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Trans in Iran

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In Iran essere gay è reato. Ma nella Repubblica Islamica spopolano gli interventi di riassegnazione sessuale

Bita è un transessuale iraniano. Si concede qualche filo di rossetto che esibisce solo sulle foto che pubblica su Facebook e capelli lunghi castano-chiari con qualche mèches bionda che arrivano poco sopra le spalle.

Il suo vero nome è Ali Reza e non si è ancora operato per diventare definitivamente una donna, anche se ha già fatto domanda al governo per sottoporsi all’intervento di riassegnazione sessuale. “Ma se lo faccio e la mia famiglia non lo accetterà, mi toglierò la vita”.

Bita oggi ha 30 anni e si trova davanti a un bivio cruciale per la sua vita: deve scegliere tra la famiglia e cambiare sesso. Per ora, ha scelto la famiglia. Ed è con loro che lavora all’interno di un caseificio anche perché, diversamente, non troverebbe mai lavoro in un’altra azienda: “Non accetterebbero mai un transessuale. Devi lavorare con la tua famiglia oppure resti da solo”, mi dice.

Bita mi ha raccontato che una sua amica si è suicidata proprio perché la famiglia non aveva accettato che si operasse e cambiasse sesso. Secondo uno studio pubblicato dall’International Journal of Medical Toxicology and Forensic Medicine il 26 per cento dei transgender iraniani presi in esame ha tentato di suicidarsi almeno una volta.

“La vita, per noi transessuali, è molto difficile”, mi confessa Bita. Racconta che le persone lo prendono in giro e lo insultano per come si veste: jeans e maglietta rosa shocking. A volte la polizia gli dà problemi per via dei suoi capelli, troppo lunghi per un uomo.

Bita non vuole operarsi in Iran perché secondo lui “i dottori non sono molto bravi”. Per questo, sta mettendo i soldi da parte per andare a fare l’intervento in Thailandia.

Se sei omosessuale in Iran vivi nell’illegalità e secondo gli articoli 108 e 110 del codice penale, rischi anche la pena di morte. Diversamente, la transessualità è riconosciuta come una malattia curabile con un intervento di riassegnazione sessuale. Principio affermato da una fatwa religiosa emessa nel 1986 da Ruhollah Khomeini, capo spirituale e politico dell’Iran dal 1979 al 1989. 

VIDEO: Il trailer di “Be Like Others”, un documentario del 2008 sulla vita dei trans in Iran

Si stima che in Iran i transgender siano tra i 15 e i 20mila. La Repubblica Islamica dell’Iran è seconda solo alla Thailandia per numero di interventi di riassegnazione sessuale, anche se non ci sono dati certi sul numero esatto di operazioni effettuate annualmente. Le statistiche sono contradditorie.

Tuttavia, quelle rilasciate dai medici associati della Legal Medicine Organization of Iran (Lmoi), affermano che tra il 2001 e il 2006 siano state eseguite 422 operazioni. Nei quattro anni successivi, tra il 2006 e il 2010, il numero si è triplicato ed è salito a 1.366 operazioni. In Italia avvengono mediamente 100 operazioni all’anno.

Mohammad Saberi, capo del Dipartimento di Psichiatria forense di Teheran, ha detto che “ogni anno vengono effettuate 40 operazioni su 60 richieste; in Iran una persona su 50-100mila presenta disturbi dell’identità di genere”. Statistiche che, oltre a ricoprire una forbice molto ampia, risultano molto più basse e sottostimate di quelle non governative.

Il problema nel determinare quante siano le operazioni di riassegnazione sessuale è dovuto al fatto che queste vengono spesso eseguite in cliniche private che non rilasciano sempre statistiche a riguardo. La World Professional Association for Transgender Health (Wpath), l’associazione più importante al mondo dell’assistenza sanitaria per i transgender, “non possiede dati relativi alle operazioni che avvengono in Iran o in Thailandia”, come ha testimoniato in una email il direttore esecutivo dell’associazione Andrea Martin.

In Iran gli interventi per cambiare sesso costano tra i 2 e i 6mila euro ciascuno. In Europa, invece, il costo medio è di 12mila euro. Lo Stato iraniano si accolla il 25 per cento delle spese per incoraggiare questi interventi, diagnosticati come “disturbo dell’identità di genere”. Secondo una fonte dello State Welfare Organization of Iran, nel 2012 il governo ha stanziato più di 91mila euro per sostenere economicamente i pazienti che si operano.

L’International Lesbian and Gay Association (Ilga) ha denunciato le torture psico-fisiche a cui sono sottoposti i transgender da parte della Mafased, un dipartimento della polizia che si occupa della moralità e del buon costume. Molti transessuali sono imprigionati fino all’udienza con il giudice, che può decidere se liberarli o meno, dopo un processo che alcuni definiscono come “orribile e tormentato”.

Una testimonianza di questi trattamenti viene da Sayeh, un transessuale iraniano insultato e umiliato dalla polizia perché indossava una maglietta e un jeans. Detenuto per due giorni e torturato psicologicamente, ha dovuto firmare una carta con la quale dichiarava che non sarebbe più uscito per strada con quell’abbigliamento. Nel 2007, dopo aver richiesto asilo all’agenzia dei rifugiati Onu della Turchia, si è stabilito a Toronto, in Canada, dove dopo un anno si è tolto la vita.

Le violazioni dei diritti umani nei confronti della comunità Lgbt iraniana restano quindi sistematiche e costanti, come fanno presente JusticeForIran (Jfi) e 6rang, due Ong che si battono per i diritti civili in Iran. In uno loro report intitolato, “Pathologizing Identities, Paralyzing Bodies”, emerge che le procedure per il riconoscimento dell’identità sessuale in Iran non rispettano gli standard internazionali perché di fatto non hanno riguardo dei diritti delle persone, ma forzano queste a conformarsi secondo gli stereotipi di genere.

Questo pone la comunità Lgbt in Iran a una scelta forzata: conformarsi alla legge attraverso la prassi descritta oppure venire socialmente e professionalmente discriminati, subire violenza, essere privati della libertà e non esprimere la propria sessualità liberamente.

Non è dello stesso avviso Koki, un transessuale di 29 anni che lavora come medico generico a Isfahan, circa 300 chilometri a sud della capitale Teheran. Non si è ancora operato e racconta di non aver mai avuto problemi essendo un trans.

Il sistema nazionale sanitario iraniano decide, di comune accordo con il clero, se una persona si può operare o meno. La prima fase per cambiare sesso è quella delle sedute psichiatriche. Nell’ultimo colloquio con lo psichiatra, i transgender sono accompagnati dai genitori che devono dare il consenso. In caso contrario, l’iter verrebbe compromesso, se non addirittura respinto. Secondo gli esperti, ciò determinerebbe una violazione della privacy e dei diritti di una persona adulta.

La seconda fase è la cura ormonale. Molti transgender iniziano la terapia prima dell’incontro con i dottori, sperando di aumentare le possibilità di successo della diagnosi. La terza fase è l’operazione di riassegnazione sessuale. L’ultima è la revisione dei documenti del paziente. In molti casi, i transessuali in Iran devono vedersela con un iter burocratico che viene spesso ostacolato dalle commissioni legali che devono certificare il cambio del sesso.

La situazione dei transgender e della comunità Lgbt iraniana ha prodotto almeno 580 richiedenti asilo ogni anno per il riconoscimento dei propri diritti all’estero su un totale di 28,803 richiedenti asilo. Le mete più diffuse sono Australia, Canada, Stati Uniti e Turchia.

Dal 1979 sono state stimate più di 4mila esecuzioni di cittadini iraniani per il loro orientamento sessuale, secondo quanto afferma Twin Cities Daily Planet, anche se non sono disponibili statistiche ufficiali da parte del governo.

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