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Le alleanze dell’Isis nel nord Africa

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Un'analisi delle connessioni tra i vari gruppi terroristici di matrice islamica attivi nel continente africano

Lo scorso dicembre l’Isis ha annunciato il suo obiettivo: quello di creare un califfato in Africa che unisca i paesi del nord Africa, dell’Africa Occidentale, del Magreb e del Corno d’Africa in un unico Stato islamico.

Il Califfato d’Africa si dovrebbe successivamente unire a quello del Levante in un unico impero islamico che arriverebbe a porre sotto il suo dominio anche parte dell’Europa: Spagna, Portogallo e Sicilia, le terre conquistate dai musulmani nel medioevo.

La promessa di realizzare un califfato in Africa sembra essere stata mantenuta dall’Isis.

Approfittando degli errori commessi da Stati Uniti e Nato, l’Isis ha attaccato l’anello africano più debole: la Libia, divenendo in poche settimane una tra le forze politico-militari più importanti del Paese.

Per conquistare la Libia, il califfo Abu Bakr al-Baghdadi, leader dell’Isis, si è appoggiato al Islamic Youth Shura Council, un gruppo estremista che controlla la città di Derna, nell’est del Paese.

Lo Stato Islamico è attivo anche in Egitto e Algeria. Secondo indagini della intelligence americana, al-Baghdadi avrebbe allacciato stretti rapporti con il gruppo terroristico egiziano Ansar Beit al-Maqdis che opera nel Sinai, conosciuto anche con il nome di Ansar Jerusalem (i sostenitori di Gerusalemme). Trattasi di un gruppo terroristico di matrice sunnita emerso nel 2011 e rafforzatosi dopo la caduta del presidente Mohamed Morsi. Ansar Beit al-Maqdis recluta beduini, egiziani e mercenari stranieri. Il gruppo è autore di clamorosi attentati come l’attacco ai soldati israeliani lungo il confine nel settembre 2012, l’assassinio nel novembre 2013 di un alto ufficiale dei servizi segreti egiziani, Mohamed Mabrouk, testimone dell’accusa durante il processo contro l’ex presidente Morsi, e l’attentato fallito al Ministro degli Interni Mohamed Ibrahim Moustafa.

L’alleanza con l’Isis è stata siglata il 10 novembre 2014. L’obiettivo è di rendere totalmente ingovernabile la strategica regione del Sinai e impedire l’esportazione di gas e petrolio in Israele.

In Algeria, l’Isis si è alleato con i militanti del Jund al-Khilafah (conosciuti anche come i soldati del califfato). Questo gruppo si è formato durante la guerra civile algerina degli anni novanta per iniziativa di Abdelmalek Gouri, l’ex braccio destro di Abdelmalek Droukdel, leader del Al-Qaeda Islamic Maghreb. È responsabile dell’attacco suicida al quartiere generale delle Nazioni Unite ad Algeri nel 2007, e dell’attacco presso la località di Iboudrarene nell’aprile 2014, dove trovarono la morte undici soldati algerini.

Secondo la strategia originale ideata nel 2013 dal leader dell’Isis Abu Bakr al-Baghdadi, Libia, Egitto e Algeria dovevano essere le prime nazioni a cadere sotto il controllo del califfato d’Africa. Secondo fonti non ufficiali della intelligence ugandese (particolarmente attiva nel continente nella lotta contro il terrorismo), l’Isis avrebbe dirottato parte delle armi ricevute dalla Turchia per combattere il regime di Assad in Siria, verso i suoi alleati del nord Africa.

I gruppi terroristici affiliati all’Isis in Egitto e Algeria, sono al momento impossibilitati a divenire una vera minaccia nazionale grazie al massiccio uso della forza degli eserciti egiziano e algerino che hanno limitato notevolmente la possibilità di sferrare attacchi dei terroristi, secondo quanto riportato da Seth Jones, esperto in antiterrorismo e analista per la Rand Corp, un’organizzazione americana con sede a Washington che offre analisi politiche e militari e monitora le attività terroristiche nel mondo. La Rand Corp si avvale di 1.700 esperti compresi ex agenti segreti ed è stata fondata immediatamente dopo la Seconda Guerra Mondiale, nel maggio 1948, con l’obiettivo di coordinare le ricerche militari americane ed europee prima contro il pericolo comunista e ora contro il terrorismo internazionale.

Solo l’Islamic Youth Shura Council libico sembra al momento ottenere discreti successi. Contatti sono stati tentati anche con il gruppo terroristico somalo Al-Shabab, un gruppo estremista che si è sviluppato nel 2007 a seguito dell’invasione dell’Etiopia, sostenuta da Gran Bretagna e Stati Uniti, che mise fine al governo dell’Unione delle Corti Islamiche, ristabilendo l’autorità del Governo Federale di Transizione. L’alleanza con i terroristi somali non ha una grande importanza strategica.

Al-Shabab ha perso la maggioranza dei territori da essa controllati ed è fronteggiata dalle truppe africane della AMISON (Missione dell’Unione Africana in Somalia), che la stanno combattendo dal 2007. L’AMISON è sotto comando ugandese in stretta collaborazione con l’esercito etiope. Le capacità offensive di Al-Shabab sono fortemente diminuite dal 2013. Gli unici successi riportati sono stati i diversi attentati terroristici in Kenya, l’anello debole della coalizione militare africana in Somalia. Al-Shabab non ha più la capacità militare di rappresentare un vero pericolo per la regione, secondo esperti di antiterrorismo ugandesi.

I limiti rappresentati dagli alleati africani avrebbero costretto l’Isis a cambiare tattica per la realizzazione del Califfato d’Africa. Attualmente le forze terroristiche internazionali starebbero tentando di rafforzare la loro posizione in Libia, creare il caos generalizzato in Sudan con l’obiettivo di prendere il potere e creare un’alleanza con il principale gruppo terroristico africano: Boko Haram.

In Sudan, l’Isis si sta appoggiando al movimento estremistico Minawi, guidato da Suliman Arcua Minnawi, leader del più grande gruppo guerrigliero del Darfur e segretario del Sudan Liberation Army. Il gruppo ribelle firmò un accordo di pace con il governo di Khartoum nel maggio 2006, accordo rotto nel luglio dello stesso anno con l’attacco alla guarnigione dell’esercito regolare presso la cittadina di Korma, Darfur del nord. Nel dicembre 2010 il Minawi Movement si ritirò da ogni trattativa di pace giurando di abbattere il regime del presidente Omar al-Beschir, considerato troppo moderato. Secondo le informazioni ricevute dai media sudanesi il Minawi Movement sta offrendo combattenti all’Isis in Libia.

I guerriglieri sudanesi giungerebbero nel paese nord africano attraverso il Ciad godendo di una protezione da parte delle forze di sicurezza ciadiane in quanto il leader, Minnawi, appartiene al gruppo etnico non arabo del Sahara, i Zaghawa, la stessa etnia del presidente ciadiano Idris Itno Debi.

Le autorità ciadiane, attualmente impegnate contro Boko Haram in Nigeria, smentiscono le accuse di convivenza con il gruppo terroristico sudanese. Due alti comandanti del movimento sarebbero militarmente operativi in Libia nelle città di Zuwayla e Sabha. Trattasi del Comandante Mohammad Merenaga e del Colonnello Amir Joka.

I guerriglieri di Minawi affiancano i reparti formati da ex soldati del regime di Gheddafi che hanno recentemente giurato fedeltà all’Isis. Il gruppo sta ricevendo armi, munizioni e veicoli, spesso di fabbricazione americana, al fine di combattere efficacemente in Libia e successivamente attaccare il Sudan. L’Isis gli ha promesso di sostenere il loro obiettivo di rovesciare il governo di Khartoum.

Secondo informazioni riservate si stanno registrando movimenti di guerriglieri del Minnawi, di terroristi libici e mercenari jihadisti internazionali nel Darfur. Notizia categoricamente smentita dal portavoce dell’esercito sudanese il Colonnello Al-Swarmi Khalid Saad.

“Le forze armate del Sudan hanno il completo controllo della situazione in Darfur. Stiamo monitorando attentamente la situazione regionale. Le notizie di infiltrazioni terroristiche in Sudan sono completamente false,” ha dichiarato il Colonnello alla Sudan News Agency.

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