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Londongrad

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Sono 400 mila i russi nella capitale inglese. Tra loro oligarchi e spie che vivono di business e politica. Ecco chi sono

Il venerdì da Mari Vanna, il ristorante russo più esclusivo di Londra, c’è il tutto esaurito. Affaristi, banchieri, politici e lobbisti: da mattina a sera è un viavai di rubli e sterline. I più importanti li vedi arrivare per il tè del pomeriggio dopo un piatto di blinis salmone e caviale, e poi ritrovi i loro figli qualche ora più tardi all’Harrington club di South Kensington a un ‘Russki party’ privato. Sono corazzati da guardie del corpo, solitamente russe, israeliane o francesi. Perché di quelle inglesi non si fidano. Si vestono allo stesso modo: abito blu e camicia bianca, meglio se di marca italiana. Anche l’hotel è lo stesso, il Lanesborough di Hyde Park, così come la zona che abitano: un’area compresa tra Kensington e Chelsea, Belgravia e Mayfair. I quartieri più esclusivi della metropoli. A causa loro, Eaton square, simbolo dell’aristocrazia inglese, è stata ribattezzata la ‘Piazza Rossa’.

I russi hanno invaso Londra e oggi sono almeno 400 mila. Di celebri magnati se ne contano una dozzina e da quando si sono trasferiti qui, per scelta o necessità, hanno messo le mani su diversi patrimoni del Paese. Non sono amici ma nemmeno nemici. Si legano e slegano solo per affari. I figli frequentano gli istituti più costosi della città; le mogli amano l’arte. Da Harrods a Selfridges, in tutti i grandi magazzini si parla anche il russo. La domenica mattina fuori dalla chiesa ortodossa di Ennismore Gardens a Knightsbridge è una processione di Ferrari e Mercedes.

Pro o contro Putin poco conta, per gli oligarchi russi del Regno Unito l’importante è fare soldi. ‘Mosca sul Tamigi’, ‘Londongrad’ e ‘Little Russia’, Londra è il paradiso terrestre perfetto per le loro esorbitanti ricchezze. Anche la politica li tratta da signori. I conservatori britannici stendono il tappeto rosso a questi uomini di potere, specie se vicini al Cremlino. L’obiettivo? Ricucire rapporti diplomatici più sereni tra Londra e Mosca, ultimamente spesso burrascosi a causa della guerra delle spie in entrambi i Paesi. Dalla politica industriale a quella estera, gli interessi in comune sono molteplici. Un mix di politici e uomini d’affari che confluisce nell’interesse per i profitti. Con un ulteriore catalizzatore: l’astio per l’Unione Europea.

Ma chi sono gli oligarchi russi? C’è Boris Berezovsky, 66 anni, nemico giurato di Vladimir Putin, di quelli che si sono arricchiti negli anni Novanta con il tracollo dell’Unione Sovietica. Dopo aver occupato ruoli al vertice del Cremlino sostenendo l’ascesa di Putin, è fuggito dalla Russia perché si è sentito tradito: non voleva fare la fine di un altro ex magnate, Mikhail Khodorkovsky, che sta ancora scontando la sua pena in una cella isolata della gelida Siberia a causa dell’affare Yukos, tra le maggiori aziende petrolifere russe che il Cremlino voleva sotto il suo controllo. Berezovsky possiede una casa da 12 milioni di euro a Chelsea, un appartamento a Belgravia e una residenza nel Surrey. Ha perso buona parte del suo patrimonio per via di casi legali. L’ultimo per la compravendita di Sibneft, l’ennesima compagnia petrolifera russa che Putin ha voluto fosse integrata alla pubblica Rosneft, tra le prime al mondo nel settore. Ad accontentarlo ci ha pensato Roman Abramovič, 46 anni, celebre oligarca russo, costringendo Berezovsky a cedergli la sua quota per una cifra minore rispetto al prezzo di mercato e poi vendendo l’intera società allo Stato come da indicazioni precise del presidente russo.

Anche Abramovič ha fatto fortuna nell’era Eltsin delle grandi privatizzazioni statali. Li chiamano “gli oligarchi della prima generazione”. Nel 2003 ha acquisito il Chelsea Football Club. Appartamenti, case, ville, castelli, yacht e aerei. Nelle sue dimore vige la sfarzosità: piscine e night club nei seminterrati. Ma diversamente da Berezovsky, lui di questioni di principio ne ha fatte ben poche e così è diventato l’uomo di Putin a Londra, se non addirittura il suo punto di riferimento in Europa. Fa tutto quello che dice il compagno ‘Vlady’, tanto che prima di lasciare la moglie per la sua nuova compagna, Dasha Zhukova, ha dovuto chiedergli il permesso. È amministratore delegato di Millhouse Capital, la holding con cui fa affari nel mondo e che condivide con il socio-presidente, Eugene Shvidler, 48 anni, anche lui potente industriale russo. Il patrimonio di Abramovič è stimato intorno ai 10 miliardi di euro, ma è difficile fare i conti in tasca alla cricca dei russi arricchiti. I loro business sono costruiti come matrioske. Sembra quasi che l’importante per questi uomini extra lusso non siano i soldi quanto piuttosto il clamore che gli gira intorno. Memorabile è rimasta la consegna a domicilio più costosa della storia, che Abramovič ordinò dal ristorante giapponese Ubon (parente del più celebre Nobu) di Canary Wharf a Londra e si fece recapitare direttamente a Baku, in Azerbaigian, con un jet privato. Costo: 50 mila euro.

Poi c’è Oleg Deripaska, 44 anni, l’‘uomo dell’alluminio’ grazie a Rusal, maggiore produttore mondiale, di cui controlla oltre il 48 per cento con il suo gruppo energetico En+. È ben introdotto nella politica. Sul suo yacht in passato sono saliti l’attuale cancelliere dello Scacchiere George Osborne, l’uomo d’affari Nathaniel Rothschild e anche Peter Mandelson, figura di spicco dei laburisti. Anche Deripaska in passato ha avuto problemi per le partecipazioni di Rusal con altri oligarchi, come l’uzbeco Michael Cherney e Viktor Vekselberg. Quest’ulitmo, insieme a Mikhail Fridman e Leonard Blavatnik, è a capo del triumvirato Alfa, Access e Renova (‘Aar’), comproprietario insieme a British Petroleum (Bp) del consorzio Tnk-Bp, terza compagnia petrolifera russa. Blavatnik vive a Kensington Palace Gardens, la ‘via dei miliardari’ di Londra, dove una casa non costa meno di 25 milioni di euro.

Alisher Usmanov, 59 anni, cittadinanza russa e americana, detiene una fetta importante dell’Arsenal Football Club. E Vladimir Lisin, 56enne, ricchissimo e cacciatore per passione, è a capo della Novolipetsk Steel, quarta in Russia per produzione di acciaio. È anche il proprietario della North Western Shipping Company. Tradotto: la nave che la scorsa estate rifornì il regime di Assad in Siria di armi da combattimento.

Discorso a parte merita Alexander Lebedev: un passato nei servizi segreti, 53 anni ed ex candidato sindaco di Mosca nel 2003, è l’oligarca cui fa riferimento l’establishment britannico. Non a caso nel Regno Unito è proprietario di quattro quotidiani, tra cui Evening Standard e The Independent. Ha una linea preferenziale con Downing Street e conosce bene il sindaco di Londra Boris Johnson e l’ex primo ministro Gordon Brown. Il figlio Evgeny gestisce i suoi giornali e gira il mondo intervistando presidenti e dittatori come fossero amici di vecchia data. Ma Alexander Lebedev è attivo anche a Mosca: insieme a Mikhail Gorbachov possiede la Novaya Gazeta, periodico d’opposizione. Detiene l’11 per cento di Aeroflot e quote di Gazprom.

La lista dei magnati è lunga: Potanin, Gusinsky, Borodin, Prokhorov e Reznikov. Tutti con un certo peso e uniti da un aspetto singolare: la loro permanenza a Londra gli garantisce di preservare il proprio patrimonio personale. In primis perché non vivendo in Russia e non interferendo direttamente con la politica, le possibilità che Putin si rivalga contro di loro sono minori. Ogni tipo d’investimento in Gran Bretagna è un’assicurazione contro le mire politiche di Mosca. Oltretutto, gli oligarchi russi si fidano ciecamente del sistema giudiziario britannico. Sanno che è imparziale e che in un eventuale processo d’accusa non verrebbero estradati in Russia per marcire in prigione. Non solo: Berezovsky e compagni fanno anche leva sul fatto che ogni qualvolta Putin chiede l’estradizione di questo o quell’oligarca alle autorità britanniche, le spese per le udienze sono tutte a carico dei contribuenti inglesi. Che ci rimettono in prima persona. Del resto gli uomini di potere russi hanno fatto della legislatura un vero cavallo di battaglia persino per le loro sfide interne. Vanno pazzi per i casi legali. Gli piace portare davanti al tribunale gli avversari in affari e si sfidano a chi spende di più e chi la spunta. Si stima che il 60 per cento circa del lavoro giudiziario svolto ogni anno nella metropoli di contestazioni immobiliari avvenga grazie ai clienti russi ed est europei. Una manna per gli avvocati più importanti.

Luke Harding del Guardian ha definito ‘Kremlin Inc.’ quella macchina amministrativa che serve gli interessi della Russia attraverso una fitta rete di uomini di potere e corruzione. Qualche mese fa era sorto il gruppo ‘Conservative Friends of Russia’ (CFoR), concepito nel giardino di casa dell’ambasciatore russo Alexander Yakovenko (anche lui risiede nella via più cara di Londra) e poi prontamente chiuso per l’inspiegabile pubblicazione sulla rete dell’immagine di un parlamentare all’opposizione ritratto in mutande. Il punto della vicenda è che l’uomo dietro quella che voleva essere una lobby di autorevoli Conservatori e l’élite russa si chiama Sergey Nalobin, con buone probabilità un membro dei servizi esteri dell’intelligence russa (Svr). La sensazione, come conferma anche Michael Weiss, esperto di Russia, è che gli uomini di Putin a Londra (compresi i magnati a volte) abbiano tutte le intenzioni di distogliere con la complicità dei Conservatori l’attenzione del Parlamento britannico dalle accuse contro Mosca sul terreno dei diritti umani. Il tutto a vantaggio degli oligarchi russi. Perché ovunque soffi il vento, per loro l’importante è continuare a regnare saldamente. In esilio a Londongrad.

*Una copia dell’articolo di Giulio Gambino “Affari e misteri a Londongrad” è pubblicata da pagina 56-59 su l’Espresso 4-10 gennaio 2013

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