Gli educatori e i pedagogisti avranno il loro albo. Parla la presidente dell’associazione di categoria
Intervista a Silvia Negri, presidente dell'Associazione Professioni Pedagogiche (APP), dopo l'entrata in vigore della legge che regola i profili professionali
Lo scorso 8 maggio è entrata in vigore la legge che istituisce l’ordine delle professioni pedagogiche ed eductive che comprenderà gli albi di pedagogisti ed educatori progessionali. Si tratta di profili particolarmente importanti e inseriti all’interno del sistema sociale italiano, ma che fino a questo momento non risultavano normati in maniera adeguata, soprattutto rispetto ad altre professioni che svolgono funzioni in parte simili. La legge è stata approvata al parlamento a larga maggioranza dal parlamento con un testo nato bipartisan dall’accorpamento di quattro proposte differenti a firma di Valentina D’Orso del Movimento Cinque Stelle, Annarita Patriarca di Forza Italia, Irene Manzi del Partito Democratico e Maria Carolina Varchi di Fratelli d’Italia.
Questo riconoscimento, tuttavia, rappresenta un primo passo che verrà via via definito anche attraverso i decreti attuativi, attraverso un percorso che inevitabilmente si porta dietro numerosi punti interrogativi.
Per capire di più su cosa ciò comporti, per conoscere meglio queste figure professionali e provare a capire se ci sono ragioni più profonde in questo momento storico per cui è arrivato questo primo riconoscimento, TPI ha intervistato Silvia Negri, presidente dell’Associazione Professioni Pedagogiche.
Premettendo che l’Ordine delle professioni pedagogiche ed educative istituito dalla legge 55/2024, comprende l’albo sia dei pedagogisti che quello degli educatori professionali socio-pedagogici, il pedagogista è il professionista che ha le competenze più adeguate per coordinare équipe educative in servizi che possono andare dai nidi d’infanzia, alle comunità residenziali per minori e famiglie, ai Centri diurni per persone con disabilità, alle Residenze sanitarie assistenziali per anziani (nel caso di servizi socio-assistenziali e socio-sanitari, si concentra sugli aspetti socio-educativi). Attraverso tali attività di coordinamento, ma anche di progettazione e di supervisione pedagogica, garantisce la qualità degli interventi educativi che vengono realizzati all’interno delle strutture, perché si occupa non solo di verificare e valutare tali interventi insieme all’équipe stessa, ma anche di curare la formazione e il benessere delpersonale del servizio.
È una “figura di sistema”, che significa che ha il compito di connettere in un progetto unitario e di senso diversi interventi, non solo educativi, che vengono attivati con e per una persona: per esempio, nel caso di una disabilità, si muove per conoscere nel modo più approfondito tutti i contesti con cui il soggetto interagisce quotidianamente (famigliare, lavorativo, sociale, del tempo libero, delle cure sanitarie), si mette in comunicazione con e mette in comunicazione i diversi professionisti – auspicabilmen
Il pedagogista lavora anche nel proprio studio professionale, offrendo supporto e consulenza a singoli, coppie, famiglie, gruppi per la promozione e lo sviluppo delle potenzialità e delle risorse, di prevenzione del disagio e di accompagnamento nell’elaborazione dei compiti e delle sfide che la vita ci propone quotidianamente. Pensiamo per esempio a neogenitori alle prese con il primo figlio e a tutti i dubbi e le difficoltà che questo comporta in un mondo caratterizzato dalla solitudine e dalla mancanza di punti di riferimento oppure a figli che si occupano di genitori sempre più anziani, che richiedono attenzioni costanti e con i quali le relazioni di cura si invertono, mutando profondamente i ruoli e gli equilibri. Potrei continuare ancora a lungo, ma penso che sia emerso chiaramente che in qualsiasi contesto in cui si sviluppano processi e progetti educativi, il pedagogista è la figura con il livello più alto di competenze che offre il proprio contributo in termini di progettazione, consulenza, supervisione, verifica e valutazione degli interventi e delle attività che in quelle sedi vengono proposti.
I fattori che hanno contribuito a mantenere la figura in una situazione di scarso riconoscimento sono molteplici, fra i quali segnalerei una svalutazione e una banalizzazione del valore delle professioni educative, associate spesso alla dimensione della vocazione, della missione, del “buon cuore”, per cui lo studio e una seria preparazione professionale risulterebbero superflui, se non inutili. Un altro aspetto che ha sicuramente pesato è stato il disinvestimento progressivo in questi ultimi 30 anni dal settore della promozione del benessere delle persone e della prevenzione del disagio, che ha di fatto oscurato il valore del ruolo delle professioni educative, in particolare quella del pedagogista, che per esempio è gradualmente sparita dalle équipe dei consultori familiari, nonostante una legge del 1975 la prevedesse. Hanno contato anche la competizione con altre figure professionali con uno statuto più chiaro e definito, come gli psicologi, e una fragilità della nostra rappresentanza affidata, fino all’entrata in vigore della legge 55/2024, a una molteplicità di Associazioni di categoria professionale che hanno faticato a promuovere e a tutelare gli interessi delle professioni educative.
In questo momento storico mi sento speranzosa, perché mi sembra che sia aumentata la consapevolezza che il tentativo di affrontare queste problematiche con un approccio esclusivamente sanitario e/o solo quando le situazioni sono già compromesse comporta un grandissimo sforzo in termini di risorse (che scarseggiano) con risultati molto limitati nel tempo e nell’efficacia oltre che frammentati e gravemente insufficienti rispetto alla numerosità e profondità dei bisogni. Quello che continua a preoccuparmi molto sono gli investimenti economici nel welfare locale, in caduta costante secondo gli ultimi rapporti del CNEL, che finanziano i servizi sociali e socio-educativi, a cui si aggiungono le variabili capacità di spesa degli enti locali, che si trasformano così nelle povertà economiche ed educative e nelle disuguaglianze territoriali denunciate ormai da tempo da più parti.
La risposta è piuttosto difficile, visto il riconoscimento giuridico delle nostre professioni giunto solo con i commi della legge di bilancio del 2017 che hanno stabilito per la prima volta i requisiti per la definizione dei profili. Le stime del numero delle persone impiegate come pedagogisti e educatori (considerando anche che nel nostro paese esistono due percorsi di laurea distinti che formano uno l’educatore professionale socio-pedagogico e l’altro l’educatore professionale socio-sanitario) si attestano intorno alle 200.000 unità, ma si tratta, appunto, di stime.
La mancanza di un riconoscimento ha avuto una serie di ricadute negative sulla professione e su chi la esercita: una rappresentazione sociale delle nostre figure tendenzialmente svalutata che, insieme a condizioni contrattuali e lavorative precarie, quando non indegne, ha provocato una vera e propria “fuga” dalla professione, soprattutto degli educatori, e un impiego nei ruoli riservati alle nostre professioni di persone senza adeguata formazione, cioè prive dei titoli previsti dai commi della legge 205/17.
Il tardivo riconoscimento ha anche rallentato la diffusione della figura del pedagogista in particolare nei contesti e nei servizi e questo ha contribuito a impedire la conoscenza delle sue competenze e funzioni, in un circolo vizioso che mi auguro comincerà ad essere interrotto dall’applicazione della legge 55/2024.
Credo che questa legge sia il frutto della perseveranza dell’associazionismo professionale, in particolare di ANPE (Associazione Nazionale Pedagogisti Italiani), che dal 1990 in poi non ha mai smesso di interloquire con la politica perché venissero presentate in Parlamento proposte di legge per l’istituzione dell’Ordine dei pedagogisti, a cui si sono affiancate nell’ultimo anno e mezzo di elaborazione della legge 55/2024, APP, di cui sono Presidente, e il Co.N.P.Ed. (Coordinamento Nazionale Pedagogisti ed Educatori), che stanno dando un notevole contributo anche nella diffusione e nella condivisione di una corretta informazione sulle implicazioni dell’attuazione del provvedimento, attraverso incontri in collaborazione con le Università e gli Enti Locali su tutto il territorio nazionale. Ma credo che i meriti debbano essere estesi a una serie di soggetti che in questi anni hanno lavorato su molti fronti diversi perché le nostre professioni venissero riconosciute, valorizzate, quando non difese da attacchi che miravano a limitarne la presenza e il pieno esercizio. Penso alla già senatrice professoressa Vanna Iori, che ha lavorato intensamente per l’inserimento dei commi di riconoscimento del pedagogista e dell’educatore professionale socio-pedagogico nella legge 205/17, ma anche il mondo accademico e le sue Associazioni (la CUNSF, la Siped e il CoNCLEP), che hanno avuto e hanno l’importante compito di costruire e aggiornare costantemente i fondamenti scientifici e metodologici delle discipline pedagogiche e di metterli in dialogo con il mondo professionale. Da pedagogista che lavora sul campo da più di 20 anni mi sento però di riconoscere un merito particolare alle colleghe e ai colleghi che in questi ultimi decenni, seppur in condizioni non certo facili, hanno scelto di esercitare una professione educativa e ne hanno mostrato quotidianamente il valore e la ricaduta concreta nelle vite delle persone, dei servizi e delle istituzioni che si sono a loro rivolti.
In questo momento il mio auspicio più grande è che l’iter si svolga nei tempi previsti dalla legge, perché si possa arrivare in tempi certi alla costituzione dell’Ordine. Come capita con ogni norma, dal decreto attuativo ci aspettiamo molti chiarimenti rispetto alla gestione della fase transitoria e sui passaggi concreti per la costruzione di questo nuovo Ente. La legge 55/2024, all’art. 6, prevede che il Ministero della Giustizia, preposto a vigilare sul nostro futuro Ordine, senta le associazioni nazionali rappresentative delle professioni pedagogiche ed educative: penso che questo sia un passaggio fondamentale perché l’attuazione della norma sia il frutto di un confronto con lo stato dell’arte attuale delle nostre professioni, per poter prevenire criticità e disarmonie nell’applicazione. Attendiamo quindi fiduciosi la convocazione del Ministero.
Se intravedessi una strada realistica e percorribile per abolire tutti gli ordini professionali, non esiterei a intraprenderla, ma dobbiamo fare i conti con la realtà di un Paese che ne conta attualmente più di 30 e, per quanto ci riguarda, con uno di questi che comprende l’albo degli educatori professionali socio-sanitari, portando con sé l’anomalia di una professione con un profilo afferente a un Ordine e l’altro no. Questo provvedimento di legge ha consentito di ristabilire un equilibrio e di rafforzare la nostra rappresentanza nelle interlocuzioni con tutti gli altri soggetti con cui è importante averne per la tutela e lo sviluppo delle professioni pedagogiche ed educative.
Non nascondo che le critiche a cui si fa riferimento nella domanda sono diffuse anche fra i pedagogisti e gli educatori, che soprattutto nell’attuale momento di transizione faticano a riconoscere i risvolti positivi della nuova normativa. Sicuramente sarà decisivo il governo dell’Ordine e quindi gli orientamenti e le politiche attuate da chi andrà a ricoprire le cariche a livello regionale e nazionale: come in ogni processo democratico la differenza la farà la partecipazione informata, attiva e critica della categoria che sarà chiamata nei prossimi mesi a scegliere e a eleggere i propri rappresentanti.