Da cosa fuggono i migranti che arrivano in Italia
La guerra è solo uno dei fattori che spinge migliaia di persone a rischiare la vita attraversando il deserto e il Mediterraneo
“Non è vero che scappano dalla guerra: sono solo migranti economici che non hanno diritto all’accoglienza”. Questo è uno dei commenti più diffusi in un momento storico in cui razzismo e insofferenza verso gli stranieri continuano ad aumentare, ammesso che siano mai diminuiti.
Forse, più semplicemente fino a qualche anno fa ci si vergognava di ammettere pubblicamente di essere razzisti, o anche solo di fare qualche commento xenofobo. Oggi questo sentimento di abbrutimento nei confronti di chi arriva da fuori, sembra essere sdoganato, in una triste e svilente guerra tra poveri.
“Aiutiamoli a casa loro”, dice qualcuno, e anche più di qualcuno. Ma cosa c’è a casa loro? Da cosa o da chi scappa chi cerca rifugio in Italia e in Europa?
Abbiamo fatto un po’ di chiarezza, analizzando la situazione politica ed economica dei paesi da cui arriva la maggioranza dei migranti giunti via mare nei porti italiani nel 2017. I dati utilizzati sono quelli del ministero dell’Interno.
Nigeria
È il paese più popoloso del continente africano. Le tensioni etniche e religiose, in una nazione divisa a metà tra cristiani e musulmani, sono alte.
Secondo Human Rights Watch, negli ultimi anni migliaia di persone sono morte negli attacchi del gruppo jihadista sunnita Boko Haram, che vuole imporre la legge islamica in diversi stati settentrionali, causando la fuga di migliaia di cristiani.
L’insurrezione di Boko Haram dura ormai da sette anni, in cui i miliziani hanno fatto uso di attacchi suicidi in luoghi affollati, come i mercati e le moschee, usando soprattutto donne e bambine per aggirare i controlli di sicurezza.
L’esercito nigeriano è riuscito a recuperare la maggior parte delle aree controllate dall’organizzazione terrorista e a salvare migliaia di residenti. Tuttavia non ha sconfitto definitivamente l’insurrezione jihadista.
In tutto, sono ancora due milioni e mezzo gli sfollati interni che non godono della tutela dei più basilari diritti umani. Mentre 14,8 milioni di persone hanno subito la presenza del gruppo terroristico, come rivela Amnesty international.
La Nigeria, ex colonia britannica diventata indipendente nel 1960, è uno dei maggiori produttori di petrolio al mondo, ma pochissimi nigeriani vi hanno beneficiato – inclusi quelli che vivono nelle aree che estraggono il greggio, come il delta del Niger.
Qui, inoltre, l’omosessualità è condannata con la pena di morte per lapidazione.
Come se non bastasse Boko Haram, si aggiungono gli abusi, gli arresti e le detenzioni arbitrarie, la tortura, la scomparsa forzata e i sequestri extragiudiziali da parte delle forze di sicurezza.
Reporter senza frontiere classifica la Nigeria al 122esimo posto su 180 paesi nel suo World Press Freedom Index, l’indice della libertà di stampa nel mondo.
Guinea
La ricchezza mineraria della Guinea lo rende potenzialmente uno dei paesi più ricchi d’Africa, ma i suoi abitanti sono tra i più poveri della parte occidentale del continente.
In passato la Guinea – diventata indipendente dalla Francia nel 1958 – era lo snodo nevralgico della tratta degli schiavi diretti in America.
Oggi il paese fa parte della lista delle Nazioni Unite dei paesi meno sviluppati, e ha uno degli Indici di Sviluppo Umano più bassi del mondo – il181esimo posto su 187 –, con un valore inferiore allo 0,4. Questo indicatore tiene conto dei diversi tassi di aspettativa di vita, istruzione e reddito nazionale lordo pro-capite.
L’arrivo di centinaia di migliaia di rifugiati provenienti dalla Liberia e dalla confinante Sierra Leone hanno colpito l’economia già in difficoltà della Guinea. Nel paese non mancano gli scontri su base etnica e le tensioni con le nazioni vicine.
Si tratta di un paese fragile e insicuro a causa della criminalità e della disoccupazione. Qui diritti essenziali come quelli economici, sanitari e all’istruzione sono poco tutelati. Torture e maltrattamenti delle forze dell’ordine sono frequenti, come mostra il rapporto 2016-2017 di Amnesty International.
I crimini e le violenze nei confronti delle donne sono alti. Il governo guineano ha recentemente lanciato una campagna per combattere le mutilazioni genitali femminili: circa il 97 per cento delle donne tra i 15 e i 59 anni hanno subito questa pratica nonostante sia vietata dalla legge.
Reporter senza frontiere classifica la Guinea al 101esimo posto su 180 paesi nel World Press Freedom Index.
Bangladesh
Il Bangladesh è uno dei paesi più densamente popolati del mondo. Il paese è estremamente povero e giovane, essendo nato nel 1971, dopo la divisione del Pakistan, esito di una sanguinosa guerra.
L’estremismo islamista è sempre più diffuso.Nel 2016, il Bangladesh ha assistito a una serie di attacchi violenti nei confronti di blogger, accademici, attivisti per i diritti gay, stranieri e membri delle minoranze religiose. In seguito a questi episodi, le forze di sicurezza hanno arrestato oltre 15mila persone – soprattutto giovani – per reprimere la propaganda jihadista.
Le forze di sicurezza bangladesi hanno una lunga storia di arresti arbitrari, di sparizioni forzate e di uccisioni extragiudiziali. I lavoratori vivono in condizioni precarie, e nonostante gli sforzi legislativi, continuano a godere di scarse tutele.
Nel 2016 sono state proposte diverse leggi per aumentare le restrizioni alla libertà di espressione. Il paese si trova al 146esimo posto nella classifica World Press Freedom Index di Reporter.
Uno dei problemi sociali più diffusi sono i matrimoni precoci. Circa il 18 per cento delle ragazze si sposano prima di aver compiuto 15 anni: è il tasso più alto del continente asiatico, tra i più alti al mondo.
Nel 2014 il governo si era impegnato ad abolire questa pratica entro il 2021. Nel 2016 i media hanno riferito almeno 671 casi di stupro, ma secondo Amnesty International – che cita attivisti per i diritti umani – sarebbero in realtà molti di più.
Milioni di bangladesi lavorano all’estero, inviando in patria rimesse di denaro pari a miliardi di dollari. Solo nel 2016, quasi 100mila donne sono emigrate all’estero, soprattutto nei paesi del Golfo.
Costa d’Avorio
Per alcuni decenni dopo l’indipendenza dalla Francia del 1960, la Costa d’Avorio ha vissuto un lungo periodo di pace, stabilità e prosperità economica. Dal 2002 però una ribellione armata ha spaccato il paese in due, generando una perenne instabilità.
La Costa d’Avorio è il più grande esportatore mondiale di fave di cacao e i suoi cittadini godono di un livello di reddito più alto rispetto ad altri paesi della regione. Tuttavia, anche in questa nazione la tutela dei diritti umani è scarsa.
I residenti delle foreste protette della Costa d’Avorio vivono nella costante paura di sgomberi arbitrari, estorsioni e abusi da parte delle autorità di tutela delle foreste. Le manifestazioni di protesta delle opposizione sono costantemente represse dalle forze di sicurezza.
In seguito alla campagna elettorale delle elezioni del 2010, ci furono oltre tremila morti nelle violenze politiche tra i sostenitori dell’ex presidente Gbagbo e il leader dell’opposizione e attuale presidente Ouattara.
Nel gennaio del 2016, il Tribunale penale internazionale ha avviato un processo proprio nei confronti dell’ex presidente Gbagbo e dell’ex ministro della gioventù Charles Blé Goudé, per crimini contro l’umanità commessi durante la crisi del 2010 e del 2011. Il paese si trova all’81esimo posto nella classifica World Press Freedom Index di Reporter senza frontiere.
Mali
Il Mali è uno dei più grandi paesi del continente africano. Dopo l’indipendenza dalla Francia nel 1960, ha attraversato ribellioni, periodi di siccità, colpi di stato e 23 anni di dittatura militare, fino alle elezioni democratiche del 1992.
Nel 2013, in seguito a un colpo di stato dei tuareg del Movimento nazionale di liberazione dell’Azawad e degli islamisti, è intervenuta una forza multinazionale a guida francese, su mandato delle Nazioni Unite, per ristabilire la sovranità del Mali sui territori sahariani settentrionali. Nonostante l’avvio delle trattative di pace, il conflitto nel paese è ancora attivo.
Nel frattempo, continuano le insurrezione jihadiste nelle regioni settentrionali e centrali, con attacchi da parte dei militanti legati al-Qaeda. Queste tensioni persistenti hanno causato decine di morti e sono sfruttate dai gruppi armati – anche quelli legati al governo – per raccogliere sostegno e reclute, come i bambini soldato.
Le forze governative hanno risposto agli attacchi dei gruppi armati islamici con operazioni che spesso hanno portato ad arresti, esecuzioni, torture e maltrattamenti arbitrari.
Eritrea
L’Eritrea ha ottenuto l’indipendenza dall’Etiopia nel 1993, dopo una guerra durata 30 anni. Ma le tensioni tra i due paesi restano alte. La minaccia di un ritorno in guerra è usata dal governo per giustificare il regime oppressivo.
Nonostante la costituzione preveda il multipartitismo, nel paese è presente un unico partito, quello del presidente Isaias Afewerki, al potere da oltre 25 anni.
I periodi di conflitto prolungati e la grave siccità hanno influenzato negativamente l’economia – una delle più povere del continente – basata principalmente sull’agricoltura.
Le Nazioni Unite hanno accusato il governo di crimini contro l’umanità. Secondo le sue stime, centinaia di migliaia di eritrei sono fuggiti dal paese negli ultimi anni, intraprendendo un pericoloso viaggio attraverso il Sahara e il Mediterraneo, fino all’Europa.
Per legge, ogni eritreo è costretto alla leva obbligatoria di 18 mesi, ma in pratica il periodo di servizio militare è indefinito, durando spesso più di un decennio. È questo uno dei motivi che spinge la popolazione a scappare. Le condizioni del servizio militare sono considerate al pari della schiavitù e i soldati sono spesso costretti ai lavori forzati, oltre che ad abusi fisici e torture.
Migliaia di cittadini – in particolare attivisti, dissidenti e giornalisti – sono incarcerati senza un giusto processo. Reporter senza frontiere classifica l’Eritrea al 179esimo posto su 180 paesi nel suo World Press Freedom Index, definendo il presidente Afewerki un “predatore della libertà di stampa”.
Gambia
Il Gambia è uno dei paesi più piccoli dell’Africa. Il suo presidente Yahya Jammeh ha governato con la forza dopo aver preso il potere nel colpo di stato del 1994.
Il suo potere è durato 22 anni, concludendosi nel 2016, quando è stato sconfitto alle elezioni dal candidato dell’opposizione Adama Barrow. Jammeh ha accettato di lasciare il suo incarico e di ammettere la sconfitta elettorale solo dopo la mediazione dei paesi limitrofi e la minaccia di un intervento armato.
I servizi di sicurezza sono soliti arrestare, detenere e intimidire arbitrariamente i leader religiosi, i sindacalisti, i giornalisti e gli oppositori politici. Anche nelle carceri i diritti umani non godono di adeguate tutele.
Il Gambia ha tassi molto elevati di mutilazione genitale femminile, nonostante la pratica sia vietata dal 2015. Anche i matrimoni tra minori sono stati vietati e sono state imposte sanzioni ai genitori dei ragazzi che si sposano prima dei 18 anni.
Il turismo nelle località costiere è un’importante fonte di introiti, così come i soldi inviati a casa dai gambiani che vivono all’estero.
Il governo continua a resistere alle richieste di abrogare leggi che criminalizzano l’omosessualità, inclusa una norma del 2014 che ha introdotto una serie di reati come l’omosessualità aggravata, con pene detentive fino all’ergastolo. Come mostra l’Unhcr, i cittadini gambiani gay, lesbiche, bisessuali e transgender sono esposti al rischio di arresti e detenzione arbitrarie.
Senegal
Dal 2014 a oggi, dalla fine di un sanguinoso conflitto separatista nel sud del paese, la situazione politica ed economica in Senegal è migliorata.
Il denaro inviato dai senegalesi che vivono all’estero è una fonte importante di reddito per chi è rimasto nel paese. Qui le autorità continuano a limitare alcuni diritti dei cittadini come quello di riunione e di espressione, vietando manifestazioni e assembramenti.
In Senegal, dove le persone possono essere arrestate solo per il loro orientamento sessuale, le prigioni sono sovraffollate.
Sudan
Dopo la guerra finita nel 2011, il Sudan si è diviso in due: tra Sudan, a maggioranza musulmana, e Sud Sudan, cristiano e animista. Quel conflitto provocò quasi due milioni di morti, secondo i dati dell’Onu.
In questo paese, i diritti umani sono continuamente calpestati, con attacchi delle forze governative, che reprimono la società civile e i media indipendenti. Secondo i report internazionali, non è raro che le forze di sicurezza del paese usino violenza sessuale, intimidazioni e altre forme di abusi per tenere sotto controllo la popolazione.
A gennaio e febbraio 2016, i militari del Sudan hanno lanciato nuovi attacchi aerei e terrestri contro villaggi del Darfur centrale. Le forze governative hanno ucciso civili, hanno violentato le donne e le ragazze e hanno distrutto centinaia di villaggi.
A settembre 2016, le Nazioni Unite hanno riferito che la violenza aveva costretto alla fuga almeno 190mila persone. Il conflitto in Darfur continua dal 2003. Amnesty International ha detto che il governo ha usato armi chimiche contro i civili.
Le autorità governative hanno continuato a ostacolare la missione di pace dell’Unione africana e delle Nazioni Unite, minando la capacità di proteggere i civili, tra i quali è numerosa la presenza dei bambini soldato.
Il referendum sullo status amministrativo del Darfur – che non è l’unica regione in conflitto – è stato inoltre boicottato. Anche nel Kordofan medirionale e nello stato del Nilo azzurro, forze governative e ribelli armati si scontrano sanguinosamente, nonostante il cessate il fuoco annunciato nel 2015.
Human Rights Watch ha denunciato i rimpatri effettuati dall’Italia verso il Sudan e la mancata protezione dei richiedenti asilo.
Marocco
Circa 5 milioni di marocchini vivono all’estero, di cui almeno 450mila in Italia. In Marocco, non godono di un grande rispetto dei diritti umani, in particolare le donne, discriminate in tanti ambiti della loro vita, anche davanti alla legge.
Le autorità soffocano il dissenso nel Sahara occidentale, territorio conteso tra il governo marocchino e il Fronte Polisario.
A chi scappa dall’Africa sub-saharian, è impedito con la forza l’ingresso nelle enclavi spagnole di Ceuta e Melilla, nel Marocco settentrionale. I campi improvvisati intorno alla città nordorientale di Nador sono stati ripetutamente distrutti.
In Marocco, i matrimoni tra persone dello stesso sesso sono puniti per legge e il paese si trova al 133esimo posto nella classifica World Press Freedom Index di Reporter senza frontiere.