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Home » Esteri

La coppia musulmana scozzese che insegna a diffidare dall’apparenza

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Zinat e Abdul sono di Glasgow ma hanno origini pakistane. La loro storia nella terza puntata della rubrica "Voci dalla strada" firmata da Luca Cappello

Voci dalla strada raccoglie le opinioni e la visione del mondo di gente comune. Non ha la pretesa di analizzare, ma vuole presentare diverse e molteplici verità, raccontate dalla voce essenziale e spontanea di chi vive la storia sulla propria pelle, senza facili e variabili categorizzazioni esterne.

Zinat e Abdul, Granada, Spagna

Era una mattina di maggio, quando il freddo della notte ancora non ha ceduto il passo al tepore della giornata. La Alhambra sembrava lontanissima e troneggiava su Granada dal colle della Sabika. Io, come in pellegrinaggio, arrancavo sulla salita che porta alla biglietteria del monumento. E poi la fila, le chiacchiere, la carta che non funziona, mi faccio prestare i soldi e così conosco Zinat e Abdul; lei con un velo dai mille colori per coprirsi i capelli e che mette di buon umore solo a vederlo da lontano. Lui con una foltissima barba nera di quelle che io non avrò mai, neanche tra mille anni.

Parliamo in inglese del più e del meno fino a quando chiedo loro da dove vengano. “Indovina”, mi rispondono. “India”, sparo io a causa di un accento strano che mi sembrava di aver intuito. Buco nell’acqua. Tento con Pakistan, Emirati Arabi, Marocco. Niente, erano scozzesi, di Glasgow. “Non è facile prescindere dall’apparenza”, mi dicono ridendo.

Io un po’ mi vergogno perché effettivamente l’accento scozzese, quelle erre marcate e le vocali chiuse si sentivano tutte ma il loro aspetto ha prevalso e tutto è passato inaudito alle mie orecchie. Poco male, loro sono simpaticissimi – e comunque poi mi confessano che non ho sbagliato di tanto perché i loro genitori sono di origini pakistane. Si vede che viaggiano molto e che sono curiosi. Visitiamo il monumento assieme, poi vanno a pregare alla moschea e infine, al Café 4 Gatos, io prendo un caffè e loro un cappuccino, quali perfetti figli della Corona.

Si sono sposati da poco perché volevano convivere e mi hanno raccontato del loro matrimonio. “Da tradizione devi invitare tutti i parenti, vicini e lontani, e anche tutto il paese perché quella è la tua comunità e non vuoi offendere nessuno”. Io gli dico che mi ricorda un matrimonio del sud Italia, almeno per come me lo immagino io: pieno di persone, parenti e amici.

Fanno entrambi il dottorato in Scozia e, anche se le nostre materie di ricerca sono diverse, ci mettiamo a discutere dell’università e di tutti i problemi che si porta dietro. Mi chiedono di descrivergli come organizzo una cena a casa. “Una montagna di pasta e sugo in abbondanza”, rispondo. Ridono.

“Anche noi facciamo sempre più cibo del dovuto; non si può lasciare un ospite affamato”, e su questo concordiamo. Chiedo del Ramadan e di come facciano a non mangiare e bere per tutto il giorno. “Alla fine ti abitui, è una cosa naturale per noi e, fidati, non è così dura come appare all’esterno”. Se ci penso alcune diete sono quasi peggio. “Piuttosto di mangiare una carota e un gambo di sedano che ti aprono lo stomaco, quasi è meglio non mangiare nulla!”, dico scherzando.

Ci arrampichiamo per le stradine di Albayzin fino ad arriva al Mirador de San Nicolas. Giunti sulla terrazza ci sediamo su una panchina a guardare il tramonto e la Alhambra si staglia in cima al colle di fronte a noi. E pensare che siamo partiti proprio da quelle mura fino ad arrivare in cima alla collina dalla parte opposta; ne abbiamo fatta di strada insieme e siamo diventati amici. Per questo non ce la faccio più a trattenermi: “Ragazzi, comunque, il cappuccino si beve solo la mattina inzuppando il cornetto. Fate cadere a neve metà della bustina di zucchero sulla schiuma così diventa dolce e l’altra metà tutta in un punto così sprofonda nel caffè e, mi raccomando, non mescolate fino a quando non avete mangiato tutta la schiuma altrimenti la perdete. Non fate gli inglesi”. Ridiamo come dei matti, ci salutiamo invitandoci a cena nelle rispettive città e, da allora, io non vedo l’ora di provare la cucina pakistana di Zinat.

Poi ci penso e mi chiedo come sia possibile che stia sognando dei piatti pakistani preparati da ragazzi scozzesi e, improvvisamente, mi rendo conto della straordinaria fluidità delle origini e delle tradizioni che ci portiamo dietro. Non avrei potuto classificare Zinat e Abdul in alcun modo se non sminuendoli. Scozzesi, pakistani, inglesi, forse un po’ italiani nelle tradizioni, musulmani? Erano tutto ma anche qualcosa di più perché, come esseri umani, non possiamo ridurci a una somma algebrica, siamo un’integrazione unica tra le parti che ci compongono.

— Leggi anche: Il fotografo di Damasco che affronta il dramma della guerra col sorriso (seconda puntata)

— Leggi anche: Il ragazzo scappato da Aleppo perché non vuole più uccidere (prima puntata) 
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