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Home » News

The Young Pope: un reazionario che rivoluziona la Chiesa ispirandosi a Banksy

Immagine di copertina

La serie di Paolo Sorrentino, con Jude Law nei panni del pontefice, è il ritratto di un Papa anomalo che usa strategie apparentemente opposte a quelle di Papa Francesco

Sono andati in onda venerdì 21 ottobre su Sky Atlantic i
primi due episodi di The Young Pope,
l’attesissima serie televisiva firmata Paolo Sorrentino che ha battuto ogni
record precedentemente raggiunto dai debutti di grandi successi seriali come Gomorra e House of Cards.

La serie, prodotta da Sky, HBO e Canal+, proseguirà per
altre quattro settimane, con due episodi ogni venerdì, e Sorrentino ha già
annunciato alla stampa che la storia si svilupperà in una seconda stagione, al
momento in fase di scrittura.

C’è anzitutto da dire che, al di là di qualsiasi giudizio
specifico sull’opera in sé o sui meriti dell’amato, odiato e imitato autore
partenopeo, fa piacere che un regista italiano abbia nuovamente vetrine così
importanti, e che, dopo il coinvolgimento di star internazionali nel suo Youth o nel Racconto dei racconti di Matteo Garrone, il cinema italiano
continui a ricevere un’ampia attenzione internazionale.

Si parla di cinema non per errore, nonostante il mezzo sia
quello televisivo: The Young Pope,
se non per i tempi ovviamente allungati rispetto agli standard cinematografici,
non sembra rinunciare a nulla della sua eleganza per adattarsi ai canoni del piccolo schermo, e la presenza di attori di primissimo livello come Jude Law e Diane
Keaton non fa che accentuare quest’impressione di “cinema dilatato”.

A conferma di questa sensazione, la serie inizia con una
sequenza che sembra rifarsi proprio al grande cinema italiano degli anni
Sessanta, con un’atmosfera onirica che ricorda Fellini (ormai il nume tutelare
conclamato di Sorrentino, omaggiato anche durante il discorso di ringraziamento
agli Oscar), ma anche lo spirito iconoclasta e scandaloso di Pier Paolo
Pasolini.

Il “giovane papa” Jude Law fa infatti la sua comparsa mentre, nel
mezzo di una deserta e notturna Piazza San Marco a Venezia, emerge da una
perturbante “montagna” di neonati, forse addormentati, forse morti.

Il suo sogno di papa neoeletto prosegue con scene che
sembrano tableaux vivants, in cui Lenny
Belardo, statunitense quarantasettenne ora noto col nome di Pio XIII, si muove tra suore,
cardinali e preti immobili, che ne osservano ogni movimento e lo guardano in
attesa di parole di salvezza.

Parole che invece si rivelano di scandalo,
quando, mentre sogna di pronunciare la sua prima omelia in una Piazza San
Pietro gremita, lo si vede indicare uno a uno i maggiori “peccati” che si
imputano alla Chiesa contemporanea, dalla condanna della contraccezione, dell’aborto, del divorzio e dei matrimoni gay, alla questione della castità dei sacerdoti alla messa officiata
dalle suore.

Quello che poteva sembrare il sogno di ogni progressista,
una sorta di Papa Francesco all’ennesima potenza, si rivela però essere solo il
frutto della fantasia notturna di un uomo che invece si rivela da sveglio molto
meno tollerante e “di sinistra” di quanto sembri.

Il Pio XIII di Sorrentino è un uomo che nelle sue stesse
parole si definisce “non solo saggio, ma intransigente, irritabile, vendicativo
e con una memoria prodigiosa”; un uomo che rimprovera i toni amichevoli e familiari
di una suora ed esalta invece la formalità dei rapporti umani; che
vuole rivoluzionare la Curia, ma solo alle sue regole, senza adeguarsi alle
aspettative di chi cerca un Dio facile, accogliente e che non richieda
particolare impegno ai suoi fedeli.

In questo senso, uno degli aspetti più soddisfacenti di
questi due primi episodi è nel gioco di nervi che il giovane papa porta avanti
con il cardinale e segretario di Stato vaticano interpretato da Silvio Orlando, rappresentante
di una Chiesa pienamente adagiata nelle sue tradizioni, incline agli affari e alla
politica, nonostante il suo personaggio non sia poi così macchiettistico come potrebbe
sembrare a un primo sguardo.

Un po’ come Bergoglio, Lenny Belardo/Pio XIII ama stupire:
chiama come sua consigliera personale la suora (interpretata da Diane Keaton) che
lo ha allevato da bambino dopo essere stato abbandonato dai genitori; libera un
canguro nei giardini vaticani; beve Coca Cola Cherry Zero per colazione; fuma
in continuazione nel palazzo pontificio nonostante il divieto di Giovanni Paolo
II; al suo prete confessore dice “non credo in Dio”, salvo poi aggiungere che
stava scherzando.

In una delle scene più riuscite di queste due ore iniziali,
Belardo espone il suo manifesto programmatico per quello che sarà il suo stile,
rifiutandosi di apparire come immagine su santini, piatti e oggettistica varia,
e citando a modelli le celebrità che hanno ottenuto l’attenzione del pubblico
scegliendo di celarsi ai loro occhi: Banksy, i Daft Punk, Mina, Stanley
Kubrick, J.D. Salinger. Un’impresa piuttosto ambiziosa, per uno degli uomini tradizionalmente più esposti del mondo.

A differenza dell’attuale papa, quindi, il pontefice di
Sorrentino sceglie strategie diametralmente opposte per plasmare a modo suo la
sua Chiesa: non il sorriso ma la fermezza, non la ricerca della modernità ma il
ritorno a un Dio severo e punitivo da Antico Testamento, non l’abbraccio con i
fedeli ma il rimprovero per la loro debolezza e il rifiuto di farsi simile a
loro, non il Gesù Cristo del perdono ma quello adirato che si scaglia contro i
mercanti nel tempio.

Nel complesso, se dal punto di vista dell’eleganza visiva,
delle stramberie felliniane e del virtuosismo registico Sorrentino non perde
nulla del suo stile abituale (il che potrà deliziare qualcuno e far gridare al
kitsch qualcun altro), i primi due episodi si reggono sull’attesa delle prime
mosse di quest’uomo così anomalo e sulla sorpresa per ogni sua azione fuori
dagli schemi, senza però offrire finora materiale narrativo che non faccia
sembrare un po’ ripetitivo il gioco di scontri, intrighi, dialoghi privati e dichiarazioni
solenni.

Il suo tono così arrogante e sicuro della propria verità può
allontanare lo spettatore, e le sue parole suonano troppo spesso come un libro
scritto fatto di supponenza (“Non sopporto i turisti, perché sono sempre di
passaggio”), ma è probabilmente un rischio che Sorrentino ha voluto coerentemente
correre per offrire al suo pubblico non un santino per tutti ma un papa e un
personaggio che si faccia capire e apprezzare solo con un certo sforzo.

Difficile amare senza riserve un personaggio così spigoloso
e intransigente, ambiguo, intenso, imperscrutabile e spesso insopportabile, ma
proprio per il suo carattere così lontano sia dai canoni della Chiesa amorevole
che da quelli dei protagonisti di serie televisive, rimane forte la curiosità
di sapere come proseguirà il suo pontificato.

(Il trailer della serie, in onda tutti i venerdì alle 21.15 su Sky Atlantic)


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