In Siria si continua a morire
170mila persone sono morte dall’inizio del conflitto. 700 solo nell'ultimo fine settimana. Quasi 3 milioni i profughi
In un momento storico dove le cronache di tutto il mondo sono concentrate sugli avvenimenti in Ucraina e nella Striscia di Gaza, il conflitto in Siria rischia di venire dimenticato. Eppure, in Siria, sono morte 700 persone solo nell’ultimo finesettimana.
Nonostante la guerra civile siriana vada avanti dal marzo 2011, gli scontri sembrano non volere rallentare. Governo, califfato sunnita dell’Is e altri gruppi di ribelli si contendono quotidianamente il controllo di giacimenti di gas e altre risorse naturali.
Nella notte tra mercoledì e giovedì della scorsa settimana, a poche ore dal nuovo giuramento presidenziale di Bashar al-Assad, 270 soldati filogovernativi hanno perso la vita in uno scontro armato contro le milizie dell’Is nei pressi del giacimento di Shaer, nella regione centrale di Palmyra. Lunedì, invece, l’esercito regolare ha respinto un attacco dei ribelli anti-Assad nella capitale Damasco.
I dati sono inquietanti: 170mila persone sono morte dall’inizio del conflitto, mentre sono quasi tre milioni i profughi che hanno trovato rifugio nei Paesi limitrofi.
L’eterogeneità delle forze in campo è molto ampia e confusionaria, considerata anche la difficoltà di reperire notizie dalla regione. Al momento, il protagonista dello scacchiere siriano è l’Is che, oltre alla forte opposizione in Iraq contro il premier al-Maliki, rappresenta una seria minaccia per il governo siriano nel nord est del Paese, di fatto nelle mani del califfato di al-Baghdadi (leggi il profilo sul capo dello Stato Islamico).
A Damasco le forze alawite vicine ad Assad continuano ad avere un certo controllo sulla zona. Ad Aleppo, invece, centro nevralgico degli scontri, la regione è contesa tra il governo centrale e gruppi di ribelli di fede prevalentemente sunnita.
Nel frattempo, la Coalizione nazionale siriana, la quale riunisce parte delle forze di opposizione ad Assad, ha votato a favore della formazione di un nuovo governo ad interim, in contrasto con il regime attuale.
Questo governo, che non si trova in Siria, bensì a New York, si pone l’obbiettivo di fare un’opposizione più dura – sia pure a distanza – anche se la sua influenza sui movimenti attivi nel territorio siriano risulta essere molto scarsa.