Come stanno oggi le cose tra Trump e la Russia
Tutto quello che c'è da sapere sugli scandali che legano l'amministrazione del nuovo presidente degli Stati Uniti con Mosca
Dall’insediamento alla Casa Bianca il presidente statunitense Donald Trump è stato travolto da scandali sui rapporti tra i membri della sua amministrazione e funzionari russi.
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Dall’hackeraggio del comitato del Partito democratico statunitense, alle dimissioni del consigliere per la Sicurezza Nazionale Michael Flynn, fino alla notizia che il ministro della Giustizia americano Jeff Sessions ha parlato con l’ambasciatore russo a Washington durante la campagna elettorale. E, infine, l’ombra di un dossier non verificato secondo il quale la Russia avrebbe informazioni compromettenti su Trump.
Ma cosa è successo esattamente? E in che modo questi scandali sono collegati tra loro, se lo sono?
L’hackeraggio russo ai danni dei democratici
A giugno 2016 hacker russi hanno attaccato i sistemi informatici del Partito democratico statunitense. Qualche tempo dopo informazioni su Hillary Clinton e la sua campagna sono state diffuse tramite Wikileaks.
La Cia ha fatto sapere che sono stati proprio attori legati al governo russo a fornire all’organizzazione di Julian Assange migliaia di email hackerate ai danni del partito democratico e di singoli membri del team della Clinton, compreso il presidente della campagna della candidata democratica John Podesta. Lo scopo secondo gli agenti sarebbe stato proprio quello di favorire Trump nella corsa alla Casa Bianca.
La conseguenze non si fanno attendere. A dicembre 2016 l’allora presidente degli Stati Uniti Barack Obama aveva espulso 35 diplomatici russi, accusandoli di lavorare per i servizi segreti di Mosca. Il Cremlino in un primo momento aveva minacciato di reagire con una misura analoga contro i diplomatici statunitensi, ma poi il presidente russo Vladimir Putin aveva cambiato idea, incontrando le lodi di Trump.
Il dossier non confermato secondo il quale Trump sarebbe ricattabile dalla Russia
A gennaio 2017 è stato pubblicato dalla stampa un dossier in cui si sostiene che il presidente eletto Donald Trump sarebbe ricattabile dal governo russo.
Secondo il documento, Putin avrebbe “coltivato, supportato e assistito Trump per almeno cinque anni” per “incoraggiare liti e divisioni all’interno dei paesi occidentali” e mettere in crisi l’ordinamento internazionale scaturito al termine della seconda guerra mondiale.
Nel dossier si sostiene che il Cremlino abbia offerto a Trump “una serie di accordi commerciali favorevoli”, insieme a “un regolare flusso di informazioni di intelligence”, incluse sui democratici e sui rivali politici all’interno del partito repubblicano.
Il dossier incluse dettagli sulla visita di Trump a Mosca nel 2013 in occasione del concorso di bellezza Miss Universo. Secondo il documento Trump avrebbe pernottato all’Hotel Ritz Carlton e dalla suite le spie russe avrebbero raccolto materiale compromettente dal punto di vista sessuale che “sarebbe sufficiente a ricattare il presidente degli Stati Uniti”.
Trump ha liquidato la notizia del dossier come una “falsità”. È difficile contestare il contenuto “geopolitico” del dossier, sul fatto che Putin miri a indebolire l’Alleanza atlantica. Ma rimangono dubbi sulle fonti del documento, dal momento che molte di queste sono anonime.
-–- LEGGI ANCHE: Cosa sappiamo – e cosa è vero – del dossier su Trump e i suoi rapporti con la Russia
I rapporti tra lo staff di Trump e l’ambasciatore russo in campagna elettorale
Il Washington Post ha diffuso martedì 2 marzo 2017 la notizia che il ministro della Giustizia americano Jeff Sessions ha parlato con Sergey Kislyak, l’ambasciatore russo a Washington, quando era consigliere di politica estera per la campagna elettorale di Donald Trump. Gli uomini si sarebbero incontrati a luglio e a settembre.
Secondo la stampa, Sessions era in buona compagnia, dal momento che anche altri tre consiglieri del presidente Trump avrebbero parlato con il diplomatico russo.
Sessions, durante l’audizione in Senato per la conferma della sua nomina, dichiarò di non aver mai incontrato funzionari russi e di non essere a conoscenza di interazioni avvenute tra lo staff di Trump, allora candidato alla presidenza, e diplomatici di Mosca. Il ministro della Giustizia ha dichiarato che scriverà una lettera al Senato per chiarire la sua posizione.
Il 13 febbraio 2017 il consigliere per la sicurezza nazionale di Trump Michael Flynn si è dimesso dopo essere stato travolto dalle critiche per un caso simile. Infatti è emerso che aveva discusso con l’ambasciatore russo Kislyak delle sanzioni a Mosca, e precisamente della possibilità di rivederle, prima ancora dell’insediamento del nuovo inquilino della Casa Bianca. Agendo da privato cittadino Flynn ha commesso un illecito, senza poi riferirne integralmente all’amministrazione.
Ad agosto 2016 anche il capo della campagna elettorale di Trump, Paul Manafort, si era dimesso dopo essere finito al centro delle polemiche per il suo lavoro per il partito filorusso dell’ex presidente ucraino, Viktor Yanukovych, per il quale era stato accusato di aver ricevuto quasi 13 milioni di dollari.
Chi è l’ambasciatore russo Sergey Kislyak?
L’uomo al centro delle polemiche che coinvolgono lo staff di Trump è l’ambasciatore russo a Washington, Sergey Kislyak. Nominato nel 2008, Kislyak ha 66 anni e una lunga carriera diplomatica alle spalle, durante la quale si è speso per rendere sempre più solido il legame tra Russia e Stati Uniti.
Il suo primo incarico all’estero è stato a New York dove ha lavorato presso la delegazione sovietica presso le Nazioni Unite nei primi anni 1980. Ha trascorso gli anni successivi come il primo segretario e poi consigliere presso l’Ambasciata sovietica a Washington, prima di tornare a Mosca nel 1989, dove ha occupato una serie di posti di lavoro di alto livello presso il ministero degli Esteri.
Ha ricoperto anche l’incarico di ambasciatore russo in Belgio e, contemporaneamente, servito come inviato di Mosca presso la Nato. Infine, è stato viceministro degli Esteri russo, e si è occupato delle relazioni con gli Stati Uniti e della questione di controllo delle armi, prima di essere inviato a Washington.
Gli incontri di Kislyak con membri dello staff di Trump hanno suscitato domande circa il suo ruolo o il suo coinvolgimento nell’hackeraggio contro i democratici, domande a cui è ancora difficile rispondere.
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