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Condannati a 18 anni i due scafisti responsabili del naufragio del 2015 in cui morirono 700 migranti

Immagine di copertina

Il barcone affondò a largo delle coste della Libia dopo essersi scontrato con una nave mercantile. Si erano salvate solo 28 persone

Il tunisino Mohammed Ali Malek, accusato di essere il capitano della nave naufragata nell’aprile del 2015, dove morirono 700 migranti, è stato condannato martedì 13 dicembre 2016 a 18 anni di reclusione dal tribunale di Catania. I reati commessi riguardano il favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, l’omicidio colposo plurimo e il naufragio.

È stato condannato a cinque anni di carcere anche il mozzo siriano della nave.

Il barcone affondò a largo delle coste della Libia dopo essersi scontrato con una nave mercantile, che si era avvicinata per soccorrere i migranti. Nel disastro si salvarono solo 28 persone. La maggior parte delle vittime – provenienti principalmente dal Mali, Gambia, Etiopia e Senegal – rimasero intrappolate nella stiva della nave, dove erano state chiuse dagli scafisti.

“Il naufragio fu determinato da una serie di concause, tra cui il sovraffollamento dell’imbarcazione e le errate manovre compiute dal comandante Malek, che portarono il peschereccio a collidere col mercantile King Jacob”, afferma l’accusa. I due imputati si sono sempre dichiarati innocenti e sostengono di essere passeggeri come gli altri migranti.

La tragedia spinse l’Unione europea a ripensare la sua politica nella gestione della crisi nel Mediterraneo.

Il numero di profughi arrivati in Italia a bordo di barconi insicuri sono aumentati, raggiungendo nel 2016 la quota record di 175.244 persone. In mare sono morte nel corso del 2016 4.752 migranti, mille in più rispetto al 2015.

(Il relitto della nave affondata nell’aprile del 2015. Credit: Marina Militare)

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