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È arrivata l’ora di legalizzare la prostituzione?

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L'ong Amnesty International ha proposto di decriminalizzare la prostituzione, scatenando un acceso dibattito. Ecco i principali pro e contro della proposta

Prima di iniziare a vendere il suo corpo per le strade di Chicago, Marian Hatcher aveva una laurea in finanza e un ottimo lavoro come contabile, in un’impresa dove dirigeva un team di altri 25 dipendenti. Nel tempo libero, si dedicava ai suoi cinque bambini.

La sua vita, tuttavia, era tutt’altro che felice. Soffriva di depressione e il marito abusava di lei, sia fisicamente che psicologicamente. Per sfuggire ai suoi mali, Marian iniziò ad assumere crack. Per due anni non ritornò a casa. Si prostituiva per pagare le dosi della droga di cui aveva disperatamente bisogno.

Un giorno la polizia la arrestò e in carcere Marian riuscì a disintossicarsi. Da quando è stata liberata, si dedica ad aiutare altre donne a uscire dal giro della prostituzione. La sua è una storia a lieto fine, ma per migliaia di donne è difficile trovare una via d’uscita.

Il dibattito sul tema della prostituzione, tuttavia, raramente si concentra sui diritti delle donne stesse, sulle loro storie e sui motivi che le hanno portate sulla strada. Più spesso diventa invece una questione di ordine pubblico e di decoro.

Dal 7 all’11 agosto il consiglio internazionale dell’ong Amnesty International, riunito a Dublino, discuterà una proposta a favore della decriminalizzazione della prostituzione. Secondo l’ong, eliminare il reato di prostituzione permetterebbe di introdurre maggiori controlli, proteggere le vittime e difendere più adeguatamente i diritti delle lavoratrici del sesso, che spesso risultano figure invisibili ai margini della società, di cui nessuno tende a occuparsi.

La proposta di Amnesty International ha scatenato un feroce dibattito. Nelle scorse settimane, numerosi media, organizzazioni non governative e personaggi celebri si sono scagliati contro l’ong. La prostituzione, secondo gli oppositori della proposta, non può mai essere una libera scelta e – in quanto forma di sfruttamento – non deve essere legalizzata e regolamentata.

Ma cosa chiede esattamente Amnesty International? E quali sono gli argomenti a favore e quelli contrari alla legalizzazione della prostituzione?

La proposta di Amnesty International

In un documento interno trapelato online già da gennaio, si legge che la proposta dell’organizzazione nasce in risposta al “grande numero di abusi e violazioni dei diritti umani subiti dalle lavoratrici del sesso in tutto il mondo”.

L’obbiettivo è proporre ai governi di decriminalizzare lo “scambio consensuale di prestazioni sessuali a pagamento”, per garantire maggiori diritti alle donne, agli uomini e ai transessuali che – volontariamente o meno – lavorano in questo settore. 

Secondo l’ong, la criminalizzazione della prostituzione “espone le lavoratrici sessuali a un rischio di abusi ancora più alto”. Per questo si chiede che tanto l’acquisto quanto la vendita di prestazioni sessuali non vengano considerati reati.

Nel report si specifica che la decriminalizzazione non implica la legalizzazione di tutti gli aspetti della prostituzione. La proposta non intende violare i valori portanti di Amnesty International, e anzi è un modo per contrastare in modo ancora più efficace il traffico di esseri umani a scopo sessuale, la pedofilia e altri tipi di abusi. 

Il report di Amnesty è frutto di due anni di consultazioni con diverse agenzie delle Nazioni Unite, organizzazioni per i diritti umani e associazioni contro la tratta di esseri umani. L’organizzazione si è inoltre confrontata con le lavoratrici sessuali stesse, che raramente vengono coinvolte nelle decisioni che le riguardano in prima persona.

La prostituzione nel mondo

Nel 1999 la Svezia divenne il primo Paese a introdurre delle pene per chi usufruisce di prestazioni sessuali a pagamento. Resta invece legale prostituirsi. In questo modo, si cerca di punire solamente il cliente ma non la prostituta stessa. Secondo i dati del governo svedese, pubblicati nel 2010, dal 1998 al 2008 la prostituzione su strada è diminuita del 50 per cento.

Il cosiddetto modello nordico è stato successivamente adottato da Norvegia, Islanda, Canada e Irlanda del Nord, e anche Francia, Inghilterra e Irlanda ne stanno discutendo una possibile introduzione. In Italia la prostituzione è legale ma è proibito lo sfruttamento o il favoreggiamento della prostituzione. Negli Stati Uniti è legale solo in alcune contee rurali dello stato del Nevada. In Sudan, Iran, Arabia Saudita e Corea del Nord la prostituzione è un crimine punibile con la pena di morte.

In Germania la prostituzione è invece perfettamente legale ed esistono anche apposite app per trovare le prostitute più vicine della zona, confrontare i prezzi e scegliere la migliore lavoratrice sessuale che rispecchi i propri gusti

Qui sotto: una mappa illustra le leggi sulla prostituzione nell’Unione europea

Le opinioni contrarie

Nonostante Amnesty International sostenga di voler proteggere i diritti delle lavoratrici sessuali, da più parti la sua proposta è stata interpretata come se si volesse riconoscere la prostituzione stessa quale un diritto umano. L’ong Coalition Against Trafficking in Women (Catw) considera la decriminalizzazione proposta da Amnesty equivalente alla legalizzazione di “protettori, proprietari di bordelli e clienti, i pilastri dell’industria del sesso globale, che ha un giro di affari pari a 90 miliardi di euro all’anno”.

La petizione lanciata da Catw è stata firmata da oltre 400 organizzazioni non governative e numerose star di Hollywood, tra cui Meryl Streep, Kate Winslet, Emma Thompson, Lena Dunham, Anne Hathaway e Gloria Steinem.

In un’editoriale pubblicato su The Guardian, Jessica Neuwirth – avvocato per i diritti umani ed ex consigliere di Amnesty International USA – scrive che Amnesty sta commettendo un gravissimo errore e che questa proposta costituisce una “distrazione dai suoi valori portanti”.

Questi i principali argomenti contro la decriminalizzazione:

– Maggiori controlli contro i trafficanti di esseri umani

Chi sostiene l’efficacia del modello nordico, dice che i maggiori controlli permettono di salvare le donne vittime di tratta. In un’intervista con The Independent, Lisa Green – coordinatrice di Mika Malmo, organizzazione svedese che aiuta prostitute vittime di abusi – dice: “Se so che una donna è vittima di traffico di esseri umani e la polizia può fare qualcosa per lei, e la può salvare perché sta tenendo d’occhio i suoi clienti, allora vuol dire che la legge svedese è perfetta”.

La prostituzione è sinonimo di violenza

L’avvocato per i diritti umani Dianne Post, citando uno studio canadese, scrive su New Internationalist che le prostitute hanno un tasso di mortalità superiore del 40 per cento rispetto alla media, perché sono ad altissimo rischio di suicidio, omicidio e maltrattamenti. Soffrono di disturbi mentali e depressione, spesso sono vittime di abusi e violenze, e non hanno accesso ad adeguate cure mediche.

“Decriminalizzare o legalizzare la prostituzione vorrebbe dire regolamentare pratiche che costituiscono una violazione dei diritti umani e che in ogni altro contesto sarebbero perseguibili, come l’assalto sessuale, l’aggressione fisica, lo stupro, la schiavitù, la coercizione, il danno psicologico”, scrive Melissa Farley, psicologa e attivista anti-prostituzione americana.

La prostituzione come forma di ineguaglianza

Gunilla Ekberg, avvocato svedese specializzato in tratta di esseri umani, dice: “La prostituzione non solo è una forma di discriminazione, sfruttamento e abuso da parte di un uomo, ma è anche una struttura che riflette e conferma l’ineguaglianza tra uomini e donne. La prostituzione è la colonizzazione del corpo femminile”. 

– Legalizzando la prostituzione aumenta il rischio di traffico di esseri umani

Secondo l’organizzazione Catw, se ci fosse totale impunità per lo sfruttamento sessuale a pagamento ci sarebbe un aumento del traffico di donne a scopo sessuale. Aumenterebbe infatti la domanda, e di conseguenza anche l’offerta di sesso a pagamento. Senza gli adeguati controlli, sostiene Catw, si darebbe il via libera ai trafficanti di esseri umani.

Le opinioni a favore della decriminalizzazione

– La prostituzione può essere una libera scelta

“Alcune prostitute sono vittime di sfruttamento o violenza, e i loro aguzzini devono essere sbattuti in prigione per i loro crimini. Ma per molti, sia uomini che donne, il lavoro sessuale è solo questo: un lavoro. Non abbiamo mai creduto al fatto che tutte le prostitute siano vittime”, si legge in un editoriale di The Economist, in cui si sostiene che la prostituzione andrebbe legalizzata.

Su New Internationalist, la scrittrice e regista indiana Bishakha Datta scrive: “Accettiamo che le persone usino le loro teste e le loro mani e altre parti del corpo per guadagnarsi da vivere, quindi dobbiamo accettarlo anche nel caso delle lavoratrici sessuali (…). In India, il 71 per cento delle tremila lavoratrici sessuali intervistate per una ricerca del governo indiano ha detto di aver scelto volontariamente di vendere il proprio corpo. Quando queste donne ci dicono che la vera sofferenza non è la vendita di prestazioni sessuali, ma lo stigma e la violenza perché il loro è un lavoro illegale e nascosto, dobbiamo ascoltare le loro voci”.

– La prostituzione attraverso canali online è sicura

“La vendita di prestazioni sessuali sul web rende la prostituzione sempre più simile a una normale transazione commerciale”, si legge in un editoriale di The Economist, in cui si citano i vantaggi della sempre più comune vendita di prestazioni sessuali attraverso canali online. Il passaggio dalle strade al web rende infatti meno probabile il rischio di sfruttamento e  alle donne maggiori poteri contrattuali, permettendo loro di decidere sia il prezzo che il tipo di clientela a cui si rivolgono. 

– Il proibizionismo non funziona

Secondo i dati citati da The Economist, negli Stati Uniti – nonostante sia illegale ovunque tranne che in Nevada – la prostituzione frutta quasi 13 miliardi di dollari all’anno. Nel Regno Unito, dove è illegale solo lo sfruttamento e il favoreggiamento della prostituzione, frutta circa 8 miliardi. Questi casi dimostrano che proibire la vendita di prestazioni sessuali non elimina il fenomeno e non ha alcuna funzione deterrente. Anche nei Paesi che hanno adottato il modello nordico, infatti, la prostituzione si è semplicemente spostata su canali più nascosti ma il fenomeno non è stato debellato.

– Criminalizzare significa marginalizzare

“La violenza contro le prostitute spesso resta impunita, perché le vittime che vivono ai margini della società tendono a non cercare giustizia, né riescono a ottenerla qualora denuncino i propri sfruttatori”, si legge su The Economist.

Nei Paesi in cui la prostituzione è un reato, le donne tendono a non chiedere aiuto quando hanno dei problemi di salute e preferiscono restare invisibili, per timore di retate della polizia che possano compromettere il loro business.

Faticano inoltre a trovare un alloggio adeguato: “In Norvegia le leggi sul favoreggiamento della prostituzione fanno  che i proprietari di casa siano accusati di essere dei protettori se affittano l’appartamento a delle lavoratrici sessuali. Se arriva la polizia, il proprietario caccia via le prostitute, spesso senza dar loro tempo di trovare una sistemazione alternativa”, dice Catherine Murphy, una consulente di Amnesty International, in un’intervista con The Telegraph.

Alcuni dati sul traffico di esseri umani a scopo di sfruttamento sessuale

– La tratta di donne e bambini è considerata illegale sia nei trattati internazionali, sia nelle leggi nazionali di 134 Paesi. Secondo l’ong Equality Nowè “il traffico criminale che sta crescendo più velocemente al mondo”

– Almeno 20,9 milioni di bambini e adulti sono vittime di traffico di esseri umani

– Ogni anno, almeno due milioni di bambini sono sfruttati nel traffico dell’industria del sesso

– Il 98 per cento delle vittime di sfruttamento sessuale è costituito da donne e bambine

– Il 20 per cento delle persone vittime di tratta nel mondo è minorenne

– Lo sfruttamento sessuale è la causa principale del traffico di esseri umani (nell’80 per cento dei casi), seguita dallo sfruttamento lavorativo (18 per cento).

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