Le arance italiane sono spremute di sangue. Come dimostrano i morti di San Ferdinando
Il commento di Giulio Cavalli
Se volete vedere che forma ha un fallimento di Stato e un’immigrazione regolare come piace a Salvini eppure senza alcuna dignità e completamente asservita al soldo italiano allora potete farvi un giro nel ghetto di San Ferdinando, come in molti altri ghetti, dove la tendopoli stamattina puzza di un fastidioso bruciato. Ma non preoccupatevi. E già successo. Presumibilmente succederà ancora.
E se sentite qualcosa di diverso dall’odore di plastica bruciata e teloni che sono diventati cenere, qualcosa di più simile a un pollo troppo cotto, allora sappiate che sono i resti di Moussa Ba, senegalese, 25 anni, ovviamente bracciante agricolo sottopagato nella piana di Gioia Tauro, sciolto mentre tutti gli altri scappavano, non lontano dalle ceneri di Becky Moses che proprio lì moriva nel gennaio del 2018, nemmeno troppo lontano da dove hanno sparato a Soumayla Sacko, ucciso a colpi di fucile e dove tre anni fa morì Sekine Traorè, 26, anni colpito a fuoco da un carabiniere.
Fa schifo leggerli tutti in fila, vero? Per questo oggi ve ne racconteranno solo una parte, con la solita mestizia sempre pronta dei nostri telegiornali nazionali e di qualche speciale con nessun esperto di fatti e di numeri ma con i massimi interpreti del pietismo.
E un posto bastardo il ghetto di San Ferdinando: si muore o di freddo o per fuoco. Non esistono mezze misure. Come all’inferno. Per combattere il freddo in una tendopoli che è una vergogna per la dignità umana (da mesi si parla di soluzioni che tardano ad arrivare e che, guarda un po’, il Decreto Sicurezza rende ora anche più difficili) si accendono falò arrangiati, bracieri che non hanno nulla di sicuro, cartoni che non sono più buoni per diventare pareti o case e allora basta che una scintilla svirgoli per un colpo di vento e alla fine si muore così.
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Dicono le cronache che alcuni hanno provato a domare l’incendio in attesa che arrivassero i vigili con alcuni strumenti di fortuna (lì ci sono solo strumenti di fortuna, anche le vite sono solo vite di fortuna) ma il corpo di Diallo è stato ritrovato bruciato nella baracca in cui abitava.
“Sgombereremo la baraccopoli di San Ferdinando. L’avevamo promesso e lo faremo, illegalità e degrado provocano tragedie come quella di poche ore fa. Per gli extracomunitari di San Ferdinando con protezione internazionale, avevamo messo a disposizione 133 posti nei progetti Sprar. Hanno aderito solo in otto (otto!), tutti del Mali. E anche gli altri immigrati, che pure potevano accedere ai Cara o ai Cas, hanno preferito rimanere nella baraccopoli. Basta abusi e illegalità”.
Lo ha detto stamattina il ministro dell’inferno Salvini, che appena vede nero, soprattutto morto, non aspetta nemmeno un secondo per rilasciare una dichiarazione. Eppure il fallimento è tutto suo e di quel modello di accoglienza che vorrebbe fare sparire persone che (illegalmente) sostengono interi settori produttivi italiani.
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A Bergamo circola una battuta (ma nemmeno troppo): “Se ci tolgono di colpo gli stranieri, domani le nostre imprese edili non riescono nemmeno a tirare su una cuccia per un cane”.
L’esagerazione comunque funziona perfettamente anche per tutti quelli che insistono nel dirci che dovremmo rifiutarci di mangiare pomodori e arance che non siano italiane e fingono di non sapere che le spremute dei nostri italianissimi prodotti sono sangue.
iIl gioco del giorno, vedrete, sarà ancora una volta tenere lontani quelli dai nostri prodotti, dalla nostra Italia che produce eccellenze come se non c’entrassero per niente. E per resistere bisognerebbe almeno non cascarci. Almeno per tenere alta la memoria di Moussa.