“Non è vero, il colonialismo francese in Africa non è causa dell’immigrazione come dice M5S”, parla l’esperto di storia africana
Intervista a Corrado Tornimbeni, professore associato di Storia e istituzioni dell'Africa all'Università di Bologna
Colonialismo francese in Africa | “Il retaggio coloniale c’è, e ha una sua responsabilità nel sottosviluppo, però questo riguarda tutte le ex potenze coloniali, non solo la Francia. E ormai, a così tanti anni dall’indipendenza degli Stati africani, gli interessi reciproci tra Africa e paesi europei hanno una lunga storia. La causa del fenomeno migratorio non può essere sciolta nel nesso con la presenza coloniale o meno in un determinato stato”.
Il professor Corrado Tornimbeni, professore associato di Storia e istituzioni dell’Africa all’Università di Bologna, interpellato da TPI.it interviene sull’argomento del “neocolonialismo francese”, su cui si sono espressi alcuni giorni fa diversi esponenti della maggioranza di governo, tra cui Di Maio, Di Battista e Salvini, che hanno usato questo argomento per attaccare il governo francese sul tema dell’immigrazione.
La risposta non è semplice. È evidente che si tratta di una presa di posizione politica, ai fini della polemica che c’è in questo momento tra il governo italiano e quello francese.
Naturalmente, però, queste prese di posizione attingono a elementi storici presenti, oggetto del dibattito scientifico ed accademico, che andrebbero presi come tali, nella loro complessità.
La Francia ha sempre fatto della sua presenza in Africa un pilastro delle sue ambizioni di potenza mondiale. La sua presenza in Africa è sempre stata molto forte e, ovviamente, non disinteressata.
Da qui a dire che c’è un legame diretto tra il governo francese e i governi africani francofoni, e tra la Francia e il sottosviluppo e l’immigrazione è molto ardito. Non si può formulare in questo modo.
Il colonialismo francese non ha provocato l’immigrazione. I movimenti migratori avvengono innanzitutto all’interno del continente africano, quello che giunge in Europa è solo la punta di un iceberg.
Storicamente non c’è nessun nesso tra un certo tipo di intervento piuttosto che un altro e i flussi migratori. Questi sono complessi e, anzi, molti vengono dal corno d’Africa, dove gli interessi francesi non hanno nulla a che fare.
Sì, l’Eritrea è stata la principale colonia italiana, quella dove il nostro paese ha inciso in modo maggiore. Ma non possiamo fare un nesso diretto tra colonialismo italiano e immigrazione eritrea.
Gli stati africani sono indipendenti da così tanto tempo che tracciare un nesso diretto tra colonialismo o neo-colonialismo e immigrazione vorrebbe dire semplificare troppo la questione.
Ci sono altre ragioni, che non sono solo legate a povertà, guerre eccetera, ma a molti altri motivi. I paesi africani francofoni, nella loro storia di stati indipendenti, sono stati tra quelli più stabili economicamente.
Ovviamente, proprio per questo legame speciale della Francia, l’immigrazione da questi paesi si è diretta in modo particolare verso la Francia, come la comunità eritrea spesso si è ritrovata in Italia per via dei legami storici.
Leggi anche: Igiaba Scego: “Di Maio parla di neocolonialismo francese ma l’Italia ha rimosso il suo passato in Africa”
Non sono un economista, però posso inquadrare la questione dal punto di vista storico.
È una moneta a cui si può aderire volontariamente, ma la volontarietà va misurata sempre sulla convenienza. Il franco CFA a sempre avuto e continua ad avere sostenitori e detrattori.
C’è chi ne elogia la funzione si stabilità economica, di promozione degli investimenti e degli scambi commerciali e chi ne sottolinea invece il ruolo di controllo e di limitazione della sovranità finanziaria e di partecipazione al mercato globale.
Il franco CFA nasce nel contesto post-seconda guerra mondiale. In quel contesto tutte le potenze coloniali predisposero un piano Marshall per l’Africa, con investimenti pubblici per lo sviluppo e la modernizzazione della colonia. Erano naturalmente riforme che andavano verso una maggiore autonomia, ma con cui si puntava a mantenere un controllo coloniale.
Lo hanno fatto il Regno Unito, la Francia e – in misura minore – il Portogallo. Non lo ha fatto l’Italia, uscita sconfitta dalla guerra, che perdeva le sue colonie.
I piani hanno funzionato, ma si sono poi ritorti contro le potenze europee, tant’è che si è arrivati all’indipendenza delle colonie africane alla fine anni Cinquanta-inizio anni Sessanta.
Un pilastro di questo sistema era proprio il franco CFA, che resterà in vigore anche dopo l’indipendenza e che garantisce un legame privilegiato tra le ex colonie francesi e la Francia. Ma dire che è la causa del sottosviluppo e dell’immigrazione è ardito se non proprio sbagliato.
Sono proprio due storie diverse. Il colonialismo italiano è molto limitato, quello francese è stato più esteso, più strutturato e ha una storia molto più lunga. Quando il colonialismo italiano è finito non è rimasto quasi nulla di quel legame.
C’era la Libia, un contesto nordafricano molto diverso dall’Africa subsahariana; l’Eritrea, che dopo la seconda guerra mondiale è diventata un mandato britannico e in seguito è stata annessa all’Etiopia; infine l’Etiopia, che non si può considerare una colonia italiana: è uno stato quasi sempre indipendente, per pochi anni occupato militarmente dall’Italia.
Nel Movimento Cinque Stelle c’è un noto economista politico, con un notevole curriculum, il professor Lorenzo Fioramonti, che è viceministro dell’Istruzione e insegna all’università di Pretoria, in Sudafrica.
Non so se lui si è espresso in proposito, sarebbe una persona molto titolata a farlo. O i suoi compagni di partito non lo hanno interpellato o anche lui ha avallato queste uscite, che sono più degli slogan funzionali allo scontro con la Francia che delle vere analisi.
Sono sicuro che lui ha una posizione molto critica in proposito, ma dire che il colonialismo o il franco CFA vuol dire immigrazione sarebbe un po’ tradire lo status accademico che lui ricopre.
C’è sempre stata una competizione sulla sponda sud del Mediterraneo tra Francia e Italia, negli anni Sessanta, Settanta e Ottanta. L’Italia, ad esempio, ha tentato di cercare interessi economici in aree dove a quel tempo erano più forti i francesi, come l’Algeria.
La Libia era una colonia italiana, che a un certo punto ha tagliato i propri legami con l’Italia e su questo si sono mossi i francesi. Gli eventi tumultuosi che hanno portato alla fine di Gheddafi certamente non sono esenti da legami con i diversi interessi che hanno visto Francia e Italia contrapporsi. Quindi sì, c’è una rivalità (prudente) tra Francia e Italia in suolo libico.
Fare un quadro storico delle migrazioni in pochi minuti è davvero difficile. Ma possiamo dire che la stragrande maggioranza delle migrazioni avvengono dentro il continente africano e fanno parte della sua storia.
Le popolazioni africane sono sempre state tra le più mobili che esistono, hanno fatto della mobilità un elemento fondante delle loro società.
Ci si sposta in cerca di opportunità oppure per sfuggire a condizioni avverse. Questi due fattori però non sono sempre distinguibili. Non è facile – e forse neanche necessario – distinguere chi scappa da povertà e fame e chi si muove come facciamo anche noi in Europa alla ricerca di opportunità.
Su questo si innescano anche tragitti di più ampio raggio, che travalicano il “grande mare di sabbia”, il deserto del Sahara, e poi, attraverso il Mediterraneo, giungono in Europa.
Non è sempre vero comunque che i migranti africani scappano dalla povertà. Migrare costa, è un investimento: è chi se lo può permettere che parte. Poi ci sono in alcuni momenti delle crisi, come quella eritrea, dove dal 1998 c’è la guerra, che hanno alimentato il flusso migratorio.