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Cosa mangeremo tra cento anni

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I cambiamenti climatici e il mutato fabbisogno potrebbero, nei prossimi decenni, introdurre nelle nostre diete nuovi alimenti che oggi faticheremmo a immaginare

Il pianeta in cui viviamo ha sempre meno risorse naturali a sua disposizione. A questo si aggiunge il numero sempre crescente dei suoi abitanti: le Nazioni Unite prevedono che entro il 2100 la popolazione mondiale avrà superato i 12 miliardi di persone.

È il motivo per cui numerosi ricercatori hanno cominciato a riflettere su quali potrebbero essere i cibi alla base della nostra catena alimentare in futuro. Tra le loro proposte ritroviamo insalate a base di medusa, bevande alle alghe, arachidi ipoallergenici e tanti altri alimenti che difficilmente prenderemmo in considerazione oggi.

“Si tratta di una risorsa marina sottoutilizzata”, afferma Stefan Gates, food writer e conduttore televisivo, quando parla dell’utilizzo culinario delle meduse. In diverse zone del mondo le meduse già rappresentano una pietanza: il loro basso contenuto calorico e la loro consistenza le rende un’ottima alternativa a tanti altri alimenti.

“In generale dovremmo cercare di essere più aperti a ciò che mangiamo perché di solito tendiamo a consumare sempre gli stessi cibi, ci focalizziamo sempre sugli stessi alimenti, e ciò pone dei seri problemi per le risorse del pianeta”, continua Stefan Gates.

E allora perché escludere a priori un altro alimento già largamente consumato da molte popolazioni del mondo: gli insetti. Ad alto contenuto proteico rappresentano anche una alternativa alimentare valida in termini di sostenibilità: il loro impatto sull’ambiente è assai limitato dati i bassi valori delle emissioni di carbonio legate alla loro produzione. Ad oggi esistono circa 1900 specie di insetti commestibili, che costituiscono una pietanza per più di 2 miliardi di persone.

Un progetto ambizioso riguarda la produzione di carne in laboratorio a partire da cellule staminali di diversi animali: se avrà risvolti positivi potrebbe rappresentare una vera e propria rivoluzione.

Mark Post, ricercatore presso l’Università di Maastricht nei Paesi Bassi, considera questo nuovo tipo di tecnologie un’ottima soluzione alla crescente domanda di carne nel mondo. Il problema principale che al momento sembra invalicabile è legato all’alto costo di produzione. Nel 2013 Mark Post presentò al mondo il primo hamburger prodotto a partire da cellule staminali di mucca. Produrlo costò circa 250mila euro.

Oltre a cibi che oggi non usiamo, ci sono poi varietà di cibi attualmente esistenti realizzate sfruttando meglio le risorse attualmente esistenti. Un botanico cinese, ad esempio, ha studiato una varietà di riso ultraresistente, che sopporti alluvioni e altre intemperie.

Ma non è tutto. Tra i cibi del futuro elencati dal quotidiano britannico compaiono anche latte e bianchi d’uovo prodotti senza l’utilizzo di animali. La tecnologia a cui si affiderebbe la produzione di questo tipo di alimenti si basa sull’utilizzo di cellule di lievito di birra geneticamente modificate, da cui si riuscirebbero a produrre, in un secondo momento, proteine del latte o delle uova.

È da tempo che ricercatori ed esperti di tutto il mondo cercano di sensibilizzare l’opinione pubblica sul tema della sostenibilità ambientale. La sfida maggiore nei prossimi anni sarà proprio quella di riuscire a sfamare un numero sempre crescente di persone. E immaginare cibi alternativi, ad alto contenuto nutrizionale e a basso impatto ambientale, può rappresentare una valida alternativa ai modelli che fino a oggi hanno messo a dura prova il benessere del pianeta in cui viviamo.

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