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Il paese dove il Papa non può andare

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Il fondatore dell'ong Amref Italia Tommy Simmons racconta su TPI quello che ha visto nel suo viaggio nel Sud Sudan, paese dilaniato da quattro anni di guerra civile

Il popolo del Sud Sudan sofferente e profondamente cristiano, avrebbe accolto la visita di Papa Francesco nel Paese come un forte segnale di speranza in uno dei momenti più oscuri della sua pur tormentata storia. Le sue attese parole, le immaginiamo centrate sulla tolleranza, la riconciliazione, la messa a tacere della voce delle armi, dovranno purtroppo essere aspettate ancora.

È perfettamente comprensibile che al Pontefice sia stato fortemente consigliato di non venire. Juba, la capitale del Sud Sudan, è costellata di caserme, di uffici ministeriali presidiati da una ben visibile presenza di soldati e poliziotti con armi non solo leggere. Per il Sud Sudan intero resta comunque viva la speranza dell’arrivo, un giorno, di Francesco. I suoi messaggi di pace serviranno anche nei mesi e negli anni a venire.

Qui in Sud Sudan sono tutti stremati dal conflitto interno. Per decenni il Sud Sudan ha lottato, quasi sempre unito, contro il nemico comune di Khartoum, e dopo decenni di atroci guerre e dopo la totale distruzione di ogni infrastruttura e sistema sociale del paese, ha finalmente conquistato l’indipendenza. Poi la gioia totale per la libertà acquisita e gli anni di stabilità e di graduale crescita hanno concesso il posto al confitto interno (incivile) di sudsudanesi contro sudsudanesi, e la delusione nei riguardi del proprio stato libero ed indipendente è profonda.

(Credit: Amref Italia. L’articolo continua dopo la foto)

La gente vuole solo poter tornare a casa, tornare a lavorare, mandare i figli a scuola, contribuire al miglioramento della vita delle proprie famiglie e del proprio paese finalmente unito. Invece ancora c’è insicurezza, ancora c’è una fame crescente, ancora l’inflazione rende il denaro carta straccia, e ancora la libertà non è stata conquistata.

Le condizioni sanitarie sono al collasso. “Questo è l’unico ospedale di riferimento di tutto lo Stato del Western Equatoria. Qui riceviamo anche pazienti provenienti dagli stati di Tambura, Maridi e Amadi. Siamo l’unico ospedale di riferimento e abbiamo solamente 170 posti letto disponibili”, racconta il dottor Ismahil Mohamed, direttore dell’Ospedale di Yambio.

“Siamo una nazione giovane e istituzioni come le università sono ancora in una fase embrionale. Abbiamo bisogno di più personale qualificato, di formare nuovo staff, per questo assieme al ministero della Salute abbiamo aperto una scuola all’interno dell’ospedale per ostetriche, operatori clinici, infermieri e tecnici di laboratorio”.

Un centro di formazione, però, ha bisogno di strutture, che qui mancano perché non ci sono abbastanza risorse per tirale su, manca il materiale didattico (spesso si dispone di un solo libro per un’intera classe) e – ciò che più conta – mancano gli insegnanti.

(Credit: Amref Italia. L’articolo continua dopo la foto)

La fuga del personale sanitario è uno dei problemi più gravi del paese. Chi ha studiato e può permetterselo, lascia il Sud Sudan, i suoi scarsi e fatiscenti ospedali con stipendi da miseria. “Trattenere operatori sanitari e tutor che possano formare i professionisti del futuro è un grave problema attualmente”, spiega il dottor Mohamed. “Non abbiamo abbastanza insegnanti perché non possiamo offrire loro uno stipendio. Quelli che sono rimasti lavorano su base volontaria, ma questo non va bene perché finisce per impattare sulla qualità dell’insegnamento e sulle performance degli studenti”.

“Oltre il 90 per cento dello staff di questo ospedale proviene dalla scuola di Maridi avviata da Amref. Le nostre infermiere, le ostetriche, quasi tutti i nostri operatori sono stati formati da Amref negli ultimi 20 anni. Ma è evidente che il numero di professionisti formati dall’istituto di Maridi non è sufficiente a coprire il fabbisogno dell’intero Sud Sudan”.

Gli operatori sono così pochi che non riescono a curare tutti. Spesso sono costretti a compiere una scelta, la scelta. “Riceviamo di continuo bambini, ultimamente i casi di malnutrizione si sono moltiplicati”, riferisce un’infermiera dagli occhi tristi. “Non abbiamo abbastanza staff, non abbiamo stanze, non abbiamo letti. Siamo costretti a rimandarli a casa”. Talvolta si riesce a distribuire loro del PlumpyNut (n.b. alimento terapeutico altamente energetico), ma sono così tanti che ne servirebbero tonnellate. “Questa della malnutrizione è una prova enorme da superare. È veramente troppo”.

* Tommy Simmons è il fondatore dell’organizzazione non governativa Amref Italia (African Medical and Research Foundation) che si propone di migliorare la salute in Africa attraverso il coinvolgimento attivo delle comunità locali

Amref ha lanciato qui un appello per l’allarme fame in Sud Sudan.

— Leggi anche: Cosa ho visto con i miei occhi in Sud Sudan
— Leggi anche: Il Sud Sudan è sull’orlo di una catastrofe umanitaria
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