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Tutti pazzi per Boris

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Il carisma di Boris Johnson sta facendo traballare David Cameron. Ma anche tra i suoi ammiratori c'è chi spera non diventi mai primo ministro

Tutti pazzi per Boris

Capelli arruffati e dotati di vita propria, battuta sempre pronta e capacità di attirare tutti gli occhi su di sé qualunque cosa faccia, dica o anche solo pensi. Ciò che serve per comprendere il fenomeno Boris Johnson, in fondo, è tutto qui. Settimana dopo settimana, il sindaco di Londra sta diventando una delle figure più popolari del panorama politico britannico. Il successo delle Olimpiadi ne ha alimentato la visibilità e le ambizioni, ma è soprattutto nelle ultime settimane, con la stagione delle conferenze di partito e i conseguenti riassestamenti, che ‘BoJo’ è diventato oggetto di ogni sorta di speculazione. Politici e analisti si chiedono se possa assumere la leadership dei Conservatori e, se sì, quando.

Il contesto di tale fermento è una grave crisi di consensi per il partito, che i sondaggi danno svantaggiato di almeno 7-8 punti rispetto al Labour (per quanto riguarda i Lib-Dem, compagni di sventura al governo, essi stanno letteralmente colando a picco, scontando un’evidente difficoltà a imporre la loro policy all’interno della coalizione). In questa situazione David Cameron appare a molti come parte del problema, più che una sua possibile soluzione. Secondo l’Economist (sostenitore dei Tory alle ultime elezioni), dopo un periodo caratterizzato da “sgraziate inversioni a U” e mancanza di progresso economico, “anche i parlamentari fedeli [a Cameron] sono preoccupati per la mancanza di una visione d’insieme convincente”.

Nessuna sorpresa dunque che siano sempre più coloro che vedono in BoJo una via per disinnescare il binomio crisi economica-disconnessione dall’elettorato in cui questo esecutivo rischia di rimanere impantanato. A prima vista, il profilo del sindaco londinese non appare troppo distante da quello di Cameron. Tutti e due hanno studiato a Eton e poi a Oxford, e i modi di entrambi sono impregnati di un’indelebile venatura aristocratica. Quest’ultima, però ha finora danneggiato solo Cameron, nonostante i suoi disperati tentativi di minimizzarla.

Quanto avvenuto all’annuale conferenza Tory, svoltasi a Birmingham in ottobre, ben evidenzia il contrasto fra i due. Il primo ministro ha tenuto un discorso solido e ben strutturato, ma privo di perle retoriche. Assumendo un atteggiamento difensivo, ha cercato soprattutto di scrollarsi di dosso l’immagine di posh boy che il Labour gli ha efficacemente cucito addosso: «Non sono qui per difendere il privilegio. Sono qui per diffonderlo». Boris Johnson, dal canto suo, ha semplicemente fatto Boris Johnson. Accolto come una rockstar, ha entusiasmato la platea elargendo freddure, dialogando col pubblico, perdendo quasi il filo (come suo solito) più di una volta. Com’era prevedibile, ha attirato su di sé tutti i riflettori. Cameron, seduto nelle prime file, ostentava un sorriso tirato.

Alla conferenza è cioè tornato più evidente che mai lo scarto di carisma che separa i due fin da quando erano studenti. David è sempre rientrato nella categoria dell’allievo che fa i compiti a casa: diligente, ma tutto sommato non particolarmente brillante. Boris, al contrario, in quella degli animi caotici, estroversi e geniali. Non è difficile indovinare chi aveva più successo con le ragazze all’università. Così come intuire perché BoJo oggi è tanto amato dall’elettorato conservatore ma non solo. Per il momento Cameron sembra ancora in una posizione ragionevolmente sicura. Il sindaco di Londra non sta mettendo apertamente in discussione la sua leadership, anzi a parole la sostiene con forza. A Birmingham BoJo si è detto certo che “David Cameron vincerà nel 2015, quando l’economia si sarà ripresa e la gente trarrà beneficio da nuovi posti di lavoro e crescita”.

Cosa accadrà se malauguratamente tale ripresa non dovesse verificarsi è tutt’altro che chiaro, e gli ambienti vicini al capo del governo non appaiono certo a loro agio con la popolarità di Boris. Kenneth Clarke, ex ministro dellla Giustizia, è arrivato a suggerire pubblicamente al sindaco di “darsi una calmata”. Secondo Tim Bale, esperto in Tory politics della Queen Mary, University of London: “Johnson rappresenta un grosso problema per Downing Street. Con la sua sola esistenza, costituisce un altro polo di attrazione verso cui si orientano i parlamentari insoddisfatti di Cameron – per divergenze di vedute o semplicemente perché esclusi dai ruoli che contano. Per il primo ministro sarebbe molto meglio se i suoi pensassero di non avere alcuna alternativa”.

Una vera spina nel fianco, dunque. Specie considerando che, nonostante la posizione ufficiale di Johnson, c’è già chi dai ranghi conservatori sta sollecitando un suo ritorno in Parlamento prima del 2015, così da rendere possibile un ricambio nella leadership già per le elezioni generali. Certo, nel complesso non appare probabile che BoJo ceda a tale tentazione. Si è già impegnato in senso opposto, e per molti versi è nel suo interesse lasciare al suo rivale la patata bollente di un’elezione che si preannuncia estremamente difficile. La scalata del partito risulterebbe più agevole in seguito, specie se i Tory dovessero risultare sconfitti. Tuttavia, come sottolinea Bale, nella politica inglese è vivida la memoria dei parecchi casi di carriere sfumate per un attimo di titubanza di troppo (basti pensare a David Miliband, carismatico ma sfortunato fratello dell’attuale capo dell’opposizione): con questi esempi in mente, non si può escludere che BoJo decida infine che il suo momento è questo, e se non ora quando.

Il trasferimento delle redini del partito al sindaco di Londra, però, non si riduce a una questione di tempo. Boris entusiasma le folle, ma non manca né di rivali né di difetti. Max Hastings, una delle penne più influenti della stampa inglese (schieratosi coi Tory nelle elezioni del 2010), ha scritto senza mezzi termini sul Daily Mail: “Se Boris dovesse diventare primo ministro, sarò sul primo volo che lascerà la Gran Bretagna”. I sondaggi registrano un leggero aumento di consensi per il partito con Johnson alla guida, ma a Westminster sono parecchi i Conservatori che non ritengono sufficientemente adeguato il sindaco londinese.

Sempre secondo Bale, “Johnson è un buon comunicatore, ma nei suoi anni in Parlamento [fra il 2001 e il 2008, ndr] il suo record non è stato certo brillante. I suoi interventi non hanno avuto particolare successo, e ha lasciato un’impronta piuttosto debole per quanto riguarda le policy proposte. Inoltre, era ed è visto come un ‘lupo solitario’, non come qualcuno capace di gestire e comandare una squadra”. Nella cerchia vicina a Cameron non mancano figure (dal ministro dell’Educazione Michael Gove al ministro dell’Interno Theresa May) che, pur meno brillanti sul piano della personalità, agli occhi di molti offrono maggiori certezze su quello della reale capacità amministrativa. La lotta per la successione sta appena cominciando, e si preannuncia più dura che mai.

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