La storia di Josefa, la donna sopravvissuta al naufragio al largo della Libia
Il naufragio è avvenuto a ottanta miglia dalle coste libiche. Delle decine di altre persone che viaggiavano con lei non c'è nessuna traccia
Si chiama Josefa, ha 40 anni e arriva dal Camerun. È lei l’unica sopravvissuta al naufragio avvenuto a ottanta miglia dalle coste libiche nella notte tra il 16 e il 17 luglio. “Sono scappata dal mio paese perché mio marito mi picchiava. Mi picchiava perché non potevo avere figli”, ha detto la donna alla giornalista di Internazionale Annalisa Camilli poche ore dopo esser stata salvata dalla Ong spagnola Proactiva Open Arms.
Dal Camerun Josefa era arrivata in Libia. Qui aveva aspettato prima di imbarcarsi sul gommone che l’avrebbe portata in l’Italia. L’imbarcazione su cui viaggiava insieme a decine di altre persone si è rovesciata, però, a ottanta miglia dalle coste libiche. Lei, Josefa, è stata l’unica a sopravvivere a quel naufragio. Gli altri corpi sono stati inghiottiti dal Mediterraneo.
Per ore la donna è rimasta aggrappata a una tavola di legno, sul fondo del gommone. Josefa ce l’ha fatta per miracolo. Quando i soccorritori della Open Arms l’hanno trovata, la temperatura del suo corpo, robusto e forte, stava scendendo rapidamente. La donna sarebbe morta di ipotermia in poco, se il 25enne Javier Filgueira non si fosse buttato in mare per raggiungerla.
“Quando le ho preso le spalle per girarla speravo con tutto il mio cuore che fosse ancora viva”, ha raccontato alla giornalista il soccorritore spagnolo. Per quarantotto lunghissime ore Josefa ha sfidato la morte: il freddo dell’acqua e il sole cocente. Finché alle 7.30 del mattino la Ong spagnola non l’ha salvata. Accanto a lei, i corpi senza vita di un’altra donna e di un bambino di appena cinque anni.
Gli occhi vitrei di Josefa mentre viene issata sul gommone hanno fatto il giro del mondo. Porta addosso i segni dello shock di un viaggio drammatico, Josefa. Dal racconto di Annalisa Camilli emerge la potenza del dramma che la donna ha vissuto in mare. “Non potevo avere figli”, continua a ripetere mentre si tocca la pancia.
“Siamo stati in mare due giorni e due notti”, ha raccontato Josefa. “Sono arrivati i poliziotti libici e hanno cominciato a picchiarci”, ha aggiunto. Non ricorda nulla del viaggio, ma di una cosa è certa: non vuole tornare in Libia. I volontari continuano a prendersi cura di lei e a rassicurarla: sabato prossimo la nave della Ong spagnola sbarcherà a Maiorca e, lontana dalla Libia, Josefa potrà ricominciare a vivere.