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Rupert Everett: “Sono cresciuto in un monastero commettendo molti peccati. Papa Francesco? Non mi fido”

Immagine di copertina

RUPERT EVERETT NOME DELLA ROSA – Rupert Everett interpreta nella fiction di Rai 1 Il nome della rosa, ispirata al capolavoro di Umberto Eco, il tremendo inquisitore domenicano Bernardo Gui. La serie in quattro puntate racconta le vicissitudini all’interno di un monastero benedettino medievale, precisamente del 1327.

Un contesto che l’attore britannico conosce bene, come ha raccontato in una lunga intervista a Vanity Fair. Everett, 60 anni il prossimo maggio, condanna senza giri di parole il decadimento morale della Chiesa, almeno in alcune sue parti, dimostrando di essere entrato perfettamente in sintonia con il personaggio da lui interpretato.

LEGGI ANCHE: Tutto quello che c’è da sapere su Il nome della rosa

Il ruolo del cattivo gli calza a pennello, perché gli permette di “mostrare il lato oscuro di un’istituzione che detesto”, dichiara Everett. In particolare l’attore condanna l’ipocrisia della Chiesa di oggi, troppo attenta alle cose materiali: “Quando passo da Roma, ceno in un ristorante molto frequentato dal clero. Preti e seminaristi ordinano menu da cinque portate: mangiano, bevono, spendono, spandono. Farebbero meglio a seguire l’esempio di Gesù, donare tutto in beneficenza e vivere in povertà”, dice senza giri di parole dalle colonne di Vanity Fair.

LEGGI ANCHE: La trama della fiction Il nome della rosa

Un mondo, dicevamo, che Everett ha conosciuto di persona, poiché da bambino, ad appena 7 anni, i suoi genitori lo mandarono in un austero monastero benedettino, ad Ampleforth. L’attore britannico ha raccontato nel dettaglio quanto ricorda di quell’esperienza: “Commettevo un sacco di peccati: speravo di scongiurare la possibilità che mi arrivasse la vocazione. Desideravo di essere una ragazza, per esempio. E mi travestivo come tale. Durante i weekend mi imbucavo nei camerini del teatro, indossavo gonne, cappelli, foulard, poi andavo sugli spalti dello stadio dove i miei compagni giocavano a rugby: mi fingevo una loro spettatrice. Quando i monaci l’hanno scoperto mi hanno dato la caccia, letteralmente, finché non ho reso tutti i costumi presi in prestito”.

Un rapporto difficile quello con il clero reso tale anche dalla sua omosessualità: “La Chiesa cattolica mi vedrebbe volentieri all’inferno per il solo fatto di essere gay”, ha aggiunto Everett. Eppure lui non ha mai nascosto il suo orientamento sessuale, decidendo di fare coming out per rispetto nei confronti del suo pubblico, anche se questa scelta gli ha senz’altro causato qualche problema a livello lavorativo.

A tal proposito, l’attore de Il nome della rosa non ha fatto a meno di dire la sua sul grande scandalo degli abusi sessuali nel clero, rinfocolato dalle rivelazioni del libro Sodoma che rappresenta il Vaticano come la più popolosa comunità omosessuale al mondo: “Non ho dubbi che lo sia, con orge e prostituzione annesse“.

A tal proposito, Everett lancia una potente stilettata anche contro Papa Francesco: “Non mi fido di lui: fa tanti bei proclami e poi li disattende. Prima vorrei sapere che cosa ha combinato da giovane in Argentina, all’epoca dei desaparecidos. Mi sbaglierò ma, secondo me, è un uomo di marketing. Quasi preferivo il precedente (Ratzinger, ndr). Immagino che voi italiani proviate la stessa nostalgia per Berlusconi, adesso che governa Salvini”.

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