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Come sta Roma

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Mafia Capitale, i trasporti nel caos totale, la stampa estera che ne descrive il degrado: come si è arrivati a questa profonda crisi di Roma, senza giri di parole

Nel marzo del 2014 la bellezza di Roma veniva celebrata in tutto il mondo dopo che il film La grande bellezza di Paolo Sorrentino, ambientato nella capitale italiana, aveva vinto l’Oscar come miglior film straniero.

Nonostante sia passato solo un anno, quel momento sembra molto più lontano. Cosa è successo nel frattempo?

Nel dicembre del 2014 Roma è stata colpita dallo scandalo Mafia capitale, l’organizzazione a delinquere individuata dagli inquirenti che avrebbe affondato profonde radici nel mondo della politica locale, inchiesta che ha visto una seconda ondata di arresti nel giugno del 2015.

Oggi, nel luglio del 2015, la discussione con i lavoratori riguardo il nuovo assetto di Atac, l’azienda municipalizzata dei trasporti pubblici di Roma che da anni lotta contro la possibilità di un fallimento, è sfociata in un duro scontro con i macchinisti della metropolitana.

Questi ultimi hanno iniziato uno “sciopero bianco” – uno sciopero non dichiarato ufficialmente e messo in pratica attraverso escamotage legali, come i permessi per malattia – che ha rallentato notevolmente le corse della già insufficiente rete dei trasporti pubblici di Roma.

Sempre nel luglio 2015, un articolo del quotidiano statunitense New York Times ha dipinto un duro ritratto della città di Roma, afflitta da un degrado sempre più evidente e governata da un sindaco cui manca il polso per risolvere i problemi.

Nell’ambito della polemica sul degrado di Roma scaturita dall’articolo del New York Times, l’attore Alessandro Gassman ha invitato i romani a non lamentarsi ma ad armarsi di scopa, munirsi di una maglietta con scritto “#Romasonoio” e darsi da fare per tenere pulita la città, iniziando così una campagna che ha già visto sulla rete numerose adesioni.

In tutto ciò, la giunta comunale guidata dal 2013 dal sindaco Ignazio Marino risulta più debole ogni giorno che passa, non solo per i problemi che deve affrontare, ma anche per le numerose dimissioni di assessori e consiglieri comunali che ha subìto, talvolta perché coinvolti in vicende giudiziarie, altre per ragioni politiche.

Per questo motivo, entro il 28 luglio ci si aspetta un rimpasto della giunta comunale, il secondo in poco più di due anni di governo cittadino.

MAFIA CAPITALE

Il 2 dicembre del 2014 Roma e la sua classe politica sono state sconvolte da un’ondata di arresti e di avvisi di garanzia svolti a distruggere Mafia Capitale, nome convenzionale con cui è stata identificata dagli inquirenti una presunta associazione a delinquere di stampo mafioso.

Il 4 giugno 2015 si sono aggiunti altri arresti che hanno colpito ancora di più la classe politica e l’amministrazione di Roma.

Diversi consiglieri comunali del Partito Democratico e di Forza Italia, un consigliere regionale, ex assessori e un ex presidente di Municipio sono stati arrestati, mostrando la manifesta possibilità di un coinvolgimento diretto nell’associazione a delinquere Mafia Capitale che, secondo gli inquirenti, sarebbe stata guidata dall’ex membro dei Nuclei Armati Rivoluzionari (Nar) Massimo Carminati e dal leader della cooperativa sociale 29 giugno Salvatore Buzzi.

La crisi politica derivata dalle indagini ha portato alle dimissioni anche di numerosi esponenti politici non direttamente indagati, come il vicesindaco Luigi Nieri, esponente di Sinistra Ecologia e Libertà (SeL), dimessosi il 14 luglio 2015 dopo che un rapporto dei commissari della prefettura aveva definito il rapporto tra lui e Salvatore Buzzi come “fiduciario”.

Conseguentemente, questa crisi ha indebolito pesantemente la giunta comunale guidata da Ignazio Marino e la fiducia in essa riposta dai cittadini.

L’ATAC

L’azienda municipalizzata dei trasporti pubblici del comune di Roma sta lottando da diversi anni contro il fallimento. L’Atac, che conta circa 12mila dipendenti, dal 2003 a oggi non ha prodotto nessun bilancio in utile, tanto da aver accumulato un debito intorno agli 1,5 miliardi di euro, come riportato dal quotidiano economico Il Sole 24 ore.

La situazione dell’Atac è quindi al centro dell’attenzione dall’inizio del mandato del sindaco Ignazio Marino, il quale ha negli scorsi mesi proposto un “piano di produttività” per cui i macchinisti avrebbero dovuto, a partire dal prossimo primo agosto, aumentare le ore annuali di lavoro da 700 a 950, e da settembre l’introduzione del controllo delle ore di lavoro svolte attraverso badge elettronici.

I macchinisti, a partire dal primo luglio, hanno dato inizio a uno sciopero bianco per contrastare la proposta del comune. Con sciopero bianco si intende uno sciopero non dichiarato ufficialmente e attuato attraverso diversi escamotage, come i permessi per malattia e il mancato svolgimento di ore di straordinari.

In questa maniera, tutto il mese di luglio è stato caratterizzato da forti disagi per la metropolitana di Roma: una struttura che, nonostante abbia visto tra l’autunno 2014 e il giugno 2015 l’apertura di 22 nuove stazioni della linea C e del nuovo capolinea della linea B1, rimane considerata ancora abbondantemente insufficiente per una città di quasi 3 milioni di abitanti e in cui transitano ogni giorno numerosi pendolari e turisti.

I romani hanno dovuto affrontare il mese di luglio con attese della metropolitana che hanno toccato fino a 20 minuti per una corsa, treni privi di aria condizionata e viaggi ben più lunghi del previsto a causa dei tempi di percorrenza aumentati.

Il 24 luglio, inoltre, il sindaco Ignazio Marino ha annunciato la rimozione del consiglio d’amministrazione di Atac in seguito ai forti disagi che hanno colpito il trasporto pubblico di Roma.

Marino ha poi chiesto ufficialmente all’assessore alla mobilità Guido Improta di formalizzare definitivamente le proprie dimissioni, annunciate lo scorso 22 giugno ma mai rese effettive su richiesta dello stesso Marino. 

Il sindaco di Roma ha poi annunciato l’apertura di Atac ai privati per salvarla dal fallimento. Attualmente, infatti, la società che gestisce i trasporti pubblici a Roma è controllata al 100 per cento dal comune.

L’intenzione di Marino è quella di cedere a società esterne il 49 per cento del capitale, facendo mantenere dunque al comune di Roma la maggioranza.

Questa possibilità, tuttavia, espone il comune e la sua giunta a diversi problemi che vanno ad aggiungersi al proseguire delle proteste del personale, tendenzialmente contrario alla privatizzazione.

Intanto un problema politico: SeL, partito di sinistra che fino al 14 luglio scorso era rappresentato dal vicesindaco della capitale, è contraria alla proposta, fatto che sta portando a discutere riguardo la possibilità di un’uscita di SeL dalla maggioranza al comune di Roma.

Un’uscita che non sarebbe determinante – il partito controlla 4 consiglieri dei 29 che compongono la maggioranza al comune – ma che darebbe al sindaco ulteriore filo da torcere.

C’è poi un problema di natura economica: trovare un acquirente in grado di acquistare il 49 per cento di un’azienda indebitata come Atac non è una cosa semplice.

L’ex sindaco di Roma, Francesco Rutelli, ha risposto a Rai News 24 con una battuta che dà l’idea della situazione: “Ci vorrebbe un emiro sotto stupefacenti per prendere delle quote dell’Atac”, ha detto.

L’ARTICOLO DEL NEW YORK TIMES 

Lo scorso 23 luglio il quotidiano statunitense New York Times ha pubblicato un articolo in cui denuncia il degrado di Roma. L’immagine di copertina è una strada del centro di Roma con una pila di rifiuti appoggiata a un muro.

Nelle prime righe si denunciano immediatamente l’erba dei parchi pubblici non tagliata che spesso arriva all’altezza delle ginocchia e l’incendio avvenuto lo scorso maggio nel terminal 3 dell’aeroporto di Fiumicino, lasciando a terra numerosi voli nel principale scalo di Roma e d’Italia.

Nell’articolo poi si tratta di Ignazio Marino, ritratto come un sindaco onesto ma la cui onestà non è sufficiente per affrontare i difficili e da tempo radicati problemi che colpiscono Roma.

“La sua principale virtù è anche il suo peggiore difetto: non è legato alle relazioni corrotte di Roma. Conosce troppo poco il mondo in cui opera”, ha riferito al New York Times il giornalista de la Repubblica Carlo Bonini.

Un sindaco, Marino, ritratto come circondato da esponenti locali finiti in manette nell’inchiesta su Mafia Capitale che tuttavia non è stato in grado di rispondere adeguatamente al problema.

Un sindaco ritratto come un marziano, una persona onesta ma molto debole per affrontare il degrado e il malaffare tristemente diffusisi a Roma.

Un ulteriore elemento, quindi, che ha portato problemi alla giunta comunale di Roma.

L’APPELLO DI ALESSANDRO GASSMAN 

Nei giorni immediatamente successivi all’articolo del New York Times e nella piena discussione sul degrado a Roma, il 25 luglio l’attore Alessandro Gassman – che vive a Roma – ha pubblicato sul proprio account Twitter un appello in cui ha invitato i romani a non lamentarsi per le condizioni igieniche della città, ma piuttosto a prendere una scopa e pulire la strada di fronte a casa propria, munendosi, perché no, anche di una maglietta con scritto “#Romasonoio”.

L’appello di Gassman, in un momento in cui Roma era particolarmente abbrutita dai numerosi problemi finora elencati, ha rappresentato per molti cittadini, in qualche modo, uno scatto d’orgoglio che attendevano da tempo.

La volontà di qualcuno che scuotesse le cose nella speranza di ridare ai romani e a Roma una dignità sempre più messa alla prova. A dimostrazione di questo, l’incredibile risalto dato sui social alla proposta di Gassman è stato notevole.

Alcuni commentatori, tuttavia, hanno notato che Alessandro Gassman, nel 2013, aveva sostenuto Ignazio Marino come sindaco di Roma. Ma per quanto Marino si sia affrettato a ringraziare l’attore e i volontari che hanno aderito alla campagna, l’immagine del sindaco non ne esce comunque benissimo.

Sostanzialmente, Gassman ha invitato i romani a svolgere un compito che spetta al comune di Roma ma che in questo momento, evidentemente, non è in grado di portare avanti.

LA CRISI POLITICA DI ROMA 

La causa e, al tempo stesso, la conseguenza di tutti i problemi finora elencati è una forte crisi politica che da anni ha colpito Roma e i suoi partiti.

Una crisi non solo legata a quanto già detto sui rapporti che numerosi politici avrebbero avuto con l’organizzazione criminale Mafia Capitale che avrebbe fatto capo a Carminati e Buzzi, ma una più prettamente politica.

Da quando Ignazio Marino è diventato sindaco, ha dovuto fronteggiare un rimpasto e le dimissioni di numerosi assessori, tra cui le ultime del responsabile della mobilità Guido Improta e di quella del bilancio Silvia Scozzese. 

Il sindaco di Roma si è trovato sempre più isolato dal suo stesso partito, il Partito Democratico, all’interno del quale sono diversi gli esponenti che non lo vedono più di buon occhio.

Prima dello scoppio di Mafia Capitale, a Marino si chiedeva di cambiare giunta inserendo un maggior numero di esponenti del Pd al fine di rafforzare la giunta, composta in gran parte da tecnici, dal momento che non conosceva a fondo Roma e i suoi problemi, come riferito nel novembre 2014 a La Repubblica dal capogruppo al senato del Pd Luigi Zanda.

Ma perché quel partito che oggi lo isola e lo abbandona ha fatto diventare sindaco quel marziano, quell’uomo cui manca la conoscenza di Roma, come gli stessi esponenti del Pd hanno riferito?

Marino è di Genova, ed era di Genova anche quando nel 2013 sconfisse David Sassoli, Paolo Gentiloni, Patrizia Prestipino, Maria Gemma Azuni e Mattia Di Tommaso nelle primarie per decidere il candidato del centrosinistra al comune di Roma.

Se il centrosinistra – che era favorito in tutti i sondaggi vista la scarsa popolarità dell’allora sindaco Gianni Alemanno – ha dovuto pescare dall’esterno il proprio candidato, vuol dire che c’era qualcosa che non andava.

Il centrosinistra, evidentemente, nei cinque anni precedenti non era stato in grado di proporre un’idea di città alternativa a quella di Gianni Alemanno, limitandosi a cavalcare il malcontento nei confronti della sua amministrazione.

Stabilmente avanti nei sondaggi, dopo la caduta anticipata del governo regionale del Lazio, il centrosinistra candidò alla regione proprio Nicola Zingaretti, l’unico candidato su cui aveva fatto un investimento politico fino a quel momento e che – nell’estate 2012 – aveva annunciato la propria candidatura a sindaco di Roma.

Rimasto senza candidato, il Pd – che rischiava a quel punto una guerra intestina, cessata l’unità d’intenti intorno a Zingaretti – aveva bisogno di un nuovo nome che non creasse troppi problemi. 

In quest’ottica, il centrosinistra di Roma decise di candidare Ignazio Marino, un nome estraneo al contesto romano, prima candidandolo alle primarie – alle quali fu sostenuto da gran parte del partito – e poi, vinte le primarie, al comune.

Tuttavia, il partito che lo aveva sostenuto lo ha in breve tempo lasciato isolato, complice anche un atteggiamento di Marino non sempre costruttivo verso il resto del partito e verso l’esterno che ha contribuito ad ampliare il clima di crisi politica e ha fatto, sempre di più, venire meno la fiducia reciproca tra il Pd di Roma e il sindaco.

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