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“Il crollo del muro fu una liberazione, ma da allora la sinistra non è ancora rinata”: Achille Occhetto a TPI

Immagine di copertina
Achille Occhetto Credit: Ansa

"Con il muro non è caduto solo il comunismo ma è cambiata la politica del pianeta": parla Achille Occhetto, l'ultimo segretario del PCI

Caduta del muro di Berlino: parla Achille Occhetto

“Con il muro non è caduto solo il comunismo, ma è cambiata la politica del pianeta”. A parlare ai microfoni di TPI è l’ultimo segretario del Partito Comunista Italiano (PCI), Achille Occhetto.

In quegli anni della caduta del muro ci sono acque agitate nel PCI, dove il segretario Achille Occhetto cerca di portare il partito verso le posizioni più avanzate della socialdemocrazia europea. Nel lungo periodo che va dal congresso del marzo 1989 al 9 novembre, il giorno della famosa riunione della Bolognina con l’annuncio del cambiamento del nome e della linea politica, il PCI è dilaniato dalle lotte interne.

Il dibattito dilaga dal centro alla periferia, nelle sezioni e nelle case del popolo, generando sgomento negli iscritti, si sgretolano le granitiche certezze che per 45 anni sono state la base del PCI. Nasce la “Cosa”, famosa nel film di Nanni Moretti, poi il Pds (partito democratico della sinistra) che avrà per simbolo una quercia, è l’inizio della rivoluzione botanica della politica italiana, seguiranno ulivi, girasoli e margherite. Insomma, la caduta del muro fu capace di sparigliare le carte della politica italiana.

Lo speciale di TPI sul muro di Berlino a 30 anni dalla caduta
Dov’era quel 9 novembre 1989?

Quel giorno mi trovavo a Bruxelles per un incontro con il segretario di allora del Partito Labourista Neil Kinnock, e discutevamo sull’internazionale socialista, quando a un certo punto irrompono nella stanza e ci dicono che stavano dando le prime picconate al muro. Quello che dichiarai subito è molto importante, perché fu una lettura della caduta del muro che poi si rivelò giusta nella prospettiva storica.

Affermai subito: con la caduta del muro oggi cambiano i tratti fondamentali che hanno contraddistinto finora la geopolitica del pianeta. Non stava crollando solo il comunismo, come si diceva nell’immediato, ma mutava proprio il modo di fare politica nel ‘900.

Perché un quello che poteva essere solo un simbolo è stato capace di cambiare la storia?

La storia del ‘900 era stata dominata dal comunismo a livello internazionale e nel 1989 crollò questa certezza nell’Unione Sovietica, nell’est del mondo. In secondo luogo, dopo la Seconda Guerra Mondiale, il panorama politico era dominato dalla Guerra Fredda, tra est e ovest. Poi, cominciava in quel momento cominciavano ad apparire gli elementi della globalizzazione.

Queste tre cose bastano per dire che si stava stravolgendo tutto il quadro politico mondiale.

Torniamo per un momento a quei mesi: l’estate 1989 fu contraddistinta le proteste di Piazza Tienanmen , dove il regime cinese soffocava nel sangue la rivolta popolare che chiedeva libertà e democrazia. Cosa lega questi eventi alla caduta del muro?

Quando cadde il muro si disse che le mie scelte furono improvvise e solitari, invece c’era stat un anno di grande caos. Io mi trovavo seduto in un’assemblea, mi arriva un foglietto in cui si diceva cosa stava accadendo a Tienanmen. Convoco per la sera stessa un sit-in a Firenze davanti all’Ambasciata cinese e già lì dichiaro: “Il Comunismo è morto”.

Poi pochi mesi prima della caduta del muro avevo fatto un viaggio in Ungheria e avevo visto che c’era un grande fermento nel partito comunista ungherese, che si poneva il problema di entrare o no nel partito socialista. Quando tornai in Italia, avvisai di questi sconvolgimenti.

Dissi in quell’occasione che non avremmo mai cambiato nome davanti a una pressione esterna, ma solo davanti al cambio del corso della storia. E la caduta del muro di Berlino mi sembrò una di quelle occasioni.

Due giorni dopo la caduta del muro, alla Bolognina, la sezione più rossa di tutta la rossa Bologna, lei annunciava che il partito non si sarebbe chiamato più partito comunista. Cambiò anche l’identità oltre il nome?

C’è stato il tormentone del nome, ma io non partii da lì. Il problema vero era creare una costituente di tutte le forze riformiste e democratiche. Volevo far crollare il muro ideologico, oltre che il muro di pietra. Comunisti, sociali, cattolici avevano combattuto insieme per la libertà e non potevano non riconoscere un’unione di fondo. Adesso dovremmo riunione tutte quelle forze del riformismo italiano.

Dissi allora “prima viene la Cosa” e si fece molta ironia su quella frase. Si dimentica però quello che si impara a scuola, cioè “i nomi sono conseguenze delle cose”, cioè dettano la priorità. In questo caso un processo di una nuova formazione politica.

In quel momento si parlò molto di “socialismo” e “socialdemocrazia”. Che valore hanno oggi quelle parole?

Oggi sostengo che con la svolta della Bolognina abbiamo dovuto fare i conti con la caduta del comunismo. Oggi serve una nuova svolta per fare i conti con la crisi delle sinistre. Sia quelle moderate, che quelle alternative extraparlamentari.

Per questo è necessario riprendere l’obiettivo che posi alla Bolognina: servirebbe una costituente capace di riunione tutte le sinistre. Sia quelle più al centro, sia quelle che derivano dalla società civile.

So per esempio che il Partito Democratico farà un congresso per parlare delle ultime idee da mettere in campo. Per la prima volta per la ricorrenza della Bolognina il 12 novembre parteciperanno anche i vertici massimo del Pd, come il fondatore Romano Prodi e l’attuale segretario Nicola Zingaretti.

Ci fosse oggi una Bolognina servirebbe a mettere insieme tutte le forze democratiche per fermare quello che sta succedendo: la profonda crisi della democrazia.

In questo processo ci starà chi ci starà, la sinistra deve auto-ridefinirsi.

Perché, quale è stato l’errore della sinistra?

Il problema è stato essere subalterni al neo-liberismo. Con la crisi economica del 2008, invece di avere una risposta da sinistra, c’è stata una risposta da destra e la conseguente insorgenza del populismo.

I populisti vogliono tornare al Medioevo, vogliono ristabilire confini che non ci sono ormai più. Invece bisogna andare avanti, democratizzando la globalizzazione, democratizzando le istituzioni europee e l’alta finanza, che è concentrata solo nelle mani die pochi.

Al sovranismo nazionale bisogna contrapporre un socialismo sovra-nazionale. In questo senso anche io sono sovranista.

A proposito di populismo: prima essere vicino al popolo, agli ultimi, era una prerogativa del PCI e della sinistra. Adesso questo spazio è stato preso dalla Lega, dalla destra, perché?

Questa è solo apparenza. In realtà accarezza gli ultimi per spingerli su un terreno che solo elettorale.

Faccio però l’avvocato del diavolo: questi partiti sono presenti sul territorio, là dove il Pd non ha più nessun appeal…

E io faccio le risposte dell’angelo. Sono molto presenti, promettono di trovare soluzioni per i problemi “immediati” dei cittadini. La sinistra non ha capito quali aspetti della modernità stavano creando disuguaglianze e quindi non ha capito la fase. Adesso è obbligata a capirla.

La sinistra deve cercare di parlare alla ragione, per fr capire che c’è una complessità sociale. Non parlare alla pancia, al terrore della gente. Ma ragione e sentimento devono essere unite, altrimenti il popolo si distaccherà sempre.

Con la caduta del muro è fallito anche il riferimento a Mosca. È stato trovato un nuovo riferimento?

È crollato l’esperimento del socialismo reale e le masse popolari sono rimaste idealmente diseredate. Ci si è ritrovati di fronte agli errori, ma anche ai crimini, del socialismo reale.

Bisognava ricostruire un’identità in crisi. Se vediamo cosa è successo nei paesi comunisti dell’est, dove l’estrema destra la fa da padrone, mi viene un sospetto: là i germi del socialismo democratico non avevano funzionato. Realtà che se Marx avesse potuto vedere…sarebbe morto d’infarto!

Io non credo che un nuovo riferimento vada ricercato in un altro paese europeo, ma dentro noi stessi. Per ritrovare quella radici di giustizia, di uguaglianza che erano proprie delle idee primarie della sinistra e del socialismo internazionale.

Dopo un cambiamento, un azzeramento, così grande come la caduta del muro di Berlino in Italia nel 1994 vince Silvio Berlusconi, che lei sosteneva “era solo buono a giocare col calcio”. Come si spiega questo exploit che poi ha portato a 20 anni di Berlusconismo?

Avevo previsto che cambiava tutto, che la campana a morte non era solo per il comunismo, ma stravolgeva tutti. Se guardiamo al panorama politico oggi, è irriconoscibile. Niente è rimasto in piedi, nessuno die partiti di allora è rimasto in piedi. La DC è diventato partito popolare, il PCI cambia nome dopo la Bolognina.

E senza la mia “svolta” non ci sarebbe stato l’Ulivo, che ancora oggi credo sia stato un esperimento molto interessante per mettere insieme le molteplici forze di sinistra di cui le parlavo prima. Forze laiche e cattoliche si mettono insieme sotto l’egida del riformismo.

Allora in quest’ottica il Pd è perfetto secondo lei, pieno di correnti interne…

Per il Pd si è scelta la strada delle “fusioni a freddo”. Ma continuo a credere che mondo cattolico e sinistra laica possano convivere e fare buone cose insieme: l’hanno fatto nella resistenza, l’hanno fatto con l’Ulivo e anche con una delle migliori Costituzioni in Europa.

Da ateo convinto quale sono credo che su quasi tutte le posizioni si possa trovare un accordo tra queste due anime, mantenendo però sempre lontana la religione dai diritti civili tipici di uno stato laico.

Con la definizione “fusione a freddo” mi viene subito in mente l’unione Pd-M5S nell’attuale governo Conte bis. Cosa ne pensa?

Per fortuna la vera fusione non c’è ancora stata. per emergenza i due si sono dovuti mettere insieme. Il problema è che questo governo è nato per risolvere una crisi. E non bisognava permettere a un uomo in mutande al Pepeete di scavalcare il presidente della Repubblica e chiedere i primi poteri.

Dal momento che si sono messi insieme, si stanno assumendo una responsabilità. Contesto però Renzi, che ha sostenuto ad agosto questo governo e poi si è fondato il suo partito personale. La prevalenza delle bandierine personali.

Che cosa è successo secondo lei in Umbria? Dove Pd e M5S, se fossero andati bene, erano pronti a rendere la coalizione politica e non solo di fatto?

Nessuno ci credeva che potesse essere possibile vincere le elezioni in Umbria. Quella regione era già stata persa nelle Europee e per di più c’è stato lo scandalo sanità che ha costretto la candidata dem Catiuscia Marini a dimettersi prima del dovuto.

Quindi l’unione Pd e M5S in quel caso più che diminuire la vittoria, abbia acuito la perdita. Probabilmente da soli avrebbero avuto un risultato ancora peggiore.

Il vero ragionamento da fare è questo: la perdita delle regioni rosse. Dove davvero c’era un laboratorio di socialismo. Gli asili nido per tutti, l’accoglienza, le case popolari. Tutte battaglie tipiche dell’Umbria, della Toscana, dell’Emilia che oggi abbiamo perso.

Il vero test adesso sarà l’Emilia.

Ricolleghiamoci un attimo ai 30 anni dalla caduta del muro di Berlino: dal 1989 si ergono in tutto il mondo sempre più barriere. Contro questo la sinistra non dovrebbe esporsi di più?

Forse è proprio questa la battaglia che può unire la sinistra oggi: eliminare questi confini anacronistici che si vogliono rialzare per bloccare le migrazioni.

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