La lista nera di Salvini contro le toghe sgradite, Asgi: “Giudicate per le idee e non per il merito”
Ricorso magistrati pro migranti – “Sono state attaccate ingiustamente” Luciana Breggia, Matilde Betti e Rosaria Trizzino. Le tre magistrate criticate dal ministro dell’Interno Matteo Salvini perché, secondo il vicepremier, a causa delle loro opinioni personali non sarebbero state imparziali nell’avere emesso tre sentenze che riguardano zone rosse e residenza agli stranieri.
A commentare a TPI il presunto dossier del Viminale sulle toghe sgradite al leader del Carroccio è Chiara Favilli, professore associato di Diritto dell’Unione Europea presso il Dipartimento di Scienze giuridiche dell’Università degli Studi di Firenze e parte del comitato editoriale di Diritto, immigrazione e cittadinanza, la rivista della rete Asgi.
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Il nome dell’Associazione Studi Giuridici sull’Immigrazione appare in riferimento a Luciana Breggia, la giudice autrice della sentenza che ha obbligato il comune di Bologna a concedere la residenza a due richiedenti asilo non iscritti all’anagrafe a causa del decreto Salvini.
Per il dossier del Viminale, la magistrata “ha partecipato a troppi convegni sui migranti”: il riferimento, come riportato da Repubblica, è a un dibattito organizzato lo scorso 8 aprile dal sindacato degli avvocati di Firenze sul tema Migranti alla frontiera dei diritti, incontro in cui Breggia ha specificato la sua posizione sul tema immigrazione censurando la parola “clandestini”, termine definito anche dal tribunale di Milano denigratorio e discriminatorio. Inoltre, Breggia aveva partecipato alla presentazione del libro dell’avvocato Asgi Maurizio Miglio e, in quell’occasione, “era accanto alla portavoce di Mediterranea e al professor Emiliano Santoro, docente di Diritto degli stranieri a Firenze”.
Per Favilli “non c’è stata alcuna valutazione dei provvedimenti adottati perché le dichiarazioni del Viminale non entrano nel merito delle sentenze”. E questo vale per Breggia come per Betti, autrice della sentenza sulla residenza dei migranti, e Trizzino, che ha accolto il ricorso di un fiorentino sulle zone rosse istituite in città.
“I magistrati possono avere un loro orientamento”, specifica Favilli, “ma un’aperta manifestazione del pensiero non comporta una non credibilità del loro operato. Al contrario: testimonia un gesto di libertà del giudice che non ha timore di non essere più credibile in virtù delle sue opinioni”.
“Invito tutti a leggere le sentenze”, prosegue Favilli. “Non sono contro il decreto Salvini: sono norme che interpretano il Decreto sicurezza nel contesto dell’ordinamento esistente. Il Decreto sicurezza non abolisce la Costituzione, o le altre norme in vigore, e i magistrati effettuano uno sforzo interpretativo inserendo le norme in un contesto. E prevalente su tutti rimane sempre la Costituzione”. Come nel caso della sentenza del Tribunale di Firenze che ha formulato una “interpretazione costituzionalmente orientata della norma “ordinando l’iscrizione del richiedente asilo nel registro dell’anagrafe, garantendo il diritto alla residenza dei richiedenti la protezione internazionale, nel rispetto della legge.
Un’accusa che prende di mira le opinioni, e non il merito. Anche nel riferimento, contenuto nel dossier del Viminale, alla rivista Diritto, immigrazione e cittadinanza. Che è “una rivista accademica di giuristi, garantisce la pluralità dei punti di vista, segue il rigore scientifico richiesto e necessario per la stesura degli articoli”. La rivista, nata nel 1999, è promossa oltre che da Asgi anche da Magistratura Democratica e da professori universitari, ed è stata fondata in difesa dei “diritti, dell’uguaglianza, dell’integrazione nel rispetto della diversità”.
Uno degli obiettivi della lista nera, allora “potrebbe essere screditare l’operato dei magistrati agli occhi dell’opinione pubblica e alimentare il caos che avvolge tutto il settore del diritto dell’immigrazione”, prosegue la professoressa. “Forse anche indurre i magistrati ad adottare interpretazioni più rigide, anche se dubito che questo possa avvenire perché i magistrati sono formati e assumono sempre, già lo fanno, le loro decisioni in modo approfondito”.
Per Daniela Consoli, avvocata associata Asgi che ha seguito la vicenda di Firenze, si parla anche di una “impropria ingerenza” nel potere indipendente della magistratura. “Il magistrato interpreta la norma: questa è la normale dialettica del diritto. Che può comportare una sentenza favorevole o meno e in quest’ultimo caso non si deve gridare allo scandalo”.
Nel caso della sentenze di Firenze, il ministero poteva intervenire ma non l’ha fatto: “il ministero non si è costituito volontariamente in primo grado e non ha proceduto con l’impugnazione della sentenza. Non si è ancora una volta scesi nel merito, anche in riferimento al fatto che le competenze anagrafiche sono in capo ai comuni”.
“La critica del Viminale non è rivolta al contenuto del provvedimento, motivato in modo approfondito, ma alle supposte idee politiche del giudice. E questo è preoccupante”, conclude.
Il ministro dell’Interno, dal canto suo, ribatte calmando i toni ma tornando sul suo mantra: “Nessun linciaggio, nessuna minaccia, nessun dossier. Ho intenzione di usare tutti gli strumenti previsti dall’ordinamento per sapere se è normale e opportuno che alcuni magistrati, pubblicamente schierati contro la politica del governo, abbiano giudicato in cause che coinvolgevano il Viminale”.