Cosa c’è da sapere sui referendum proposti dalla CGIL
Nonostante non sia stato ammesso il quesito sull'articolo 18, si voterà per l'abolizione dei voucher e sugli appalti
L’11 gennaio 2017 la Corte Costituzionale ha ammesso due dei tre quesiti referendari proposti dalla CGIL in materia di lavoro. I due quesiti accolti riguardano i voucher e gli appalti, mentre il terzo – non ammesso – proponeva l’estensione dell’articolo 18 alle aziende con almeno 5 dipendenti. Si tratta di quesiti che hanno di fatto l’obiettivo politico di abolire il Jobs act, la legge sul lavoro approvata dal Governo Renzi, in vigore dal marzo 2015, e da sempre contestata dalla CGIL.
Gli italiani saranno chiamati a votare questi referendum verosimilmente nella prossima primavera, a meno che il governo non modifichi le leggi di cui è proposta l’abrogazione – fatto che farebbe decadere i quesiti – o non vi siano elezioni politiche anticipate in primavera, fatto che porterebbe a uno slittamento del voto referendario.
Ma andiamo adesso a vedere cosa dicono di preciso questi quesiti, compreso quello non ammesso.
ABOLIZIONE DEI VOUCHER
Il primo dei due quesiti propone l’abolizione dei buoni per la retribuzione del lavoro conosciuti come voucher. Essi sono stati introdotti nel 2003 dal governo Berlusconi con l’obiettivo di regolarizzare alcune tipologie di lavori occasionali in cui era diffusa l’evasione fiscale, come le ripetizioni scolastiche o le pulizie domestiche.
Negli anni questi buoni hanno aumentato la propria diffusione grazie a leggi che ne hanno reso più facile l’utilizzo, come la legge Fornero del 2012, che ne ha liberalizzato l’utilizzo. Nel 2013, inoltre, un nuovo decreto del governo Letta ha dato ulteriore impulso all’uso dei voucher, che attualmente hanno un tetto di 7mila euro annuali stabilito dal Jobs act.
La CGIL, che ha sempre sostenuto come i voucher favorissero forme di lavoro precario, ha dunque proposto un quesito che punta ad abolirli del tutto come tipologia retributiva.
L’aumento dell’utilizzo dei voucher negli ultimi anni ha però aperto un dibattito su una possibile regolarizzazione che ne limiti l’utilizzo. Qualora il parlamento applichi alcune modifiche a questa norma, il referendum potrebbe decadere e non avere più luogo.
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RESPONSABILITA’ DELLE AZIENDE APPALTATRICI
Il secondo quesito è quello sulla responsabilità delle aziende appaltatrici, che punta ad abolire una norma risalente alla legge Biagi del 2003 e modificata nel 2012 dalla legge Fornero. Essa ha stabilito che a rispondere in caso di violazioni dei diritti di un lavoratore sia solo l’azienda che ha preso in gestione l’appalto, e non anche la società che lo ha dato in gestione.
L’abrogazione della norma del 2003 riporterebbe entrambe le aziende ad avere responsabilità in caso di violazioni a riguardo.
IL REFERENDUM RIGETTATO DALLA CONSULTA SULL’ARTICOLO 18
C’è poi quello che forse era il più simbolico dei tre quesiti, ma che la Corte Costituzionale ha giudicato inammissibile, relativo alla reintroduzione dell’articolo 18 dello statuto dei lavoratori per tutti i contratti in tutte le aziende superiori ai 5 dipendenti. L’articolo in questione prevede il reintegro per i lavoratori licenziati senza giusta causa.
Questa forma di tutela è da circa 15 anni al centro di un ampio dibattito, e il Jobs act l’ha abolita per tutti i nuovi contratti stipulati secondo le norme della nuova legge sul lavoro (lasciandola però valida per quelli precedenti). Per questa ragione, tra i tre quesiti questo era quello più strettamente legato al Jobs act di Renzi.
La Consulta al momento si è limitata a dichiarare in maniera lapidaria la non ammissibilità del quesito, ma possiamo immaginare – stando ad alcune perplessità sollevate in precedenza dall’Avvocatura dello Stato – che il quesito fosse scritto “in funzione manipolativa” della legge e non abrogativa come da costituzione. In altre parole, il quesito non avrebbe puntato all’abrogazione di una norma, ma a una sua riscrittura.