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Migranti: il tribunale di Roma non convalida il trattenimento dei 12 richiedenti asilo trasferiti in Albania

Immagine di copertina
Migranti appena trasferiti in Albania assieme ai mediatori del Cpr di Gjader. Credit: Alessandro Serrano' / AGF

I 12 migranti trasferiti nel Cpr di Gjader a bordo della nave Libra della Marina militare dovranno tornare in Italia

La sezione immigrazione del tribunale di Roma non ha convalidato il trattenimento dei 12 migranti trasferiti all’interno del Centro italiano di permanenza per il rimpatrio di Gjader, in Albania.

La decisione dei giudici invalida i provvedimenti disposti il 17 ottobre dalla questura di Roma nei confronti di 12 cittadini stranieri, arrivati in Albania a bordo della nave Libra della Marina militare italiana. I magistrati hanno anche disposto, a quanto si apprende, il ritorno in Italia dei migranti attualmente trattenuti presso il Cpr di Gjader.

Altri quattro, arrivati insieme a queste 12 persone a bordo della nave Libra, erano già tornati a Brindisi con il pattugliatore della Marina: si tratta di due minori e di due soggetti considerati vulnerabili non risultati idonei ai controlli all’hotspot di Schengjin. A Gjader infatti possono essere trasferiti solo maschi adulti non vulnerabili e provenienti da Paesi considerati sicuri.

Immediata la reazione dei legali di alcuni richiedenti asilo: “Il Tribunale di Roma non ha convalidato il trattenimento del nostro assistito, un cittadino bengalese richiedente protezione internazionale, ritenendo di disapplicare la qualifica di Paese terzo di origine sicura sulla base della sentenza della Corte di Giustizia Ue dello scorso 4 ottobre”, ha scritto in una nota gli avvocati Silvia Calderoni, Paolo Iafrate e Arturo Salerni. “Poiché il Bangladesh non può essere, alla luce di tale giurisprudenza considerato automaticamente un Paese sicuro, il trattenimento è privo di titolo”.

La sentenza europea
La sentenza citata dagli avvocati (e dai giudici di Roma) è la n. C-406/22 del 4 ottobre 2024, con cui la Corte di Giustizia dell’Unione europea, in un caso riguardante un richiedente asilo moldavo giunto in Repubblica Ceca, ha chiarito l’intepretazione dell’articolo 37 della direttiva europea 2013/32 che regola il riconoscimento e la revoca dello status di protezione
internazionale ai richiedenti asilo.

I magistrati comunitari hanno precisato che la designazione di uno Stato terzo come Paese di origine sicuro deve estendersi a tutto il suo territorio e non solo a una parte. Qui sta il problema: lo scorso 7 maggio, un decreto interministeriale del governo Meloni aveva inserito nell’elenco dei Paesi “sicuri” anche Stati che, come ammesso dalla stessa Farnesina, non lo sono per determinate categorie di persone (magari discriminate per orientamento sessuale, religione, etnia, pensiero politico, etc.) o in certe zone (perché ad esempio investite da conflitti).

Insomma, per la Corte Ue non possono esistere Stati sicuri solo parzialmente: o un Paese è sicuro per tutti e in tutto il suo territorio o non lo è. Ma in quest’ultimo caso non è possibile rimpatriarvi i richiedenti asilo. Non importa se dall’Italia o dall’Albania.

“Il giudice nazionale che esamina la legittimità di una decisione amministrativa con cui si nega la concessione della protezione internazionale deve rilevare la violazione delle norme del diritto dell’Unione relative alla designazione di un paese terzo come paese di origine sicuro”, avevano scritto i giudici di Lussemburgo. Proprio a questo si sono rifatti i magistrati romani.

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