Così mi sono salvato dal rogo alla Grenfell Tower, parla l’italiano sopravvissuto all’incendio
Un uomo italiano di 57 anni è sopravvissuto all'incendio partito da un frigorifero e costato la vita ad almeno 80 persone la notte del 14 giugno a Londra. TPI lo ha intervistato
Antonio Roncolato ha 57 anni ed è originario della provincia di Padova. È immigrato nel Regno Unito da giovane e ora lavora a Londra in un albergo.
La notte del 14 giugno si trovava nel suo appartamento al decimo piano della Grenfell Tower, dove viveva da 27 anni. Quando è scoppiato l’incendio, costato la vita ad almeno 80 persone, era da solo in casa.
Non conosceva le due vittime italiane del rogo, Gloria Trevisan e Marco Gottardi, che vivevano al 23esimo piano. Conosceva invece altre persone rimaste uccise o ferite nell’incendio.
Antonio ha raccontato a TPI come è riuscito a salvarsi la vita in quella drammatica notte.
Ho capito nel giro di pochissimi minuti. Era circa l’una e mezza, stavo dormendo, mio figlio stava rientrando dal lavoro e ha visto la torre che bruciava. Mi ha chiamato, svegliandomi. Mi sono reso conto che c’era qualcosa di grave, però non sapevo quanto grave perché dalla parte del palazzo in cui viviamo noi non si vedeva il fuoco. Poi mio figlio mi ha mandato la foto col telefonino e ho visto la torre in fiamme.
E allora lì ho detto: adesso devi stare calmo, vedere com’è la situazione. Mi sono vestito. C’era un po’ di fumo in casa però non molto. Ho provato ad aprire adagio la porta di casa. C’era un fumo nerissimo, molto caldo. Mi è venuta come una vampata in viso. Ho chiuso, ho messo la catenina e sono andato subito a lavarmi gli occhi in bagno perché bruciavano.
Ho pensato: se io esco di là muoio. Ho aspettato, ho dato segnali che mi trovavo nell’appartamento. Ho spento e acceso le luci, per far vedere che ero lì.
Ho aperto un po’ le finestre ma c’erano cose che cadevano da sopra. C’erano anche dei piccoli scoppi: era la combustione del materiale che scoppiava tra il cemento armato e la protezione di alluminio. Dall’alto cadeva di tutto e di più, c’erano pezzi d’alluminio che cadevano bruciando.
Poi ho spento tutti gli interruttori, ho staccato tutti gli elettrodomestici e ho tenuto il telefonino sempre ben caricato. Ho spento le luci intorno alle tre e mezza-quattro, quando ha iniziato ad albeggiare.
Sono stato cinque ore nell’appartamento, che intanto si è riempito di fumo. Io ogni tanto aprivo una finestra di qua o di là per avere un po’ di ossigeno. Poi c’era l’allarme antincendio che faceva un rumore snervante.
Ho fatto molte telefonate, con mio figlio ovviamente, con i vigili del fuoco e con parenti e amici. Ho chiamato anche l’albergo per cui lavoro, per dare istruzioni per l’indomani.
I vigili del fuoco sapevano che ero lì. I miei amici e parenti avevano chiamato il 999 per ricordare che c’era una persona al numero 72, al decimo piano.
Ero convinto che sarei uscito, avevo fede, dicevo: oggi non è il tuo giorno, dovrai uscire vivo e vegeto. Ho preparato il mio zainetto con il passaporto, il laptop, tutte le cose di valore. Avevo tempo di pensare freddamente ed essere lucido.
Alle 4 ho provato a uscire un’altra volta. Fumo intensissimo e ho detto: finché non mi prendono loro io non scendo.
Sentivo rumori di gente che gridava, che scendeva. Alle 6.15 sono arrivati i pompieri, c’era un po’ meno fumo. Mi hanno chiesto quante persone ci fossero nell’appartamento. “Solo uno”, ho detto. “Allora seguimi”, ha detto un vigile del fuoco. Si sono messi uno davanti e uno dietro di me. Avevo gli occhialini del nuoto di mio figlio, un asciugamano bagnato in testa, uno in viso.
Siamo scesi per dieci piani in un attimo, eravamo come sincronizzati. Giù mi hanno dato una coperta, una bottiglietta d’acqua, la maschera dell’ossigeno e poi in ospedale. Ho respirato tanto fumo ma non ero ferito.
Sì, ma tra i due è lui che ha più incubi. Vedere quella torre bruciare davanti a te è una cosa che non dimenticherai mai. E lui ovviamente sapeva che io ero dentro.
Tutti gli abitanti erano stati allontanati e da dove si trovavano vedevano solo la parte superiore della torre, che era in fiamme. Lui non sapeva che da me non c’era fuoco. Le fiamme sono arrivate solo un attimo nella sua stanza, dall’esterno, e i vigili del fuoco le hanno spente subito.
Il materiale con cui era ricoperto il palazzo non era stato sottoposto adeguatamente ai test antincendio. È uscita adesso (la sera del 30 giugno, ndr) la notizia che anziché mettere pannelli di zinco, materiale molto resistente, li hanno messi di alluminio, per risparmiare 300mila sterline.
La verità è che era tutto molto bello da vedere, ma tante cose erano state fatte al ribasso. E alla fine la gente è morta. Questo è quello che fa arrabbiare da morire.
Noi non sospettavamo nulla. Non è che potessimo fare delle prove, era tutto certificato dalla compagnia.
C’è un’altra questione che poi si è rivelata importante. Grenfell Tower è alla fine di una stradina molto stretta. Fino a tre anni fa c’erano tutto intorno dei parcheggi, dei campetti di calcetto, c’era spazio. Da questo parcheggio entravano macchine, anche le corriere quando facevano il carnevale di Notting Hill. C’era spazio per muoversi. Quella lì sarebbe stata anche un’entrata per i vigili del fuoco in caso di necessità.
Negli ultimi tre anni in questo spazio è stata edificata una scuola bellissima ma l’area è completamente chiusa. Non hanno lasciato posto ai mezzi di soccorso per accedere a un conglomerato di edifici così grande. Quando sono arrivati i pompieri hanno fatto il massimo ma c’è voluto tempo, e non potevi mettere molti camion vicino alla zona.
Quando sono iniziati i lavori di restauro nel palazzo il Tmo, che è l’organo che amministrava il palazzo, ha costantemente lasciato da parte noi residenti. Abbiamo chiesto più volte di essere presi in considerazione e consultati costantemente su quello che si doveva fare.
Loro hanno preso l’impresa, avevano un budget e decidevano come e cosa fare. Noi eravamo considerati molto poco. Finché poi non ci siamo intestarditi per alcune cose e abbiamo fatto arrivare la parlamentare della nostra zona all’incontro tra i nostri rappresentanti e il Tmo.
Le faccio un esempio, prima avevamo lo scaldabagno dietro la cucina, secondo loro non era possibile, volevano metterlo nell’ingresso.
Io e altri sopravvissuti abbiamo formato un gruppo che si chiama “Grenfell United”, abbiamo eletto undici rappresentanti che si metteranno a disposizione più degli altri. Tutti avanzeremo idee, domande, faremo presente quello di cui abbiamo bisogno, e così ci assicureremo che quando ci daranno gli appartamenti avranno come minimo un certo livello.
Il gruppo è stato riconosciuto dalla prima ministra Theresa May che ha detto che comunicheremo direttamente con il governo, non tramite il council (il comune) o tramite avvocati. Ci ha dato l’autorità di esigere.
Theresa May ora si trova in una posizione molto debole perché c’è stata Brexit, c’è stata questa tragedia dell’incendio, ci sono state Manchester, London Bridge, Finsbury Park.
Adesso promette di fare pressione agli enti locali affinché provvedano a offrirci delle case che magari non saranno il massimo della bellezza ma che almeno siano accettabili. Finora io stesso ho rifiutato due possibili sistemazioni. Ho rifiutato di muovermi dall’albergo perché non voglio andare fuori dal mio quartiere.
May ha detto che nel giro di tre settimane dovremo avere tutti una casa, anche solo provvisoria. Gli enti locali si stanno dando da fare, ma noi vorremmo sistemazioni decenti, anche se provvisorie.
Siamo in un albergo molto bello che tra l’altro, appartiene alla compagnia per cui io lavoro, che si chiama Millennium & Copthorne Hotels. Hanno messo a disposizione più di 50 stanze al comune, in modo da provvedere per i residenti di Grenfell Tower. Sono stati molto generosi. Ho una stanza per me, una per mio figlio, i pasti e la biancheria sono inclusi.
Chiediamo che venga fatta chiarezza e giustizia, che i responsabili siano portati in tribunale, che l’informazione continui a mettere il fiato sul collo a questa gente e che ci diano delle sistemazioni decenti, perché io stavo benissimo e voglio continuare a vivere la vita che vivevo lì.