Covid-19, l’allarme dell’anestesista di Welby: “C’è una forte carenza di personale”
Mario Riccio, primario di rianimazione a Casalmaggiore, in provincia di Cremona, spiega: "Già in condizioni normali mancano 4.000 anestesisti. La seconda ondata di Coronavirus costringe a sospendere le attività non urgente e coinvolgere i privati"
La seconda ondata di Covid-19 sta preoccupando non solo per l’aumento nel numero assoluto di persone contagiate, ma anche per la forte pressione che la condizione di un numero sempre crescente di malati gravi sta mettendo sulle terapie intensive. Negli scorsi giorni il Presidente nazionale degli anestesisti rianimatori, Alessandro Vergallo, ha manifestato la propria preoccupazione: sebbene il tasso di saturazione sia ancora lontano dai livelli drammatici dello scorso marzo (allora era il 52%, oggi il 9,3%), bisogna essere estremamente attenti alla crescita della curva, che ha visto gli accessi in rianimazione crescere di più del doppio nell’arco di una settimana: da 200 a 450.
Mario Riccio, primario di rianimazione a Casalmaggiore, in provincia di Cremona, commenta tali dati fornendo un quadro ancora più allarmante rispetto allo specifico locale: “L’allarme dei posti letto è reale ma nasconde un’altra emergenza che ritengo maggiore, relativa alla crisi di personale. Se letti e respiratori si possono acquistare il personale non si può creare, e tale mancanza è risultata fondamentale nella difficile gestione della prima ondata. Il rapporto ottimale paziente anestesista è di 1 a 4, quello paziente infermiere di 1 a 2. Già in condizioni di attività normali in Italia, secondo i dati Siaarti mancano all’appello 4000 anestesisti. In vista della seconda ondata occorre innanzitutto sospendere in alcune aree tutte quelle attività non urgenti e coinvolgere nel settore pubblico anche il personale delle strutture convenzionate minori (come le piccole case di cura), spostandolo nei reparti Covid-19, cose non avvenute in primavera quando il sistema è andato al collasso”.
Riccio, che è anche consigliere dell’associazione Luca Coscioni (e nel 2006 assistette Piergiorgio Welby, malato di SLA, nella sua fine), già nei mesi più difficili della pandemia aveva evidenziato le carenze strutturali del sistema sanitario, garantendo però che nessun paziente sarebbe stato abbandonato. Anche chi non è riuscito a entrare in terapia intensiva è stato perlomeno intubato, in un approccio veramente “di trincea” all’emergenza sanitaria. Il suo allarme, oggi, suona quindi ancora più preoccupante, alla luce dei duri ostacoli già superati in passato.