertici di istituzioni del potere giudiziario.
Se la riforma passasse, il presidente Erdogan potrebbe governare il paese fino al 2029 con poteri superiori a quelli attuali. Le nuove elezioni si terrebbero al termine del suo mandato nel 2019. Se venissero rispettate le regole costituzionali che impongono al presidente della Turchia due mandati da cinque anni, Erdogan potrebbe essere rieletto esclusivamente per un secondo termine e dunque fino al 2024. Ma l’introduzione della riforma azzererebbe il calcolo, permettendo due successivi mandati, fino al 2029.
Sarebbe inoltre molto difficile mettere sotto accusa il presidente della Repubblica da parte del parlamento, dal momento che sarebbero necessarie 301 firme per avviare il processo di impeachment, successivamente 360 voti per creare la commissione di inchiesta che potrà decidere se rinviare il giudizio alla Corte suprema e poi il voto di altri 400 deputati che dovranno decidere se proseguire con il processo.
Erdogan è alla guida della Turchia dal 2002. È stato sindaco di Istanbul dal 1994 al 1998 e primo ministro della Turchia per tre mandati consecutivi dal 2003 al 2014. Il 10 agosto dello stesso anno è diventato il primo presidente eletto direttamente dai cittadini, in precedenza il presidente della Repubblica era eletto dal parlamento.
Venne eletto con il 52 per cento dei consensi, battendo gli altri candidati Ekmeleddin İhsanoğlu, storico turco ed ex segretario generale della Organizzazione della cooperazione islamica che ottenne il 38 per cento delle preferenze e Selahattin Demirtaş, del Partito democratico del popolo, con il 10 per cento.
Attualmente il presidente della Repubblica, che originariamente doveva avere solo un ruolo cerimoniale di rappresentante dell’unità del paese, ha ampi poteri di controllo e supervisione sia dell’esecutivo che del corpo legislativo, ma non detiene la guida del potere esecutivo.