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Home » News

Le donne single italiane che vanno all’estero per avere un figlio

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Si rivolgono a cliniche estere perché in Italia è proibito e seguono l'iter per restare incinta tra cure ormonali, fecondazione in vitro, inseminazione artificiale, per non rinunciare al loro sogno di diventare madri

“Se il vostro desiderio è quello di essere madre e non avete un partner maschile o il partner è una donna potete ricorrere alla riproduzione assistita. In Spagna è legale e così è sancito dall’articolo 6 della legge corrente 14/2006, relativa alle tecniche di riproduzione umana assistita:

Qualunque donna con più di 18 anni e con piena capacità giuridica può essere la ricevente o l’utente delle tecniche contemplate dalla presente legge, a condizione che abbia prestato il consenso scritto al suo utilizzo in modo libero, consapevole ed esplicito. La donna può essere utente o ricevente delle tecniche di cui al presente atto a prescindere dal suo stato civile e orientamento sessuale.

La clinica Eugin può aiutarvi a realizzare il sogno di essere madre”.

Lo si legge direttamente sul sito del gruppo ospedaliero con sede a Barcellona che si occupa di prestare assistenza alle donne che intendono intraprendere una gravidanza, che siano esse in coppia o single.

Le cliniche

La Eugin è solo una delle tante cliniche che offrono consulenza medica e servizi specifici per inseminazione artificiale, fecondazione assistita e in vitro, donazione di ovociti e di liquido seminale.

In Italia non è permesso alle donne senza un compagno di poter ricorrere a questi servizi, per cui chi nutre il desiderio di diventare mamma è costretto ad andare all’estero: Spagna, Belgio, Regno Unito, Danimarca, Grecia.

Eppure il desiderio delle donne italiane di diventare mamme, malgrado il non avere una relazione o il non essere spostate, esiste ed è anche consistente.

Basti pensare al fatto che molte delle cliniche che offrono questi servizi hanno personale dedicato che parla italiano, nonché versioni dei siti web nella nostra lingua: un dato che ci fa pensare a quanto la “domanda” in questo campo sia consistente e appetibile per il mercato.

“Nel 2016 abbiamo seguito 125 donne single italiane, di un’eta media di 40 anni. Numeri che negli anni sono cresciuti e che sono destinati ad aumentare”, ha spiegato a TPI Rita Vassena, direttrice scientifica della clinica Eugin di Barcellona.

Il percorso per procedere con i trattamenti cambia da clinica a clinica e dipende dalle singole esigenze delle pazienti.

“Alla donna vengono richiesti diversi esami clinici che può eseguire in Italia, alcuni dei quali dietro prescrizione medica, e poi si fissano degli incontri in clinica. Una volta inquadrata la terapia più adatta, viene ricercato il donatore, che resta e resterà per sempre rigorosamente anonimo”, continua a spiegare la direttrice.

Per compiere l’intero iter può volerci in media un anno, ma i tempi dipendono da diversi fattori legati alla salute della futura mamma. Anche il costo varia a seconda dei trattamenti: si passa dai 2mila euro per l’inseminazione artificiale, fino ai 6mila per operazioni più complesse.

La clinica si occupa di proteggere la privacy dei pazienti e dei donatori: i futuri nati non potranno mai conoscere l’identità dei loro padri, in nessun caso. L’equipe medica avrà il compito di selezionare il donatore più compatibile dal punto di vista genetico con il corredo cromosomico della donna.

– LEGGI ANCHE: Tutti i modi in cui le coppie dello stesso sesso possono diventare genitori

La presenza di queste cliniche, e le richieste ricevute ogni anno, sono la manifestazione di un cambiamento sociale tuttora in atto che si sta aprendo a nuovi modelli familiari.

Famiglie monogenitoriali che però in Italia non sono ancora ben viste e che spingono le donne italiane a mentire e a rivolgersi altrove per poter soddisfare il loro desiderio di diventare mamme.

“Le mamme single italiane rappresentano circa il 10 per cento dei trattamenti che in totale realizziamo in un anno. L’età media è di 34 anni mentre la mediana è 40 anni. Le donne ci consegnano un documento con una dichiarazione del loro stato civile e poi si procede con la scelta del trattamento e delle varie analisi cliniche”, spiega Giuliana Baccino, vice direttrice e psicologa della clinica Fiv di Madrid che da 25 anni si occupa di ricerca nel campo della riproduzione.

“Procediamo con una ricerca approfondita dei donatori per selezionare il DNA che combinato con il patrimonio genetico della donna riduca al minimo le possibilità che il bambino sviluppi malattie frutto di combinazioni sbagliate”, racconta la dottoressa Baccino.

I costi in Spagna sono piuttosto contenuti ed è per questo motivo che in molte si recano lì. Anche il Regno Unito e il Belgio vengono scelti dalle donne italiane per procedere con i trattamenti procreativi, anche se il numero dei donatori nel Regno Unito si è notevolmente abbassato da quando il paese ha permesso ai figli nati da donazioni di poter risalire all’identità dei loro padri biologici.

Testimonianze

Francesca Bergandi lavora in un asilo nido di Torino e ha 32 anni, ad agosto andrà in Spagna, nella clinica Eugin di Barcellona, per sottoporsi alla fecondazione assistita. Vuole diventare madre e questo prescinde da qualunque situazione affettiva la riguardi.

“Avrò questo bambino da sola, è una decisione che ho maturato nel tempo, questo tipo di iter richiede esami e lunghi periodi di attesa durante i quali ho avuto modo di riflettere. Anche i trattamenti possono essere invasivi e richiedere gli esami in Italia non è semplice, la burocrazia italiana complica le cose e non tutti i medici di base sono disposti a prescriverli se vengono a conoscenza della verità sulle nostre intenzioni. Bisogna essere molto convinti per procedere in questo percorso”, spiega Francesca.

“Ho dovuto mentire alla mia dottoressa italiana per far sì che mi prescrivesse gli esami, le ho detto che erano due anni che io e il mio compagno provavamo ad avere bambini per questo volevo fare dei controlli ormonali, altrimenti non avrebbe accettato che da donna single stessi cercando di avere un figlio”, prosegue Francesca mentre ammette che si tratta di una decisione importante che avrà delle conseguenze nella sua vita.

“Ho pensato bene al fatto che sarò sola quando il bimbo starà male, quando lo si dovrà accompagnare in giro, quando vedrà i suoi compagni con entrambi i genitori, ma come ce l’hanno fatta le altre madri sole possono farcela anche io”. – continua a spiegare Francesca – “Sarò chiara e sincera fin da subito con lui o lei e gli racconterò tutto non appena sarà in grado di capire, lavoro con i bambini e so che la loro felicità dipende dal clima di amore e serenità che possono trovare in casa, so che la sincerità sarà premiata e che i bambini vedono le cose in modo molto più semplice di noi adulti”.

Francesca non è preoccupata per il suo delicato ambiente di lavoro dove ha già spiegato la sua scelta e si è sentita capita e compresa da tutti, così come ha trovato nella sua ginecologa una persona in grado di seguirla e di assisterla nella sua scelta.

Le donne che restano incinte grazie a questi metodi artificiali negli altri paesi e che poi partoriscono in Italia risultano per le istituzioni italiane come “ragazze madri”.

I figli che nascono prendono il cognome della mamma, il cui padre risulta ignoto.

La storia di Paola Calvi, mediatrice culturale di Napoli, è ancora differente.

Il desiderio di avere un bambino Paola lo aveva coltivato già quando era impegnata in una relazione con la sua compagna: con lei aveva deciso di procedere con la fecondazione assistita per realizzare il sogno di avere un figlio.

– LEGGI ANCHE: Lesbica e madre, senza diritti e senza doveri nei confronti di mio figlio

Nonostante però la storia sia finita, Paola ha capito che quel desiderio era più forte di tutto, anche della paura di portare avanti una gravidanza da sola. Per questo motivo ha deciso di cominciare ugualmente le terapie per restare incinta e sta seguendo le cure ormonali assistita da una clinica in Belgio.

“Sarebbe molto più semplice se l’Italia aprisse a questa opportunità: oggi ci troviamo a dover andare all’estero per poter creare una famiglia, che sia da sole o in coppie omosessuali, perché il nostro paese fa finta di non vedere quello che accade nonostante le credenze comuni. Io so che non sarò sola, ci sarà la mia famiglia, i miei amici e le persone che hanno accettato il mio modo di vivere”, dice Paola.

“Spero anche di trovare una compagna che condivida lo stesso amore che potrò provare io per il bambino che spero di poter presto portare in grembo, ma se non dovesse accadere, presto o tardi che sia, la cosa non mi spaventa. Il lavoro che faccio mi ha permesso di conoscere tante realtà familiari differenti, e so che l’amore di un unico genitore può crescere un bimbo sereno e felice anche più di quelle coppie infelici, litigiose o problematiche che tanta instabilità donano agli uomini e alle donne di domani”.

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