Tutto quello che c’è da sapere sugli insediamenti israeliani in Palestina
La spinosa questione si è recentemente riaccesa in seguito all'approvazione di una risoluzione Onu per porre fine agli insediamenti israeliani nei territori palestinesi
La questione degli insediamenti ebraici in Cisgiordania e a Gerusalemme Est è da sempre uno dei principali nodi di difficile scioglimento tra Israele, Palestina e la comunità internazionale. Negli ultimi giorni la questione si è riaccesa in seguito all’approvazione delle Nazioni Unite di una risoluzione che chiede di porre fine agli insediamenti dei coloni israeliani nei territori palestinesi. Decisione fortemente avversata dal primo ministro Netanyahu e ben accolta dall’Autorità nazionale palestinese.
Ecco tutto quello che c’è da sapere sulla spinosa questione:
CHE COSA SONO GLI INSEDIAMENTI? Gli insediamenti sono comunità abitate da israeliani nei territori palestinesi occupati da Israele nel corso della guerra dei sei giorni del 1967, ovvero la Cisgiordania e Gerusalemme Est, oltre che nelle alture del Golan, territorio siriano conquistato da Israele nella stessa guerra.
Secondo il movimento israeliano Peace Now, attualmente esistono 131 insediamenti in Cisgiordania, all’interno dei quali vivono circa 385mila coloni israeliani ebrei, e 97 avamposti, ovvero insediamenti costruiti senza l’autorizzazione ufficiale governativa. A Gerusalemme est gli insediamenti sono 12 e sono abitati da 200mila coloni. Esistono inoltre decine di insediamenti sulle alture del Golan occupate, territorio conquistato alla Siria dopo la vittoria della guerra del 1967.
Gli insediamenti, se si considerano solo le abitazioni, occupano solo il 2 per cento della Cisgiordania, ma le attività che gravitano intorno, come terreni agricoli coltivati, occupano uno spazio molto più grande. Forte è inoltre la presenza militare che ha lo scopo di proteggere i coloni.
I coloni israeliani scelgono di vivere negli insediamenti per una serie di ragioni che vanno dai vantaggi economici e dagli incentivi governativi, a motivazioni più ideologiche e religiose, come la convinzione che Dio abbia destinato quella terra al popolo ebraico e quindi deve essere “difesa”.
Sulla questione degli insediamenti si sono infranti numerosi tentativi di negoziati di pace.
Le autorità palestinesi chiedono a Israele di interrompere la costruzione di nuovi insediamenti, e lo smantellamento di quelli esistenti, come precondizione per la ripresa dei colloqui di pace. Dal canto suo Israele, che non vuole rinunciarvi, afferma che i palestinesi stiano usando la questione delle colonie come pretesto per evitare i negoziati.
E se anche si riuscisse a raggiungere un accordo sugli insediamenti in Cisgiordania, rimarrebbe una questione ancora più spinosa: lo status di Gerusalemme, irrinunciabile per entrambe le parti.
Israele considera la città di Gerusalemme (compresa la parte est) come capitale eterna e indivisibile dello stato ebraico. La parte orientale di Gerusalemme è stata occupata dallo Stato di Israele nel 1967, e nel 1980 il parlamento israeliano approvò la cosiddetta “legge fondamentale” che proclamava unilateralmente “Gerusalemme, unita e indivisa capitale di Israele”.
Il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite nella risoluzione 478 definì quella decisione nulla e priva di validità, considerandola una violazione del diritto internazionale e un ostacolo al raggiungimento della pace in Medio Oriente. La questione degli insediamenti nella città sacra delle tre religioni monoteistiche, è particolarmente sensibile anche per i palestinesi, secondo i quali Gerusalemme dovrà essere la capitale del futuro stato di Palestina.
Un’idea che mette d’accordo molti israeliani è quella secondo cui Israele potrà un giorno smantellare le colonie ma non tutte, lasciando in vita solo gli insediamenti più grossi. Molti altri, più intransigenti, sono concordi nel dire che nessun insediamento debba essere smantellato.
COSA PENSA LA COMUNITÀ INTERNAZIONALE?
La maggior parte della comunità internazionale, le Nazioni Unite e la Corte internazionale di giustizia, sostengono che gli insediamenti siano illegali, sulla base della Quarta convenzione di Ginevra del 1949, che vieta il trasferimento da parte di una potenza occupante della propria gente nel territorio occupato. L’articolo 49 della Convenzione recita infatti “La potenza occupante non potrà procedere alla deportazione o al trasferimento di una parte della sua propria popolazione civile nel territorio da essa occupato”.
Israele sostiene però che la Quarta Convenzione di Ginevra non può applicarsi alla situazione attuale in Cisgiordania, dal momento che il territorio non è tecnicamente occupato.
Israele sostiene di occupare legalmente quel territorio in conseguenza a una guerra difensiva, e non avendone preso il controllo sottraendolo a un potere sovrano legittimo, dal momento che nel 1967 la Cisgiordania non apparteneva ad alcuno stato sovrano. La Comunità internazionale non condivide questo approccio.
QUAL È LA SITUAZIONE ATTUALE?
Lo scorso 23 dicembre 2016 il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha approvato la risoluzione che chiede di porre fine agli insediamenti dei coloni israeliani nei territori palestinesi. Gli Stati Uniti, da sempre alleati di Israele, si sono astenuti, nonostante le pressioni del presidente eletto Donald Trump e di Israele che chiedevano agli Stati Uniti di porre il veto sul provvedimento. L’astensione di Washington ha segnato un’inversione di tendenza nella politica tradizionale a favore di Israele, consentendo di approvare la risoluzione.
La risoluzione in questione propone “la cessazione immediata e completa di tutte le attività di insediamento nel territorio palestinese occupato, inclusa Gerusalemme est” e sostiene che gli insediamenti dei coloni “non hanno validità legale e costituiscono un’evidente violazione del diritto internazionale”.
Dopo il voto del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha dichiarato che Israele riconsidererà i suoi rapporti con le Nazioni Unite.
Benché tali insediamenti siano illegali e costituiscano una violazione del diritto internazionale, il primo ministro israeliano ha reagito con estremo disappunto, dichiarando di non tenere in nessuna considerazione la risoluzione, convocando i rappresentanti diplomatici dei paesi che l’hanno votata, Malesia, Nuova Zelanda, Senegal e Venezuela, e attaccando duramente l’amministrazione Obama.
Il rappresentante degli Stati Uniti presso le Nazioni Unite Samantha Power ha dichiarato che la risoluzione riflette i fatti sul terreno: gli insediamenti stanno crescendo velocemente e sono un serio problema per il processo di pace.
Il comune di Gerusalemme intanto ha bloccato il voto sulla costruzione di oltre 600 nuove abitazioni, previsto per lo scorso 28 dicembre 2016.
Sulla questione è intervenuto anche il segretario di Stato Usa, John Kerry, che mercoledì 28 dicembre 2016 ha dichiarato che gli insediamenti israeliani sui territori occupati stanno mettendo a rischio la pace in Medio Oriente. L’affondo di Kerry contro Israele arriva a meno di un mese dalla fine del mandato del presidente Barack Obama e dopo l’attacco del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu sull’astensione statunitense al voto Onu sull’illegittimità degli insediamenti di coloni in Cisgiordania.
“Nonostante i nostri sforzi negli scorsi anni, la soluzione dei due stati è adesso seriamente in pericolo”, ha detto Kerry. “Non possiamo, in tutta coscienza, fare niente o dire niente mentre vediamo la pace scivolare via”.
l primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha risposto all’affermazione di Kerry accusandolo di faziosità e dicendo che Israele non ha bisogno di ricevere lezioni da leader stranieri e non vede l’ora di iniziare a lavorare con Trump.
Intanto il prossimo appuntamento è per il 15 gennaio 2017, a Parigi, dove si terrà una conferenza per tentare di riavviare il processo di pace alla presenza di israeliani e palestinesi.