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La mia vita nelle Farc

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Yezid Arteta Dávila è stato un guerrigliero per molti anni. Ora però vuole fare politica senza armi

A guardarlo ora, in collegamento via Skype dal suo studio a Barcellona, sembrerebbe un ricercatore universitario come tanti. I suoi modi sono pacati, le sue parole sempre pesate e la scrivania è coperta da libri che tradiscono la sua passione per gli studi politologici. È di gran lunga più difficile, invece, immaginarselo nella giungla colombiana, intento ad avanzare fucile in spalla al comando di un battaglione di diverse decine di uomini. I 15 anni di militanza nelle Farc (Fuerzas Armadas Revolucionarias de Colombia) sono però un capitolo che Yezid non può, né intende, dimenticare.

Le strade di Yezid Arteta Dávila e del più longevo esercito irregolare del mondo occidentale s’incontrano in una cittadina colombiana alla fine degli anni Settanta. All’epoca Yezid è, come molti suoi coetanei, un attivista della gioventù comunista. Vive e studia nella sua città natale, Barranquilla, una ridente città caraibica affacciata sull’Oceano Atlantico. Da attivista comunista vive sulla propria pelle le difficoltà e le violenze riservate ai non allineati con i partiti al potere. In quegli anni solo i partiti Conservatore e Liberista hanno voce in capitolo, mentre le rappresentanze extraparlamentari devono scontrarsi con il duro clima di repressione e terrore promosso dall’esercito.

Desaparecidos, torture e perquisizioni sono la normalità in cui Yezid e i suoi amici devono muoversi e quando anche l’unica speranza viene spezzata, con quel colpo di Stato che in Cile rovescia Salvador Allende (il primo presidente esplicitamente di sinistra eletto nel subcontinente) sono in molti a vedere nelle armi l’unica via percorribile per ottenere il tanto agognato cambiamento.

È luglio quando Yezid decide di abbandonare la sua Barranquilla. Dice ai genitori che starà via quattro settimane per dei corsi estivi, ma non farà più ritorno. Un aereo lo conduce dall’altra parte del Paese dove senza troppe difficoltà riesce a mettersi in contatto con il quartiere generale delle Farc.

Yezid racconta dello spaesamento iniziale dato dalla presenza di armi e uniformi. Leggere la rivoluzione sui libri e partecipare alle manifestazioni, per quanto pericoloso fosse farlo in quel contesto, era molto diverso dall’arruolarsi in quello che è strutturato come un esercito a tutti gli effetti, con una sua gerarchia, una sua disciplina e le sue norme inviolabili. Una volta dentro il meccanismo delle Farc un guerrillero si impegna a dedicare tutto sé stesso alla causa rivoluzionaria. Fino alla vittoria, o alla morte.

Di quegli anni l’ormai professor Dávila ricorda con più piacere il lato umano che non quello militare. Racconta di come ha imparato a conoscere il proprio Paese viaggiando per villaggi sperduti, attraversando le foreste, conoscendo la natura umana che della Colombia rappresenta la vena più profonda ma che lui prima di allora ignorava. Ben presto quell’ambiente inizialmente nuovo e ostile diventa familiare, normale. Attraverso i ‘cursos basicos’ prima e i ‘cursos de especialidad’ poi (come si chiamano i corsi di formazione interni alle Farc) ha l’opportunità di continuare a studiare, seppur argomenti e visioni radicalmente diversi da quelli dell’Universidad del Atlántico che aveva abbandonato. Viene indottrinato sulla struttura delle Farc, la sua gerarchia, le regole esplicite e quelle implicite. Impara a usare e ad avere cura del proprio fucile, a muoversi nei terreni più impervi con naturalezza e rapidità.

A differenza della gran parte degli arruolati, in gran parte contadini che hanno imparato a leggere e scrivere all’interno dell’organizzazione, Yezid è un uomo di cultura e dotato di un certo acume tattico. Nell’arco di pochi anni le sue conoscenze teoriche abbinate all’esperienza sul campo gli permettono di arrivare a comandare uno dei principali battaglioni dell’organizzazione (il Frente 29) e a essere considerato uno dei principali ideologi.

Yezid viene catturato durante un’operazione militare a Remolinos del Cahuán e condannato a dieci anni di carcere per ribellione armata. Durante la prigionia osserva dall’esterno l’acuirsi del conflitto e l’esponenziale aumento delle vittime, sia militari che civili. Nel frattempo i cambiamenti politici in atto in Paesi vicini come Bolivia, Ecuador e Venezuela lo convincono che ora una via alternativa a quella delle armi è possibile e che, una volta fuori, dedicherà ogni suo sforzo al dialogo e alla mediazione.

Dal suo scarceramento, avvenuto nel 2006, Yezid vive da esiliato a Barcellona. Su di lui pesa una condanna a 27 anni di carcere per l’omicidio di un uomo, reo di aver stuprato una bambina della regione del Cauca, avvenuto durante i suoi anni di militanza nel Frente 29. Spera di poter tornare presto nel suo Paese grazie a un indulto e nel frattempo lavora per il Centro per la Cultura della Pace dell’Università di Barcellona. È molto ottimista riguardo le trattative di pace attualmente in atto fra il governo Santos e i rappresentanti delle Farc e non vede l’ora di poter tornare a fare politica, senz’armi, nella sua Barranquilla.

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