I 69 anni di David Bowie
Il trasformista del rock festeggia il compleanno con un nuovo, ipnotico album: Blackstar
Uno come lui, che ha fatto della sua carriera un continuo
guardare in avanti piuttosto che aggrapparsi nostalgicamente al passato, non
poteva non festeggiare i suoi 69 anni se non con l’uscita di un nuovo album, Blackstar, da oggi in vendita.
Trattandosi di David Bowie, poi, che dei cambi di rotta e
dei mutamenti ha fatto la sua cifra stilistica da sempre, non è una sorpresa
che il nuovo disco sia completamente diverso da tutto quanto abbia prodotto
finora, più lontano del solito dal rock e più vicino a una musica mistica,
esoterica, jazzata e dalle forme dilatate e irregolari.
In un’epoca in cui ogni amante del classic rock deve fare i conti con l’invecchiamento irrimediabile
dei suoi eroi, che nel peggiore dei casi mettono in scena ormai ingrassati e
senza smalto i loro vecchi successi – e nel migliore dei casi accettano con
dignità la parte di vecchi saggi senza più ispirazione – Bowie si dimostra un’eccezione
sorprendente.
Anche se Blackstar non
convince del tutto, probabilmente proprio per la sua volontà di distaccarsi da
ogni tentazione pop ed esplorare territori più oscuri e impervi, non si può non
ammirare chi, a 69 anni compiuti l’8 gennaio, continua imperterrito a mettersi
in gioco senza mai giocare sul sicuro.
(Qui sotto: David Bowie in Australia, dove è stato girato il video per la canzone Let’s Dance. Credit: The David Bowie Archive)
La sua figura, dopo un malore che lo colpì durante il suo
tour del 2004, ha assunto un carattere ancora più misterioso e impalpabile che
in passato, vista la decisione dell’artista di ritirarsi a vita privata e, per
dieci lunghi anni, di non pubblicare alcun inedito. Questa lunga pausa fu
interrotta nel 2013 da un inaspettato, energico nuovo album, The Next Day, che oltre alla sua voce lasciò
intravedere al mondo qualche nuova immagine di un Bowie invecchiato ma più
carismatico e autorevole che mai.
Ora il Duca Bianco torna a mostrarsi, e il video di Blackstar, primo singolo dell’album, lo
vede anche questa volta in grado di spiazzare i suoi seguaci, mentre interpreta
una sorta di profeta bendato e con due bottoni al posto degli occhi, tra scene
alla Eyes Wide Shut e musiche
ipnotiche che sembrano non riconducibili ad alcun genere preciso.
D’altronde David Bowie è sempre stato solo e soltanto David
Bowie, senza mai (a parte forse qualche perdonabile caduta nell’autocelebrazione)
cavalcare il suo mito per evitare di uscire da una comfort zone musicale o stilistica.
Aveva iniziato adolescente come
sassofonista per un gruppo di rock’n’roll londinese, poi studiò da mimo, e nel
1969 raggiunse il primo grande successo quando la sua Space Oddity, storia senza lieto fine del Maggiore Tom e del suo
viaggio nello spazio, fu scelta per fare da colonna sonora all’allunaggio della
missione Apollo.
Nel giro di un paio d’anni era già passato dal cantare di
astronauti a cantare di alieni, interpretando il personaggio senza sesso e
senza età di Ziggy Stardust, l’uomo delle stelle caduto sulla Terra per
convertire migliaia di adolescenti al glam
rock e sostituire i Beatles nei cuori dei giovani inglesi.
Poi un decennio,
gli anni Settanta, che lo vide sempre più risucchiato nella tossicodipendenza e
nella paranoia, cosa che non gli impedì di sfornare a getto continuo album che
avrebbero influenzato in modo decisivo la musica futura, grazie alle
collaborazioni con Brian Eno e Tony Visconti e ai suoni futuristici di
produzioni come quelle della “trilogia berlinese”, tra cui Heroes.
Bowie era ormai il Thin
White Duke, l’esile Duca Bianco aristocratico, platinato, snob, vagamente
fascistoide ma sempre proiettato verso ciò che di nuovo potesse essere creato
in musica.
Negli anni Ottanta, poi, quando sembrava ormai una rockstar in
declino, un nuovo colpo di coda, con il pop raffinato e ballabile di Let’s Dance, e una nuova immagine da
divo ormai maturo, ripulito e per tutti i palati, in grado di invadere per anni
le frequenze di MTV con i suoi videoclip.
Da allora in poi forse le hit di Bowie non sono state poi molte, ma tra viaggi nell’hard rock e nel trip hop, tra cambi di pettinature e di musicisti, la sua cifra
costante è stata quella della metamorfosi perenne, perché come cantava quarant’anni
fa in Changes, “il tempo potrà
cambiarmi, ma io non posso inseguire il tempo”. Buon compleanno, Mr. Bowie.