“Vi spiego perché il piano del governo per fermare le ong è contro la legge”
L'ex contrammiraglio della Guardia Costiera, Vittorio Alessandro, spiega a TPI perché un governo non può legiferare sui salvataggi in mare, chiudendo i propri mari alle navi delle ong
Il governo ha annunciato di voler “sigillare” le acque territoriali alle “sgradite” – come le ha definite il ministro dell’Interno, Matteo Salvini – “navi delle ong”.
L’obiettivo [come abbiamo spiegato qui] è quello di chiudere l’ingresso via mare alle imbarcazioni, come Sea Watch, considerate “non inoffensive” perché, secondo il leader della Lega e il ministro delle Infrastrutture, Danilo Toninelli, favorirebbero l’immigrazione clandestina.
Gli strumenti che si sta studiando di mettere in campo sono l’articolo 83 del codice della navigazione sul divieto di transito e sosta e gli articoli 17 e 19 del trattato di Montego Bay del 1982, ratificato dall’Italia nel 1994.
Secondo l’articolo 83 del codice della navigazione “il ministro dei trasporti e della navigazione può limitare o vietare il transito e la sosta di navi mercantili nel mare territoriale, per motivi di ordine pubblico, di sicurezza della navigazione e, di concerto con il Ministro dell’ambiente, per motivi di protezione dell’ambiente marino, determinando le zone alle quali il divieto si estende. Articolo così sostituito dall’art. 5, l. 7 marzo 2001, n. 51”.
Cosa dicono gli articoli 17 e 19 del trattato di Montego Bay
L’articolo 17 afferma che “le navi di tutti gli Stati, costieri o privi di litorale, godono del diritto di passaggio inoffensivo attraverso il mare territoriale”. La chiave è tutta nel concetto di “passaggio inoffensivo” che, secondo l’articolo 19, è così preconfigurato: “Fintanto che non arreca pregiudizio alla pace, al buon ordine e alla sicurezza dello Stato costiero”. E tra i dodici “punti” che possono arrecare “offesa” c’è il “carico o lo scarico di […] persone in violazione delle leggi e dei regolamenti […] di immigrazione vigenti nello Stato costiero”.
Come stanno le cose
Per capire se un decreto – di fatto – di pubblica sicurezza basato sugli articoli citati qui sopra possa realmente porre un “freno alle ong”, come ha dichiarato Salvini, abbiamo chiesto un parere e un’analisi della situazione a Vittorio Alessandro, contrammiraglio in pensione ed ex comandante dell’ufficio relazione esterne della Guardia Costiera.
La sua spiegazione è semplice e la possiamo racchiudere in questo esempio: un simile decreto avrebbe valore solo se il blocco avvenisse nei confronti di una nave “passeggeri” partita dal porto di Tripoli e diretta a quello di Catania.
“Ma qui parliamo di salvataggi in mare” e un decreto per imporre un blocco alle navi delle ong “è una novità assoluta ed eccentrica” spiega a TPI il contrammiraglio Alessandro. “Non vedo come possa stare in piedi una qualsiasi architettura di un decreto che punti a inficiare il soccorso in mare. Ci sono norme sovraordinate a quelle governative che non possono essere bypassate con una carta proveniente dal Ministero dei Trasporti e delle Infrastrutture”.
Il giudizio del contrammiraglio è grave: “Qui si sta parlando di un decreto di sicurezza pubblica come se su ogni nave delle ong ci fossero dei terroristi”. Per questo “anche solo immaginare di contravvenire le norme internazionali in materia di salvataggio di vite umane con simili misure è impensabile”.
Vittorio Alessandro pone poi l’accento sulla vera questione, che definisce “non politica ma ideologica”. Ed è questo “il vero problema”. Tutto è iniziato, dice, “con la battuta di Luigi Di Maio che definì le ong ‘taxi del mare’”. “In quel momento è cambiato tutto, si è data sponda a un’ideologia spaventosa, che vede 47 persone che hanno rischiato di morire in mare come un pericolo in termini di sicurezza nazionale”.
Il riferimento all’ultimo caso, quello di Sea Watch 3, è chiaro. “Ovviamente non appena sarà pubblicato questo decreto, lo analizzeremo, ma al momento la vera questione è la deriva che ha preso chi siede al governo. L’Italia è un paese che ha fatto del proprio codice etico in termini di vite da salvare una stella polare. Da secoli”, sottolinea il contrammiraglio.
Per questo, secondo l’ex contrammiraglio, “anche solo guadare alle norme è un’assurdità. L’unica regola in mare è il ‘provato rischio’. Se una persona sta morendo, si salva. Punto. Senza nemmeno guardare a cosa dice la legge”.
Su Facebook Vittorio Alessandro sceglie un tono più sarcastico: “Sarà molto interessante leggere il decreto annunciato da Toninelli per fermare nelle acque internazionali i volontari che abbiano salvato vite umane in mare” scrive.
E ancora: “Possiamo formulare alcune ipotesi sul suo contenuto. Potranno entrare in acque territoriali italiane soltanto: 1) se i naufraghi siano di pelle bianca; 2) se non superino il numero di tre (come i sopravvissuti portati giorni fa dalla Marina Militare a Lampedusa, e l’elicottero non ha dovuto restare in volo dieci giorni in attesa di un porto sicuro); 3) se c’è il consenso delle pregevoli milizie libiche”.
“Se invece i migranti fossero neri e, che so io, 117, tanto vale che finiscano in fondo al mare, dove saranno raggiunti da pianti e cordoglio. Quelli affogati giorni fa, per dire, ora stanno lì e certamente staranno discutendo tra loro su come il Mediterraneo non sia una tomba. Non lo è più per ordinanza delle Capitanerie di Porto”, conclude il post. Prima di tutto una questione “etica”, o meglio “umana”, quindi.
Ora possiamo arrivare alle “questioni normative”. Il vero “capolavoro” i tecnici del ministero di Toninelli dovranno farlo per “approntare un dispositivo che possa impedire l’accesso in acque italiane a una nave che ha effettuato un salvataggio in mare senza violare il diritto internazionale”, in primis “la convenzione di Amburgo” che “obbliga chiunque, e sottolineo ‘chiunque’ a salvare ogni persona, e ribadisco ‘ogni persona’, in pericolo in mare e trasportarla in un luogo sicuro”.
Il diritto internazionale del mare (Convenzione Sar sulla ricerca e il soccorso in mare ratificata dall’Italia nel 1989; Convenzione Solas sulla salvaguardia della vita umana in mare ratificata dall’Italia nel 1980 e la Convenzione delle Nazioni unite sul diritto del mare, ratificata nel 1994, tra le altre) prevede infatti che gli Stati e, quindi, “anche le autorità italiane”, abbiano “l’obbligo di adottare tutte le misure necessarie a che tutte le persone soccorse possano sbarcare” in un porto sicuro “nel più breve tempo possibile”.
E non certo “dopo giorni sul ‘confine’ ad attendere chissà cosa, facendo sembrare 47 persone un pericolo per la sicurezza nazionale”.