Nasce la prima Scuola del Fallimento in Italia: come imparare a fallire meglio
“Sbaglia. Sbaglia ancora. Sbaglia meglio”. Così Samuel Beckett, il drammaturgo irlandese. E il trucco del successo dicono sia proprio quello di saper perdere.
Motivo per cui in Italia è nata la prima Scuola di fallimento. La fondatrice è Francesca Corrado, ricercatrice ed economista che ha deciso di realizzare questo istituto partendo dalla sua esperienza personale.
Nel 2015, nel giro di un paio di mesi, la ricercatrice ha perso due lavori, la sua storia d’amore è finita e ha dovuto affrontare la malattia del padre, che poi è morto.
“È stato l’Alzheimer, la malattia di mio padre a cambiare tutto, a spingermi a cercare delle risposte – ha dichiarato in un’intervista ad HuffPost -. Mi chiedevo come funzionava il cervello, perché mio padre non mi riconoscesse più. Ragionare su lui, sulla malattia, mi ha aiutato a mettere in pratica studi e ricerche. Quello che mi ha aiutato più di tutto è stato essere a contatto con malattia. Prima pensavo che tutto mi stesse franando i piedi, poi studiando mi sono resa conto che quello che mi stava succedendo poteva essere in realtà una svolta. Mettere in pratica quello che leggevo nelle ricerche poteva essere d’aiuto anche per me”.
“In assenza di tecniche e strumenti a me utili – spiega Francesca Corrado -, ho deciso di sviluppare un percorso che mi aiutasse ad accogliere, analizzare e abbracciare l’errore. Solo quando ho capito che questo percorso mi aveva effettivamente aiutato a rialzarmi dopo le mie cadute, ho deciso di fondare la prima Scuola di Fallimento. Volevo essere di aiuto anche agli altri”.
La scuola – come si legge sul sito – si basa su metodologie esperienziali e ludico-immersive che garantiscono l’apprendimento e il pieno coinvolgimento dei partecipanti. Ogni modulo è cogestito da più docenti, anche universitari, con competenze diverse e trasversali tali da apportare valore aggiunto in ogni fase del percorso.
L’obiettivo della Scuola di fallimento è trasmettere la cultura del fallimento, “una cultura in cui il fallimento non sia vissuto come marchio indelebile e l’errore non sia considerato uno stigma sociale invalidante ma un viaggio di scoperta di sé, dei propri limiti e dei propri talenti”.