Brexit, fonti europee a TPI: “L’Ue punta a evitare il No Deal”
“Siamo in stallo politico, il Regno Unito ha bocciato tutte le opzioni finora votate. Ci attendiamo finalmente un voto positivo: o si blocca la Brexit o si vota un deal. Altre soluzioni non ne vediamo”. Lo sostengono fonti europee a Bruxelles, secondo quanto ha appreso TPI.
Mancano poche ore al vertice straordinario che si terrà mercoledì 10 aprile e la situazione è più caotica che mai.
“La Brexit è un lose-lose. Nessuno ne ha dimostrato il valore aggiunto, nemmeno l’onorevole Farage”, si dice negli ambienti europei.
“Il nostro obiettivo è organizzare il divorzio in maniera ordinata”, ma al momento la situazione, ammettono le fonti interne, è in perfetto stallo.
I negoziati condotti tra la premier britannica Theresa May e il capo negoziatore per l’Ue, Michel Barnier, sono stati bocciati, com’è noto, per ben tre volte dal parlamento di Londra.
Le trattative si sono mosse su due linee: la prima è quella dell’accordo di recesso, 600 pagine che organizzano il divorzio e che, come ripetuto più volte dal presidente della Commissione europea Jean Claude Juncker e dallo stesso Barnier, è l’unico accordo possibile con Londra.
“Se il Regno Unito vuole lasciare l’Ue in maniera ordinata questo accordo è l’unico possibile. Non ce ne sarà un altro”, apprende TPI a Bruxelles.
Se venisse concessa una proroga che andrà al di là del 23 maggio, il Regno Unito dovrà partecipare alle elezioni. E di conseguenza i seggi che erano stati redistribuiti agli altri paesi, verranno reclamati dal Regno Unito. Al momento si parla di una proroga al 31 dicembre, ma bisognerà attendere domani per capire qual è l’orientamento dei capi di Stato e di governo.
E soprattutto bisognerà aspettare il vertice per capire qual è la road map che Theresa May presenterà al Consiglio. “Il no-deal non sarà mai la decisione dell’Unione europea, ma la proroga sulla Brexit deve essere utile” per far approvare l’accordo di ritiro, ha detto il capo-negoziatore dell’Ue, Michel Barnier, in una conferenza stampa a Lussemburgo.
Intanto, da Bruxelles si guarda con apprensione al dialogo tra la premier May e i laburisti di Jeremy Corbyn.
La seconda linea negoziale portata avanti in questi mesi, accanto all’accordo di recesso, è quella della dichiarazione politica che tiene conto delle future relazioni, dopo che il Regno Unito uscirà. Si tratta di un dossier di 26 pagine.
L’accordo di recesso tocca tutti i punti per cui il divorzio crea incertezza giuridica. Che come ogni divorzio si prospetta costoso, difficile e doloroso.
“Abbiamo cercato di inserire certezza giuridica per i cittadini, sia britannici all’estero, che gli europei che vivono nel Regno Unito. I loro diritti andavano tutelati”, spiegano le fonti europee.
Nell’accordo di divorzio viene menzionato anche il financial settlement, il bilancio dell’Ue settennale. Anche se il Regno Unito dovesse lasciare l’Ue nel 2019, due anni prima della fine del bilancio, dovrà pagare fino alla fine, come da accordi risalenti al 2014, quando non vi era ancora Brexit all’orizzonte.
Una parte molto complicata del trattato di divorzio comprende i 750 accordi internazionali (europol, euratom, accordi di pesca ecc..) negoziati dall’Ue. Con il divorzio è necessario trovare una transizione per tutti questi temi.
Nelle 600 pagine di accordo rientra anche il periodo di transizione, che inizierebbe all’indomani dell’uscita e durerebbe dai 21 mesi ai 4 anni.
In questo periodo il Regno Unito resterebbe nel mercato unico e nell’unione doganale, per tutelare imprese, amministrazioni.
È Bruxelles che negozia per gli stati membri, e quando si lascia l’Ue bisogna ricostruire la propria amministrazione nazionale, che faccia quello che attualmente fa Bruxelles per contro degli Stati membri.
Il caso dell’Irlanda è il più complesso: sulla stessa isola ci sono due paesi, con una storia pesante, di conflitto secolare. Appena 25 anni fa era in corso un conflitto tra unionisti e nazionalisti.
Attualmente non ci sono frontiere tra Irlanda del Nord e Repubblica d’Irlanda.
La pace è solida. Ora la Brexit può comportare un regresso nella situazione in Irlanda. I controlli ci dovranno essere per proteggere il mercato interno Ue.
Ogni prodotto britannico che entra senza frontiere in Irlanda del Nord, entra meccanicamente negli altri stati membri, senza controlli. Bisogna quindi che ci siano controlli alla frontiera che diventa “frontiera esterna” alla Ue.
Attualmente l’Ue prevede 3 ordini di controlli alle frontiere esterne: controlli per proteggere i consumatori, controlli fiscali e controlli normativi per lottare contro la contraffazione, per rispettare standard dell’Ue.
Fintanto che non verra trovato l’accordo c’è il backstop, la clausola di salvaguardia.
Al momento la soluzione è integrare il Regno Unito nell’unione doganale europea, per il tempo necessario a trovare un altro accordo.
“Attendiamo speranzosi i risultati dei negoziati tra laburisti e conservatori sull’accordo di recesso. Poi si potrà passare a negoziare l’accordo sulle future relazioni tra Ue e Regno Unito, che saranno distrutti dalla Brexit dopo 44 anni. E sarà necessaria una nuova base giuridica, dal momento che il Regno Unito è un paese amico e alleato, per costruire le nuove relazioni”.
La cosiddetta dichiarazione politica in 26 pagine verte su diversi temi: economia, trasporti, università, ricerca, aviazione, sanità, Erasmus per citarne solo alcuni.
Su questi temi, dopo che saranno distrutte le attuali relazioni, bisognerà ricostruirne di nuove.
Andranno ricostruite le relazioni economiche con un paese che diventa paese terzo. Attualmente i paesi con le migliori relazioni sono, Norvegia, Liechtenstein, fanno parte del mercato unico, rispettano la Corte di Giustizia, rispettano la libertà di circolazioni.
Con il No deal il Regno Unito si posiziona sull’ultimo gradino nella scala delle relazioni dei paesi terzi.
La dichiarazione politica, a differenza dell’accordo di recesso, potrà essere riaperta e rimessa in discussione per renderla più ambiziosa.
“Il Regno Unito ha scelto di essere solitario piuttosto che solidale”, dicono a Bruxelles.
“Se non si rimane insieme siamo fregati, siamo condannati a subire influenza di Cina, Stati Uniti e altre potenze. Se vogliamo sederci al tavolo dove si decide l’ordine o il disordine mondiale, bisogna rimanere insieme”, dicono ancora fonti europee.
Il timore è quello di ritrovarsi spettatori di decisioni prese da altri.