L’Islam che fa paura alla Cina
Gli uiguri sono i musulmani cinesi. Vivono nel nordovest. Il governo centrale di Pechino coglie ogni occasione per reprimerli
Chi indossa il velo, ha la barba lunga e indossa vestiti con il simbolo dell’Islam – la mezzaluna con la stella – non potrà salire sugli autobus di Karamay, una città della regione dello Xinjiang, nel nordovest della Cina.
I destinatari del messaggio sono i cinesi di fede musulmana: gli uiguri.
Subito dopo metà agosto, è stato imposto agli uiguri dello Xinjiang di salire sugli autobus. L’intento è quello di rinforzare la sicurezza contro possibili attentati. Inoltre, 59 fermate della città saranno sorvegliate dal personale di sicurezza, che provvederà alla perquisizione dei bagagli di ogni passeggero.
Questo divieto è visto dalla comunità degli uiguri come una forma di repressione e discriminazione esercitata dal governo cinese. Non è la prima volta che Pechino vieta agli uiguri di esprimere la propria identità culturale e religiosa. Era già successo in estate, durante il Ramadan, quando le autorità locali avevano vietato ai musulmani di digiunare.
Gli uiguri sono un’etnia turcofona stanziata in Cina, composta da oltre 11 milioni di persone, il 99 per cento delle quali musulmane. Parlano l’uyghur, una lingua turca, e vivono prevalentemente nello Xinjiang, anche se ultimamente circa 20mila sono emigrati nella città costiera di Canton, nel sud della Cina.
Negli ultimi mesi, la tensione tra la popolazione uigura e il governo cinese sta vivendo un’escalation di violenza significativa.
Nonostante l’articolo 36 della costituzione della Repubblica popolare cinese sancisca la libertà religiosa dei cittadini, la popolazione uigura subisce restrizioni e divieti da parte delle autorità governative sia per quanto riguarda la propria identità, sia per l’appartenenza all’Islam.
“La repressione politica da parte del governo cinese è caratterizzata dalla mancanza della libertà di parola, d’associazione e d’assemblea”, afferma Henryk Szadziewski, un ricercatore dell’Uyghur Human Rights Project che ha vissuto in Cina cinque anni.
La tensione è aumentata negli ultimi anni e in particolar modo dopo le sommosse popolari del 2009.
Gli uiguri hanno una cultura, una lingua e una religione diversa da quella cinese e questo viene visto dalla Repubblica popolare come un’opposizione. “Quello che vogliono gli uiguri è semplicemente vivere normalmente, avere una sicurezza economica e poter esprimere la loro identità culturale senza restrizioni e repressioni da parte delle autorità”, ha detto Szadziewski.
La tolleranza del governo cinese nei confronti degli uiguri è venuta meno dopo l’11 settembre 2001. Pechino ha inasprito i trattamenti riservati alla minoranza musulmana, per paura che potesse essere influenzata dalle violente forze islamiche provenienti da Pakistan e Afghanistan, che confinano con la regione dello Xinjiang.
“Gli uiguri sono visti dal Partito comunista cinese come una minaccia etnico-nazionalista per lo Stato”, ha detto Sharon Hom, direttore esecutivo di Human Rights in Cina, aggiungendo che “l’Islam è visto come la struttura portante dell’identità uigura e la Cina ha intrapreso una dura azione per reprimerla e per soffocare il sentimento nazionalista uiguro”.
In un’intervista sul sito Clarion Project, Gordon Guthrie Chang, un esperto di Cina e Corea del Nord, parla di estremismo uiguro. Nello Xinjiang, oltre agli scontri in strada tra Han (l’etnia predominante fra i cinesi) e Uiguri, gli atti di violenza perpetrati da questi ultimi sono rivolti contro le autorità di Pechino.
Inoltre, “le esplosioni sugli autobus fuori dallo Xinjiang nell’ultimo decennio, sebbene rare, sono state attribuite agli uiguri. I fatti riguardanti questi incidenti non sono chiari, perché mancano informazioni provenienti da fonti non governative”, ha riferito Chang.
Etichettato come “organizzazione terroristica” dagli Stati Uniti, il Movimento islamico dell’Est Turkestan (ETIM) è un’organizzazione separatista uigura. “Non è chiaro quanto sia attiva, perché le informazioni vengono filtrate dalle autorità cinesi, le quali mancano di credibilità quando si riferiscono alla questione uigura”, ha aggiunto Chang nell’intervista.
Se dal punto di vista legislativo lo Xinjiang è una regione autonoma, di fatto viene esercitato un controllo totale da parte di Pechino. Lo conferma Szadziewski: “Le cariche politiche più importanti della regione sono coperte da politici di etnia Han, direttamente controllati dal Partito comunista cinese”.