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Home » Interviste

Per fare un albero, ci vuole il seme. Per la sanità calabrese, una donna

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A Cosenza si cerca di cambiare passo: Isabella Mastrobuono, Commissaria Straordinaria dell’azienda ospedaliera, riapre dopo 11 mesi di chiusura il Polo onco-ematologico del presidio del Mariano Santo. Tecnologie all’avanguardia e strumentazione nuova per rispondere alle esigenze di salute del territorio e dei cittadini.

Da Gennaio di quest’anno la prof.ssa Isabella Mastrobuono è Commissaria dell’Azienda ospedaliera di Cosenza, un incarico non certo facile, perché la sanità in Calabria, senza voler generalizzare, sembra non riuscire a trovare una cura tra deficit, ospedali chiusi, ultima per i Lea (livelli essenziali di assistenza): numeri bassi per gli screening tumorali, le cure domiciliari per gli over 65 e solo il 25% dei femori fratturati viene operato entro le 48 ore. La persone vanno in altre regioni anche per quegli interventi definiti “a bassa complessità”, così come molte donne vanno a partorire altrove.

A raccontarla così c’è da dire che la salute in questa Regione non sia proprio un diritto sancito dall’articolo 32 della Costituzione. E dove il welfare è più che altro fatto da uomini e donne di buona volontà. C’è da chiedersi quindi se non ci sia bisogno di supereroi e supereroine per sistemare lo stato in cui versa. Forse in quest’ottica, come la Storia insegna, quando le cose sono troppo complicate da risolvere ecco che si chiede alle donne di entrare in campo e mettere mano alle vicende più spinose. Tanto che se prendiamo il curriculum della Commissaria sembra proprio che sia stata chiamata per questo: pediatra e chirurga, direttrice sanitaria per 12 anni presso il Policlinico Tor Vergata di Roma e direttrice generale per tre anni presso la ASL di Frosinone, sub commissaria della regione Molise dal 2009 al 2011 e poi direttrice del territorio e della cronicità in Provincia autonoma di Bolzano dal 2019. Ma anche esperta nel settore della sanità integrativa con un grande impegno per la salute. Anche perché senza salute non c’è sanità e viceversa.

Strandenuove.net ha intervistato la professoressa, per farsi raccontare questi suoi otto mesi di lavoro in un luogo dalle dinamiche complesse.

Da professoressa, se dovesse esprimere con un voto l’attuale situazione della sanità calabrese, quale sarebbe e che giudizio scriverebbe nella ipotetica pagella?

Certamente non la sufficienza, ma neppure un bruttissimo voto perché riuscire a raggiungere risultati quando si è fortemente penalizzati da un piano di rientro durissimo non è semplice. Vi sono situazioni eccellenti, anche se a macchia di leopardo, che sono spia di capacità che possono emergere e che possono rappresentare la rinascita nel settore complesso della sanità. Insomma ci sono potenzialità non adeguatamente valorizzate.

Quali sono state finora le principali difficoltà e le sfide che ha dovuto affrontare?

La prima difficoltà è stata la diffidenza verso un Commissario non calabrese, che non conosceva il contesto cittadino e aziendale, ma una volta che questo aspetto è stato superato (a dire il vero in tempi brevissimi, merito della cosiddetta intelligenza emotiva reciproca) mi sono confrontata con le reali criticità: una disordinata organizzazione dei servizi legata anche alla carenza cronica di personale medico e delle altre professioni sanitarie, insufficienti formazione ed aggiornamento soprattutto del personale amministrativo ridotto a poche unità rispetto alle aumentate incombenze legate alla pandemia, scarsa partecipazione del personale alle decisioni aziendali.

L’Azienda ospedaliera di Cosenza è una azienda di rilievo nazionale con oltre 500 posti letto e 1600 unità di personale, che serve una popolazione di oltre 700.000 abitanti e che ha al suo interno eccellenti professionalità ma che aveva bisogno, a mio avviso, di essere davvero lanciata verso un ruolo più forte nel contesto regionale ma anche interregionale. Lo stiamo facendo ed il Collegio di direzione formato da tutti i direttori di dipartimento e i rappresentanti delle altre professioni sanitarie è protagonista.

Qual è, al momento, la problematica più importante che nel suo ruolo si ritrova a dover fronteggiare?

Sicuramente il recupero delle migliaia di prestazioni ambulatoriali e di ricovero non urgenti che durante la pandemia sono state sospese, anche per il ridotto afflusso di pazienti in ospedale. È evidente che ciò è possibile non solo ricorrendo a prestazioni aggiuntive promosse anche dai fondi nazionali e regionali ma soprattutto potendo ricorrere all’assunzione di personale.

Cosa ha imparato nella sua esperienza da manager pubblico in ambito sanitario? E quali errori vorrebbe si evitassero?

Ho imparato molto ed imparo tuttora, ma due cose in particolare sono a mio avviso le più significative: conoscere il contesto della sede dove si lavora e aggiornarsi costantemente sui temi della sanità e non solo. Avere una visione di insieme della realtà nella quale si opera è fondamentale: ciò significa non guardare solo alla sanità ma conoscere anche il contesto sociale, la demografia e la geografia locale, il tessuto economico e non ultimo culturale.

Ho dedicato molto tempo, prima di andare in Calabria, a leggere la realtà, anche storica, nella quale sarei andata a lavorare. Il secondo aspetto riguarda l’aggiornamento costante delle proprie competenze e lo studio di quello che avviene nel mondo sanitario e sociale, con un occhio alle altre realtà europee e non.

Gli errori? Arroganza, presunzione, scarsa comunicazione, assenza di empatia. Un leader, uomo o donna non ha alcuna importanza, deve possedere doti di ascolto, comprensione, e soprattutto deve essere munito di pazienza infinita.

In che modo il punto di vista e il lavoro di una donna posso essere valore aggiunto per una sanità più equa e sostenibile?

Penso alla pragmaticità che contraddistingue il lavoro femminile a tutti i livelli. Essere pragmatici ovvero offrire soluzioni tangibili a problemi spesso atavici è un valore aggiunto tipicamente femminile, foriero di equità e conseguente sostenibilità.

Oggi l’attenzione di tutti è essenzialmente puntata sulla campagna vaccinale per combattere il Covid-19. Quali sono, e se ci sono, le difficoltà organizzative che sta incontrando come Commissaria straordinaria?

Debbo dire che l’Azienda ospedaliera di Cosenza presenta meno criticità rispetto alle aziende sanitarie territoriali regionali. Sin dall’inizio fortunatamente abbiamo organizzato percorsi e spazi dedicati alle persone che si dovevano vaccinare e il team di medici ed infermieri che è stato creato ha lavorato senza sosta con ottimi risultati. Oggi è la carenza del personale, soprattutto amministrativo per la grande mole di lavoro di inserimento dati, che ci preoccupa.

Per anni c’è stata la rincorsa ai tagli, dai posti letto ospedalieri alla chiusura di tanti sevizi territoriali. Questo solo in nome degli sprechi, pensa che la lezione della pandemia possa servire a qualcosa per rivedere delle politiche sanitarie in favore della cosiddetta medicina di prossimità?

La riduzione dei posti letto ordinari e diurni, che ha investito anche le rianimazioni e le terapie intensive, non accompagnata da un reale potenziamento del territorio è stata la ragione per la quale già a giugno del 2020 è stato chiesto a tutte le regioni e PA di aumentare rapidamente i posti letto nelle aree mediche (subintensiva) e nelle terapie intensive. Se si fossero seguite le indicazioni delle linee guida sull’emergenza-urgenza del 1995, ancora vigenti, probabilmente avemmo avuto posti letto intensivi e subintensivi in maggior numero.

Lo stesso discorso riguarda il potenziamento dell’assistenza primaria che già nel 1976 era considerata dall’OMS una pietra miliare per lo sviluppo di una sanità di prossimità efficiente. Il recente PNRR va in questa direzione, vediamo i risultati.

Organizzazione logistica, dotazione tecnologica e potenziamento dell’organico a disposizione dell’Azienda: quale di questi tre aspetti occorre a suo giudizio potenziare?

Tutti e tre assolutamente anche alla luce del Piano nazionale di resilienza che destina somme ingenti sui primi due aspetti mentre sul terzo probabilmente interverranno i maggiori fondi messi a disposizione per i prossimi anni dallo Stato. Non dimentichiamo che dal 2019 il fondo sanitario nazionale è passato da 113 a 121 miliardi e sembra destinato ad aumentare ancora.

L’ingente somma messa a disposizione dal PNRR per questo settore pensa possa influire sul futuro della sanità italiana? E lei quali progetti vorrebbe realizzare?

Penso che possa influire moltissimo a patto che regioni e province autonome elaborino piani di utilizzo delle somme secondo direttrici ben chiare e rendicontabili. Penso che possa essere una occasione d’oro per la Calabria in particolare. I fondi possono essere il volano per uscire dal cul de sac nella quale è finita la sanità calabrese e per ridurre sensibilmente il debito futuro. Per quanto riguarda i progetti da realizzare mi limito ad enunciare quello che abbiamo già previsto per l’Azienda di Cosenza.

Prossimamente riapriremo dopo undici anni il Polo onco-ematologico del presidio del Mariano Santo e desideriamo dotarlo, come il resto dell’Azienda, di tecnologie all’avanguardia e di strumentazione nuova, oltre che di un centro di formazione permanente per il personale che si occupi anche di come utilizzare le tecnologie digitali a disposizione.

L’apertura di un Presidio chiuso da anni è il più bel regalo che tutto il personale e la dirigenza dell’Azienda farà alla città di Cosenza e a tutta la Provincia. Il motto dell’Europa è diventata la frase di Bebe Vio: sembra impossibile, allora si può fare.

Leggi l’intervista completa su Stranenuove.net

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