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Ho una malattia genetica, ma i miei figli sono nati sani grazie a una sentenza

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Claudia ha 38 anni ed è talassemica. Con il sostegno dell'associazione Luca Coscioni ha ottenuto l'accesso alla diagnosi preimpianto e i suoi gemelli sono sani

“Mi hanno accusata di eugenetica, ma io lo rifarei cento volte”. Claudia ha 38 anni e soffre di una malattia genetica che viene trasmessa dai genitori fin dal concepimento: la talassemia. Questo l’ha costretta fin da piccola a sottoporsi a frequenti trasfusioni di sangue, senza le quali non sarebbe sopravvissuta. 

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Anche se la talassemia rende la quotidianità più difficile, Claudia ha studiato, si è laureata e lavora. Dopo una battaglia legale e diversi tentativi lei e suo marito a marzo 2017 hanno avuto due gemelli.

Adesso Claudia è felice, ma non è stato semplice. Quando ha incontrato Maurizio e ha scoperto che era microcitemico, cioè portatore sano della sua stessa malattia, sapeva che un loro eventuale figlio avrebbe avuto il 50 per cento delle possibilità di essere talassemico come lei. Ma ha voluto vivere la sua storia d’amore come fanno le persone normali. Lei e Maurizio si sono innamorati e poi sposati.

“Lui ha accettato tutto di me, anche la notizia che fossi infertile”, racconta Claudia a TPI. “Mi diceva: io amo tutto di te. Se i figli arriveranno bene, se no ci siamo noi. Noi siamo già una famiglia, poi se si allarga è una cosa meravigliosa. La lotta per quel bambino che tanto abbiamo voluto e amato già nella nostra testa nasceva non dal desiderio di essere madre a ogni costo ma dal desiderio di allargare una cosa che era già meravigliosa”.

Anche se Claudia è infertile, con la fecondazione in vitro (Fivet) lei e Maurizio possono provare comunque ad avere figli.

All’indomani del matrimonio l’ospedale microcitemico di Cagliari ha detto loro che non avrebbe potuto eseguire la diagnosi pre-impianto, quella che avrebbe consentito alla coppia di sapere se l’embrione era sano prima di impiantarlo.

Nessun ospedale pubblico d’Italia allora era attrezzato per questo tipo di diagnosi, anche se la legge 40 del 2004 la consentiva già per le coppie infertili (dopo l’intervento della Corte costituzionale nel 2015 lo consente anche per le coppie fertili in caso di malattia genetica o cromosomica, ndr).

Claudia e Maurizio si sono trovati in un vicolo cieco. Non potevano permettersi di andare all’estero, dove la diagnosi pre-impianto è accessibile. Inoltre Claudia non voleva abortire, quindi per lei non poter accedere alla diagnosi pre-impianto equivaleva a non poter fare la Fivet. O a non poter proteggere un eventuale figlio dalla malattia problematica che lei stessa ha sperimentato sulla sua pelle.

“Ho visto ragazze con la mia stessa malattia morire perché a un certo punto rifiutavano di curarsi”, racconta Claudia. “Le cure allora erano pesanti o invalidanti in un certo senso. Ogni volta che moriva e che muore una persona con il mio problema, si spegne anche una parte di me”. 

“Mi sentivo impotente”, dice Claudia. “Lo stato che avrebbe dovuto aiutarmi e sostenermi, anche se sono nata con un problema del genere. Invece mi impediva di realizzare il mio sogno. Ma sentivo anche un profondo senso di ingiustizia. Dopo tante lotte dovevo affrontarne un’altra, non era giusto. Era come sparare sulla croce rossa”.

Lei e Maurizio si sono rivolti all’associazione Luca Coscioni e in particolare all’avvocato Filomena Gallo, che accetta di seguire il loro caso gratuitamente. Nel 2012 il Tribunale di Cagliari ha dato loro ragione.

“All’indomani della sentenza i pareri contrari erano degli stessi che avevano creato la legge 40 e le sue regole. Alcuni dicevano che questa pratica si avvicinava all’eugenetica”, racconta Claudia. “Ma io non sapevo neanche cosa volesse dire. Mi sono informata e sono rimasta inorridita non solo da cosa sia, ma anche da come sia stata travisata”.

Da ottobre 2013 Claudia e Maurizio hanno iniziato un percorso che li ha portati a sottoporsi a tre Fivet. Solo nell’ultima l’embrione ha attecchito e sono nati i loro due gemelli. 

“Quando ho fatto questo percorso non volevo di certo scegliere il colore degli occhi o dei capelli di mio figlio”, spiega. “Io e mio marito volevamo soltanto proteggere questo figlio, se lo avessimo avuto. Con la sentenza a noi è stata ridata un’opportunità. Grazie all’avvocato Gallo, all’avvocato Calandrini e l’avvocato Chiesa noi abbiamo riavuto un’opportunità che ci era stata negata”.

Claudia non era mamma nel momento in cui ha iniziato questo percorso, ma lo era già nel cuore e nella mente. Sapeva cosa voleva e non voleva per i suoi figli. “Volevo proteggerli da ciò con cui ho vissuto dalla nascita e che conosco bene”, racconta la mamma dei due gemelli. “La talassemia è una malattia difficile, pesante, a tratti invalidante. Oggi è un po’ diverso però è sempre un grosso fardello. La vita è già dura per chi la vive normalmente. Con questo fardello diventa una corsa a ostacoli”.

“Se puoi proteggere tuo figlio, perché non farlo? Credo che una madre capisca perfettamente questo discorso”, dice. “Non giudico le mamme che aspettano un bambino talassemico, questo non c’entra. Tra la seconda Fivet e la terza, nel 2015, sono rimasta incinta naturalmente due volte e ho perso entrambi i bambini. La prima volta non me ne sono neanche accorta. La seconda il feto era brachicardico, aveva il battito più basso del normale e si è spento. Io non avrei mai abortito questi bambini. Anche se fossero stati come me, non ce l’avrei mai fatta. Il dolore del raschiamento è stato grandissimo”.

Claudia dice di aver amato comunque quei due bambini che sono andati via. “Il fatto che adesso ne siano nati due è stato come un miracolo, non so spiegartelo ma è stato bellissimo”, racconta emozionata. “Per cui mi spiace se le persone non capiscono ma io lo rifarei altre mille volte. Perché so che i miei figli stanno bene, che avranno un’infanzia serena, non dovranno stare in ospedale in continuazione e fare analisi in continuazione. Non li posso certo proteggere da ogni cosa, sarei una stolta a pensare che non avranno nulla. Però si risparmieranno tutto quello che ho vissuto io: gli anni dell’infanzia condizionati dalla malattia”.

“Ero una bambina già adulta, dovevo avere sempre tutto sotto controllo”, spiega Claudia. “Però rispetto tutte le altre scelte delle altre persone. Non mi permetterei mai di giudicare nessuno, perché le persone agiscono di coscienza. E se è vero che è una cosa sbagliata le conseguenze me le prendo io. I miei bambini stanno bene e io sono felicissima. Una mamma farebbe di tutto per i propri figli ed è questo che vorrei trasmettere”. 

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