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Home » News

Unioni civili, una legge di civiltà per l’Italia intera che non è più rinviabile

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L'Italia è l'unico paese nell'Europa occidentale che non riconosce le unioni civili e i matrimoni tra coppie dello stesso sesso. È ora di svegliarsi, italiani

Stefano e Antonio convivono da oltre dieci anni. Vanno a fare la spesa insieme, mangiano insieme, viaggiano insieme e dormono insieme. Si amano, e sono una famiglia felice.

Nel settembre del 2014 si sono sposati a Londra e poco dopo hanno deciso di ritornare in Italia, a Perugia. Una volta varcato il confine, Stefano e Antonio hanno perso il diritto di essere riconosciuti come una famiglia: per lo stato italiano, sono semplicemente due persone che vivono sotto lo stesso tetto. Nulla di più.

L’Italia è l’unico paese nell’Europa occidentale che non riconosce le unioni civili e i matrimoni tra coppie dello stesso sesso. Sotto il peso delle lobby cattoliche e dei gruppi di destra più conservatori, i diritti delle coppie LGBTI – sigla che indica lesbiche, gay, bisessuali, transessuali e intersessuali – sono stati finora calpestati. 

Le coppie omosessuali non hanno accesso a un mutuo agevolato per acquistare la loro futura casa. Se uno dei due è gravemente malato, il partner non può andare in ospedale durante le ore riservate solamente ai familiari più stretti. Se vogliono allargare la propria famiglia e avere dei figli, non hanno la possibilità di adottare un bambino.

Il 28 gennaio 2016, il Senato ha iniziato a discutere il tanto atteso disegno di legge sul riconoscimento delle unioni civili, presentato dalla senatrice del Partito Democratico Monica Cirinnà. Il ddl ha riacceso le speranze di chi, da tanto tempo, sta portando avanti una dura battaglia per vedere i propri diritti riconosciuti:

“Questa non è esattamente la legge che volevamo, perché non si parla né di matrimonio per coppie dello stesso sesso né di adozioni, ma almeno risolverebbe molti dei problemi pratici che le coppie LGBTI si ritrovano ad affrontare nella loro vita quotidiana”, dice Stefano Bucaioni, vice-presidente di Arcigay e consigliere del direttivo dell’ong Omphalos a Perugia.

“In molti Paesi europei la legge sulle unioni civili è stata il prerequisito per poi arrivare al riconoscimento del matrimonio vero e proprio, quindi si tratta di un importante passo in avanti”, aggiunge Stefano. 

La lotta per i diritti LGBTI in Italia

“L’atteggiamento verso la comunità LGBTI non è così negativo come lo era 30 o 40 anni fa”, dice Stefano. “Molti hanno amici, colleghi, figli LGBTI, e la società italiana ormai è più aperta. Il problema è che la politica è tuttora fortemente influenzata dalla Chiesa e dall’estrema destra, che ostacolano ogni cambiamento”.

Il 24 gennaio, oltre un milione di persone è sceso nelle piazze di un centinaio di città italiane, a sostegno della legge sulle unioni civili. A gran voce, i manifestanti hanno chiesto all’Italia di “svegliarsi”.

— Leggi anche: “Perché siamo scesi in piazza per le unioni civili”

Nello stesso giorno, in tre città – Torino, Milano e Siena – il movimento contro le unioni tra persone dello stesso sesso noto come le Sentinelle in piedi ha tenuto una contro-protesta, stando fermi e pregando in silenzio.

Nel loro sito web, le sentinelle in piedi affermano di non essere un gruppo omofobo, ma di manifestare “per amore della libertà di poter dire che siamo nati maschi e femmine, e che l’unica dualità possibile è quella uomo-donna”.

Stefano Bucaioni conosce bene le Sentinelle. Il 29 marzo 2014, lui e altri attivisti LGBTI si diedero appuntamento in una piazza a Perugia, dove le sentinelle stavano tenendo una veglia. In segno di protesta, Stefano diede un bacio a suo marito. Cinque mesi dopo, ricevette una notifica di conclusione delle indagini: con quel bacio, aveva violato l’articolo 659 del codice penale sul “disturbo della quiete pubblica”.

“Secondo il rapporto della polizia, il nostro lungo e appassionato bacio aveva disgustato i passanti e disturbato la protesta anti-LGBTI delle sentinelle. Sono accuse che potrebbero quasi far ridere, se non fosse che riflettono gli stessi atteggiamenti omofobi contro cui lottiamo ogni giorno”, dice Stefano.

Il 30 gennaio 2016, a Roma si è tenuto il Family Day, una protesta a difesa della cosiddetta “famiglia tradizionale”. Molti dei presenti avevano tradito il proprio partner, erano divorziati, e avevano avuto bambini pur senza essere sposati – tutte cose fortemente condannate dalla Chiesa cattolica. Nonostante ciò, erano in piazza a chiedere che si rispettasse la tradizione, perché i matrimoni gay sono “contro natura e contro la legge”.

Paradossalmente, le relazioni tra persone dello stesso sesso erano comuni nell’antica Roma e diversi imperatori erano omosessuali o bisessuali. Nel 342 dopo Cristo, però, gli imperatori Costanzo II e Costante approvarono una legge per proibire le unioni omosessuali e qualche decennio più tardi si decretò che i gay dovessero essere condannati al rogo.

A quasi due millenni di distanza dalla promulgazione di quella legge, Giovanni de Paoli (Lega Nord) ha detto in pubblico che brucerebbe il figlio se scoprisse che fosse gay. 

“Stiamo assistendo a sempre più casi di omofobia e violenza contro la comunità LGBTI qui in Italia, con metodi e modelli importati da altri gruppi omofobi e di estrema destra diffusi in altri Paesi europei,” denuncia Stefano.

“È incredibile che qui in Italia non ci sia ancora una legge contro i discorsi omofobi e le discriminazioni. Nella lotta per i diritti LGBTI, abbiamo ancora molta strada da fare”.

Cosa cambierebbe la nuova legge per le coppie LGBTI?

In caso di approvazione, il ddl garantirebbe il riconoscimento delle unioni civili per le persone dello stesso sesso e quasi tutti gli stessi diritti e gli stessi doveri che sono riconosciuti alle coppie sposate.

L’articolo più controverso è quello sull’adozione dei figlio del partner (step-child adoption), contro cui si è schierata anche l’ala cattolica più intransigente del PD. 

In un’intervista con l’Ansa, il commissario per i diritti umani del Consiglio d’Europa Nils Muižnieks ha sottolineato come con questa legge non si stanno creando nuovi diritti, ma si stanno semplicemente “eliminando le discriminazioni basate sull’orientamento sessuale”.

Ma secondo gli oppositori, con l’approvazione della step-child adoption si incoraggerebbero le coppie gay a ricorrere alla maternità surrogata – il cosiddetto “utero in affitto” -, pratica illegale in Italia. Gli stessi oppositori, tuttavia, non riconoscono che in realtà sono molte le coppie etero che si recano all’estero per servirsi dell’utero in affitto nei Paesi dove questo è legale. Tanto meno accettano di estendere il discorso dell’adozione tradizionale alle coppie gay.

– Leggi anche: Cosa prevede il disegno di legge sulle unioni civili in Italia

Il 18 febbraio, il Senato italiano avrebbe dovuto iniziare a votare il ddl, ma le votazioni sono state posticipate di una settimana a causa del mancato accordo tra i senatori sulla questione dei circa 6mila emendamenti presentati. 

Le associazioni LGBTI hanno chiesto di prendere in considerazione solo gli emendamenti costruttivi e non quelli esplicitamente mirati a fare ostruzionismo, ma le loro richieste sono cadute nel nulla.

Tra gli emendamenti volti al mero ostruzionismo, spiccano quelli del senatore Malan, che chiede che “con l’unione civile si consumi sesso nel palazzo comunale o che si possa celebrare semplicemente con un sms” o quello di Giovanardi, che dice che nella coppia omosessuale, al momento dell’unione, bisognerebbe rendere chiaro “chi fa il marito e chi la moglie”.

“Ci aspettano centinaia di discussioni e voti inerenti le proposte emendative avanzate dai senatori, quasi tutte basate sul dileggio, l’umiliazione e la discriminazione delle persone omosessuali”, ha dichiarato Gabriele Piazzoni, segretario nazionale di Arcigay. “Siamo certi che nessun teorico della democrazia si azzarderebbe a definire democratica una discussione che si pone l’obiettivo evidente e per nulla accidentale di umiliare una parte di popolazione”.

Sveglia Italia: il resto d’Europa si è già svegliato tempo fa

Nel 1989, la Danimarca fu il primo Paese al mondo a legalizzare i matrimoni gay. Negli anni successivi tutti gli altri Paesi dell’Europa occidentale – a eccezione dell’Italia – introdussero leggi per dare alle persone LGBTI il diritto che ogni essere umano dovrebbe avere: quello ad avere una vita felice, senza discriminazioni in base al genere o all’orientamento sessuale. 

Nel 2015, le comunità LGBTI di tutto il mondo hanno festeggiato una serie di vittorie: a maggio, l’Irlanda è diventata il primo Paese al mondo a legalizzare il matrimonio gay attraverso un referendum popolare; a giugno, la Corte Suprema degli Stati Uniti ha dichiarato legale il matrimonio tra persone dello stesso sesso in tutti e 50 gli stati americani; a dicembre, anche la Grecia ha approvato una legge per riconoscere le unioni civili per le coppie omosessuali.

Queste vittorie non sono state importanti solamente per il popolo irlandese, statunitense e greco, ma anche per le comunità LGBTI in tutto il mondo. Hanno infatti dimostrato che le battaglie degli attivisti che difendono i diritti LGBTI possono portare risultati concreti e cambiamenti significativi a livello sociale, politico e culturale.

Nel frattempo, mentre questi Paesi celebravano il raggiungimento di fondamentali diritti umani, l’Italia veniva duramente rimproverata dalla Corte europea dei diritti umani. Nel luglio 2015, la Corte ha decretato che il nostro Paese stava violando i diritti umani delle coppie omosessuali, poiché non offriva loro sufficiente protezione legale.

“Essere uno dei Paesi fondatori dell’Unione europea non significa automaticamente garantire diritti umani per tutti. L’Italia ne è un perfetto esempio, soprattutto per quanto riguarda i diritti LGBTI”, dice Stefano. “È arrivato il momento di seguire l’esempio degli altri Paesi europei”.

L’articolo è stato pubblicato originariamente qui. Stefano Bucaioni è stato intervistato durante l’ottava Dublin Platform, un evento organizzato dall’ong Front Line Defenders in cui si incontrano difensori dei diritti umani provenienti da tutto il mondo. 

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