Anche se stuprate non possono abortire
Una 18enne, vittima di stupro, è stata costretta a partorire con un cesareo. Succede in Irlanda, dove abortire è ancora illegale
Non voleva e non poteva dar vita a quel bambino. Portarlo in grembo significava portare con sé il ricordo della violenza con cui era stato concepito. Piuttosto, avrebbe preferito morire.
Una ragazza diciottenne, di cui per riservatezza non è nota l’identità, violentata quando era ancora minorenne, aveva scoperto di essere incinta all’ottava settimana e aveva chiesto immediatamente di abortire.
Ma in Irlanda l’aborto è illegale, tranne quando la vita della donna è a rischio, e la risposta dei medici è stata categorica: no.
Così, in preda alla disperazione, la donna ha minacciato il suicidio e intrapreso uno sciopero della fame e della sete. Nessun medico, però, le ha dato ascolto. Il 17 agosto scorso, dopo mesi di sofferenza e inutili proteste, ha subìto un parto cesareo prematuro imposto dal servizio sanitario irlandese.
Ad appena 24 settimane di gravidanza, è stata costretta a mettere al mondo un bambino non voluto, frutto di una violenza e non di una scelta.
“Era una situazione difficilissima per me. La nascita del bambino mi avrebbe ricordato per sempre quello che era successo nel mio Paese. Per questo avevo detto ai medici di non sopportare l’idea di partorire e di voler morire”, ha raccontato la ragazza in un’intervista con The Irish Times.
La violenza contro il corpo della donna è stata multipla: violata dallo stupratore, violata dai medici che le hanno negato l’aborto, violata da chi le ha imposto la reidratazione forzata durante lo sciopero della sete, violata da chi le ha proposto un parto cesareo come unica scelta possibile. Le era stato detto che l’aborto non sarebbe più stato possibile, a causa dello stadio avanzato della gravidanza.
Dopo una settimana dal parto, la donna è stata dimessa, mentre il bambino è ancora in ospedale, in prognosi riservata.
“Dopo 23-24 settimane di gravidanza il rischio di morte del bambino è molto alto”, mi dice il dottor Peadar O’Grady, psichiatra infantile e membro di Doctors for Choice, un movimento di dottori e studenti di medicina che si battono per il diritto di scelta delle donne che vogliono abortire. “È molto alto anche il rischio di gravi disabilità e disturbi della crescita. Per questo l’idea che l’intervento sia stato eseguito nell’interesse del feto è assai discutibile”.
A questo si aggiunge un’ulteriore aggravante: la donna non era una cittadina irlandese e la sua condizione di migrante senza visto per l’espatrio l’ha resa ancora più vulnerabile. Non solo ha dovuto scontrarsi con la lingua e la burocrazia di un Paese non suo, ma si è anche vista negare la possibilità a cui le donne irlandesi che vogliono abortire (e che ne hanno i mezzi) ricorrono: recarsi nel Regno Unito.
Dal 1980, oltre 150mila donne sono andate all’estero per poter terminare la gravidanza. Secondo Abortion Rights Campaign (ARC), associazione che lotta per il diritto all’aborto in Irlanda, è altissimo anche il numero di donne che ricorre a pillole acquistate online. Nel 2009, alla dogana furono sequestrate 1.200 pillole abortive e secondo ARC il dato cela un fenomeno ben più vasto.
Nonostante le proteste, il governo irlandese si è finora rifiutato di modificare in modo sostanziale la legislazione. Nel 2013, con il provvedimento “Protezione della Vita durante la Gestazione”, l’Irlanda si è limitata a introdurre la possibilità di aborto in casi eccezionali, quando la donna è a rischio suicidio o in pericolo di vita e quando – secondo l’opinione del medico – non ci siano altri modi per salvarla.
La legge è stata approvata in seguito a un altro caso che suscitò grande scalpore: nel 2012 Savita Halappanavar, una dentista indiana di 31 anni, morì a causa di un’infezione, che si sarebbe potuta evitare se le fosse stata concessa l’interruzione di gravidanza per motivi di salute.
La legge del 2013, pur essendo un passo in avanti, risulta inefficace perché non modifica l’ottavo emendamento della Costituzione, secondo cui la vita del feto è considerata una vita umana al pari di quella della madre. I dottori possono dunque opporsi alla decisione della donna nell’interesse del bambino non nato.
Criminalizzare l’aborto, secondo il dottor O’Gready, ha fatto sì che molti medici si rifiutino di praticare interruzioni di gravidanza per paura delle conseguenze e per la pressione dei colleghi anti-aborto. In basa alla legge irlandese, chi pratica aborti in casi dubbi considerati “non necessari” rischia fino a 14 anni di carcere.
Le associazioni del settore, tra cui Doctors for Choice e ARC, hanno intensificato in questi giorni la campagna “Repeal the 8th” (Abroghiamo l’ottavo), che chiede di modificare il controverso articolo della Costituzione. L’appello per una nuova legislazione è stata appoggiata anche dall’Onu. Nigel Rodlet, portavoce del Comitato per i Diritti Umani dell’Onu, il mese scorso ha detto che la legge anti-aborto irlandese “tratta le donne incinte come fossero contenitori”.
L’iter per verificare se la donna abbia davvero intenzione di togliersi la vita è una “forma di tortura mentale”, secondo il Comitato dell’Onu. Si tratta di un processo lungo e cavilloso, che sottopone le donne a stress non necessari.
“Il Comitato ha anche sottolineato che negare il diritto all’aborto alle donne che hanno subito uno stupro sia un atto crudele, disumano e degradante”, aggiunge il dottor O’Gready. “E noi di Doctors for Choice siamo perfettamente d’accordo: l’Irlanda è l’unico Paese europeo dove le donne vittime di violenza non possono abortire”.
O’Gready spera che questo caso contribuisca ad accrescere la pressione sul governo, che ha già previsto alcune modifiche alla Costituzione l’anno prossimo e che potrebbe facilmente inserire nel decreto anche l’abrogazione dell’emendamento 8: “Questa dell’aborto non è solo una questione sociale, medica ed etica: è sopratutto politica”.
“Non voler cambiare la legge è un segno della tendenza anti-democratica del governo irlandese: si rifiutano di ascoltare la gente, perché hanno paura della risposta. Sanno che c’è un sostegno diffuso per quelle donne che, oltre alla violenza dello stupro, devono subire anche la violenza psicologica di non poter scegliere cosa fare del proprio corpo”.