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Home » Migranti

Audio esclusivo TPI – Parla uno scafista libico: “Vuoi arrivare in Italia? Ti ci porto io a Lampedusa, ecco come”

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Tariffe, rischi e altri dettagli: un trafficante spiega al telefono a un migrante come fare per salire a bordo di un barcone verso l'Italia

ESCLUSIVO • The Post Internazionale (TPI.it)  “Per il mio lavoro non aspetto loro, ogni tanto ci sono e ogni tanto non ci sono. Io non ho bisogno di loro, io metto la benzina e arrivano fino all’isola”. La voce che parla dall’altra parte del telefono è quella di un trafficante, di quelli che fanno partire barche e gommoni carichi di migranti dalla Libia. “Loro”, quelli di cui non ha bisogno, sono le Ong che pattugliano il Mediterraneo centrale, per salvare le persone che partono in condizioni inadatte alla navigazione. “Ogni tanto ci sono e ogni tanto no”, dice il trafficante.

Un migrante gli chiede informazioni sui viaggi a bordo dei barconi diretti in Europa: “Ho un fratello che sta a Zuara e vorrebbe partire per l’Italia”, spiega. E lo scafista risponde, fornendo tutti i dettagli. TPI è in possesso dell’audio con la conversazione tra i due.

L’isola di cui il trafficante parla come punto di approdo è Lampedusa. “Mille euro, la barca è da 9 metri e ci vanno 25 persone”: le condizioni che detta lo scafista sembrano ottime a sentirle, ma verosimilmente non corrispondono alla realtà. In 9 metri di barca riescono a farci entrare anche 100 persone e più.

“Su gommoni da 10 metri ci mettono anche 150 persone, dove al massimo dovrebbero andarcene 10. Ai trafficanti non gliene frega niente, a loro non interessa nulla, l’importante è prendere i soldi e mettere le persone in mare”, sottolinea a TPI Don Mussie Zerai, punto di riferimento per migliaia di migranti che attraversano l’Africa e candidato al Nobel per la Pace nel 2015.

>>>LEGGI ANCHE: ESCLUSIVA TPI – “Salvini ci chiese di spiare le ong per far aprire un’inchiesta”: parla la talpa della Lega

Analizzando i dati dei morti nel Mediterraneo, nel 2018 c’è stato un incremento notevole a fronte della diminuzione di sbarchi. Il Mediterraneo è un posto meno sicuro: più di una persona su 20 muore in mare, senza contare quelli di cui non sappiamo nulla, perché naufragati senza inviare nessun allarme. Nel 2017 moriva una persona ogni 50.

Secondo Carlotta Sami, portavoce dell’UNHCR per il Sud Europa, “si stima che 2.275 persone abbiano perso la vita nel Mediterraneo nel 2018, una media di sei morti al giorno”. Ma il problema non è solo in mare: “Le persone salvate in acque internazionali”, continua Sami, “non dovrebbero essere riportate in Libia in quanto il Paese, di fatto in guerra e in mano a bande, non costituisce un luogo di sbarco sicuro secondo i criteri definiti dal diritto internazionale”.

Le denunce di violenze e di condizioni inumane in Libia sono all’ordine del giorno e le stesse Nazioni Unite hanno denunciato le torture lo scorso dicembre con un report.

>>>LEGGI ANCHE: “Io, che decido sulle domande d’asilo dei migranti, vi dico che il decreto Salvini penalizza chi è più integrato”

“Qui la Guardia Costiera libica non arriva. Lavorano a Tripoli e a Zauia, ma non a Zuara”. È un altro elemento cruciale di quello che ci racconta lo scafista e che fa emergere la precarietà del potere di Fayez Al Serraj, presidente del Governo di Accordo nazionale di Tripoli con il quale il governo italiano ha stretti rapporti, ma che vede assottigliarsi il suo potere giorno dopo giorno.

L’attività dello scafista sembra essere fatta alla luce del sole, come un lavoro ordinario. In effetti, in una Libia governata le bande, è facile mettere su un business che sfrutta le persone che scappano dalla guerra.

Per rassicurare il suo interlocutore il trafficante lo invita a consultare la sua pagina Facebook: “Sulla mia pagina puoi vedere le persone che sono partite con me in modo sicuro”, dice.

E ancora: “Digli di non portare la valigia grande altrimenti gliela buttiamo. Da mangiare glielo diamo noi”. “Per il prossimo viaggio è tutto pronto, l’unico problema è il tempo, appena migliora partono”.

Il libro di Francesca Mannocchi “Io Khaled vendo uomini e sono innocente”, uscito poche settimane fa, spiega bene come in Libia questa sia una delle attività più redditizie. I migranti sono dei bancomat che camminano, da cui prelevare denaro ricorrendo alle torture.

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