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Home » News

L’apertura di Starbucks in Italia non deve cambiare le nostre abitudini

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Il commento di Stefano Mentana

L’Italia è un Paese che negli anni ha affrontato numerosi cambiamenti, ma che su alcune cose rimane profondamente tradizionalista.

Tra queste, senz’altro, ci sono le nostre abitudini alimentari: siamo sinceramente fieri della nostra cucina e di ciò che offre, nonostante anche qui ci siamo dimostrati pronti ad assaggiare – e apprezzare – le cucine straniere.

Su una cosa, però, raramente siamo scesi a patti: il caffè. Consideriamo – non a torto – il nostro caffè il migliore del mondo, lo prendiamo alla fine dei pasti al ristorante, al bar in pochi minuti bevendolo al bancone o la mattina, preparato con la moka.

Queste certezze sul caffè, però, hanno iniziato a vacillare con l’arrivo delle macchine prodotte principalmente dalla Nespresso, che hanno introdotto non solo un tipo di caffè differente, ma un modo differente di prepararlo.

Nel 2016 le abitudini riguardo il caffè degli italiani potrebbero subire un trauma ben più forte a causa della probabile apertura, anche nel nostro Paese, a Milano, della catena Starbucks, che sarebbe sul punto di firmare un accordo con Enrico Perassi, tra i massimi imprenditori del settore dei centri commerciali in Italia.

Starbucks è una catena internazionale nata negli Stati Uniti e presente in 58 Paesi del mondo. Tuttavia, il caffè offerto da Starbucks – che rappresenta uno dei tratti caratteristici della catena – è ben diverso da quello principalmente diffuso in Italia: è un caffè americano, quindi lungo e annacquato, servito in grossi bicchieri di plastica e non nelle tazzine.

Proprio il radicamento della tradizione italiana del caffè e dei bar è ciò che fino a oggi ha scoraggiato Starbucks dall’aprire in Italia, nonostante una presenza su scala globale.

Lo stesso amministratore delegato dell’azienda, Howard Schultz, aveva dichiarato nel 2007 che la catena avrebbe avuto difficoltà a sbarcare in Italia perché si basa su un modello ben diverso dalle abitudini del nostro Paese, dove non amiamo “bere il caffè in tazze grandi”, non consideriamo di berlo “fuori dai bar o in macchina” e non amiamo “le tazze di plastica”.

Tuttavia, negli ultimi anni, anche se non nel nostro Paese, sono stati milioni gli italiani che, per un viaggio o per un trasferimento, sono entrati in contatto con Starbucks, con il suo brand e con le abitudini del locale.

Da Starbucks, oltre al cibo servito, ci sono infatti numerosi tratti caratteristici che contraddistinguono la catena: il proprio nome scritto a pennarello sui bicchieri, il wi-fi sempre presenti, i nomi dei prodotti in parte mutuati dall’italiano, come il frappuccino.

Gli italiani all’estero hanno quindi imparato a conoscere bene questa catena, magari preferendo il caffè italiano ma apprezzandone il wi-fi libero, numerosi dolci, scattando foto ai bicchieri con il proprio nome scritto a pennarello che hanno poi condiviso sui social.

In questi giorni non sono infatti mancati – a margine degli articoli che hanno diffuso la notizia della prossima apertura di Starbucks in Italia – commenti entusiasti, soprattutto di ragazzi particolarmente giovani, all’idea di poter ordinare un frappuccino o un caffè in tazze di plastica anche in Italia.

Questi fattori, inevitabilmente, hanno posto le basi per quello che sotto tanti aspetti può ancora sembrare un azzardo, ovvero l’apertura di Starbucks in Italia.

Al di là dei gusti personali sul caffè e sugli altri prodotti offerti dalla catena statunitense, è da vedere se e in che modo il caffè di Starbucks possa cambiare le nostre abitudini.

Probabilmente, molti italiani non lo prenderanno in considerazione nell’immediato. Il rischio però è che sul lungo termine possa radicarsi anche in Italia e tra gli italiani, mutandone un’abitudine, vuoi per la forte presenza di turisti in Italia, vuoi per i molti che all’estero hanno imparato ad apprezzarne i prodotti diversi dal caffè.

Si può anche pensare che la catena, di fronte alla forte tradizione del caffè e dei bar in Italia, possa in qualche modo scendere a patti, almeno qui da noi, con le nostre abitudini e creare qualcosa di un po’ diverso dal resto del mondo.

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